• Non ci sono risultati.

L’evoluzione della politica di cooperazione e sviluppo a livello europeo 1 La ratio

Bilancio e prospettive future

1. L’evoluzione della politica di cooperazione e sviluppo a livello europeo 1 La ratio

Già agli albori del processo d’integrazione europea il sostegno tecnico e finanziario allo sviluppo, nei confronti dei paesi del cosiddetto Terzo Mondo, figurava quale mission fondamentale nel quadro delle dinamiche internazionali promosse dagli allora paesi fondatori della Comunità.

Una simile attenzione rispetto a questo tipo di iniziative fu certamente in qualche modo espressiva di un certo momento storico. In essa , infatti, si veniva a tradurre, fondamentalmente, l’intima volontà dei paesi della vecchia Europa sia di rendere il più possibile agevole la transizione post-coloniale dei paesi di nuova indipendenza, sia di mantenere relazioni privilegiate con queste realtà.

In principio il concetto di cooperazione allo sviluppo non godeva di autonomia concettuale rispetto a fenomeni di natura commerciale, non essendovi nel Trattato di Roma una norma esplicitamente dedicata a tale politica. La Comunità, infatti, per dare un fondamento giuridico al proprio agire in tale settore si richiamò essenzialmente all’art 133 TCE, nel quale si prevedeva la competenza comunitaria nell’ambito della politica commerciale. Si osservi però che la politica di cooperazione allo sviluppo presentando aspetti peculiari disomogenei rispetto a fenomeni di mera natura commerciale, difficilmente sarebbe oggi riconducibile ad una competenza di siffatto contenuto. Il concetto di cooperazione allo sviluppo approntato dalla giurisprudenza di quegli anni era però profondamente diverso dall’attuale. I paesi in via di sviluppo erano appunto in via di sviluppo, cioè inquadrati all’interno di uno schema per così dire darwiniano e collocati ad un gradino inferiore rispetto ai paesi europei, i quali ne

© Istituto Affari Internazionali

82 avrebbero supportato la crescita attraverso un meccanismo di libero scambio e di apertura dei mercati, con il quale avrebbe spontaneamente preso le mosse un trasferimento repentino di Know how , con conseguente riequilibrio delle economie ed esportazione del progresso. In quest’ottica tutta post-coloniale il legislatore europeo con ricorso alla teoria dei poteri impliciti ed al principio del parallelismo, fu in grado di ricondurre azioni tipiche di cooperazione allo sviluppo all’alveo di un concetto ampio ed esteso di politica commerciale.

La Comunità fece grande uso inoltre del duttile strumento degli accordi di Associazione, di cui al 310 TCE. In base a tale norma, ancor oggi immutata, alla Comunità spetta la competenza concludere accordi di associazione caratterizzati da diritti ed obblighi reciproci, da azioni comuni e da procedure particolari, di cui però non si specificano gli ambiti. Il legislatore del ’57 certamente non avrebbe potuto immaginare che un lungo processo evolutivo avrebbe potuto trasformare questo strumento di natura meramente commerciale in un mezzo di cooperazione politica.

Attraverso la storia dei principali accordi di associazione che la Comunità prima e l’Unione poi stabilirono con i c.d. Paesi in via di sviluppo osserveremo l’evoluzione del concetto di cooperazione allo sviluppo fino all’assetto dell’attuale ordinamento.

1.2 Le origini: la politica commerciale come grimaldello

Già dal 1957 un regime di associazione per i paesi ed i territori d’oltre mare in ambito di libero commercio e di sviluppo veniva contemplato nella terza parte del Trattato di Roma.

Il raggiungimento dell’indipendenza dei paesi e dei territori d’oltremare portò questi ultimi a negoziare i loro rapporti con la Comunità in ambito della cooperazione economica, scientifica, culturale su vere e proprie basi contrattuali; La stessa esigenza si manifestò in ordine ai rapporti con le ex colonie che in quegli anni incominciavano ad affermare la propria sovranità nazionale. Fu in un tale contesto che fu firmata il 2 luglio 1963 la prima Convenzione di Yaoundé, stipulata tra la Comunità e i paesi SAMA (18 stati africani e malgascio associati), poi rinnovata nel il 29 luglio 1969 con la firma di una seconda Convenzione. L’associazione euro-africana così costituitasi, era praticamente imperniata su tre elementi:

a) zone di libero scambio, istituite tra CEE e i SAMA;

b) Aiuto finanziario e tecnico erogati sia dalla Comunità sia, tramite accordi bilaterali , dai singoli stati membri CEE (tali aiuti erano distribuiti tramite l’utilizzo del 2° e 3° FES all’uopo istituiti dalla convenzione ed attraverso prestiti concessi dalla banca europea degli investimenti)

c) Istituzioni paritetiche per la gestione futura dei rapporti così istaurati. In particolare si ricorda la presenza di un’assemblea parlamentare paritetica composta da un numero uguale di rappresentanti dell’Unione Europea e degli stati SAMA, espressione dei rispettivi parlamenti.

Fu proprio la presenza di quest’ultimo elemento delle istituzioni paritetiche che contribuì a trasformare lo strumento di cui al 310 TCE in un vero e proprio laboratorio di concetti giuridici e posizioni politiche sul tema.

A partire dal 1975, dopo l’ingresso dell’Inghilterra nella CEE, le esigenze medesime che avevano condotto alla stipulazione di Yaoundé si fecero nuovamente presenti di fronte alla necessità di regolamentare le relazioni con i paesi Commonwealth.

© Istituto Affari Internazionali

83 Si ebbe perciò una riapertura delle negoziazioni con i paesi SAMA, cui si andarono però ad aggiungere i paesi nei cui confronti l’Inghilterra aveva esercitato fino a quel momento una particolare influenza politica ed economica in ossequio a recenti trascorsi coloniali. L’insieme di questi paesi con cui si andavano a rinegoziare così i capisaldi della politica di cooperazione allo sviluppo CEE in questo suo stato embrionale, furono definiti paesi dell’Africa Carabi e Pacifico (ACP).

Nel 1975, pertanto, i paesi CEE ed ACP giunsero alla stipulazione della prima convenzione di Lomé nella quale, alla luce di un nuovo contesto storico e di nuove teorie politiche e sociologiche, si rivisitavano i tre punti fondamentali, precedentemente descritti, su cui s’incardinava la cooperazione di Yaoundé.

All'inizio degli anni '70 infatti il fallimento delle strategie di cooperazione fino ad allora intraprese, l'aumento del divario economico tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo, il diffondersi di nuove teorie economiche come quella di matrice latino-americanana detta "dipendentista", lo shock petrolifero e la crisi monetaria determinarono un mutamento degli orientamenti nel dibattito internazionale in atto: il sottosviluppo non era più interpretato come una tappa necessaria nell’evoluzione storica di un paese verso il progresso, ma era il frutto ingeneroso di un sistema economico internazionale ingiusto e squilibrato. Gruppi di paesi meno avanzati si compattarono alla luce di tali considerazioni rivendicando un nuovo ordine economico internazionale, ottenendo anche un certo credito presso i loro interlocutori industrializzati .

Le nuove idee che scossero lo scenario internazionale influenzarono anche la politica commerciale europea, come appare evidente dalla I e dalla II convenzione di Lomé.

© Istituto Affari Internazionali

84