È utile secondo Ribot, abbozzare a grandi tratti l'evoluzione generale della vita affettiva, dalle sue umili origini, la sensibilità organica, alle sue forme più alte e più complesse. Prima però di entrare nel periodo cosciente della vita affettiva e seguire il cammino ascendente della sua evoluzione, Ribot ritiene opportuno esaminare una questione importante e non ancora risolta: ci sono, si domanda, degli stati affettivi puri, cioè privi di ogni elemento intellettuale, di ogni contenuto rappresentativo, che non siano legati né a percezioni né ad immagini, né a concetti, ma siano semplicemente soggettivi, gradevoli, sgradevoli o misti? Se si risponde negativamente ne segue che nessuna forma di sentimento può esistere per sé, ma avrà sempre bisogno di un sostegno. Questa tesi, che è quella della maggioranza, è accettata dagli intellettualisti: uno stato di coscienza emozionale puro non esiste, il piacere e il dolore sono sempre legati a stati intellettuali. Se si risponde affermativamente, lo stato affettivo è considerato come avente un'esistenza propria, indipendente. Ribot osserva che ordinariamente gli stati emotivi accompagnano stati intellettuali, ma non nega che possa darsi il caso contrario, cioè che le percezioni e le rappresentazioni siano condizione necessaria per l'esistenza di ogni manifestazione affettiva. Ribot ricorda una classe di fatti che vengono spesso invocati, ma che provano ben poco. Si riferisce a quelle emozioni che bruscamente prorompono negli animali senza che nessuna precedente esperienza le giustifichi. È difficile, però, conoscere ciò che avviene nella coscienza di un animale e Ribot non ritiene opportuno approfondire. Inoltre,
l'emozione in questi casi è suscitata da una sensazione esterna che eccita la reazione e mette in moto il meccanismo dell'istinto. Perché non vi siano dubbi, si dovrebbero trovare casi in cui lo stato affettivo precede quello intellettuale e lo provoca.
Ogni cambiamento profondo nelle sensazioni interne si traduce in modo equivalente nella cenestesia e modifica il tono affettivo, ma le sensazioni interne non hanno niente in comune con la rappresentazione, importantissimo fattore che hanno dimenticato gli intellettualisti. Quando si studia la genesi delle emozioni si trovano numerosi esempi di questi stati puramente organici che man mano divengono affettivi e poi intellettuali. Ribot cita alcuni esempi: al tempo della pubertà avviene una profonda metamorfosi, alcune condizioni agiscono sull'individuo e modificano il suo stato (1° momento); raggiungendo la coscienza queste condizioni organiche generano uno speciale tono affettivo (2° momento); questo stato affettivo una volta nato suscita corrispondenti rappresentazioni (3° momento). L'elemento della rappresentazione appare per ultimo, prima nasce l'elemento emotivo. Ribot riporta questi stati affettivi puri a quattro tipi principali: stato gradevole, stato penoso, stato di paura e stato d'eccitabilità; vi sono infine degli stati misti che nascono dall'alternarsi o coesistere degli stati semplici.
Una volta affrontato questo punto, Ribot ritiene necessario tornare al quadro generale dell'evoluzione. La vita affettiva si sviluppa infatti seguendo questi stadi di evoluzione: la sensibilità precosciente, l'apparizione delle emozioni elementari, la loro trasformazione o in emozioni complesse e astratte o in quello stato cronico e durevole che costituisce la passione.
Al di sopra della sensibilità organica si trova il periodo dei bisogni, cioè delle tendenze puramente vitali o fisiologiche, fornite ancora di coscienza. Questo periodo esiste solamente nell'uomo al principio della vita e si traduce in sensazioni interne (fame, sete,
sonno, stanchezza, ecc.). È costituito da un insieme di tendenze di natura prevalentemente fisiologica, le quali non sono né artificiali né esteriori, ma sono la vita in azione. Ogni elemento anatomico, ogni tessuto, ogni organo ha il solo fine di esercitare la sua attività e l'individuo fisiologico non è nient'altro che l'espressione convergente di tali tendenze. Queste possono presentarsi sotto una doppia forma: o esprimono una mancanza, cioè l'elemento anatomico, il tessuto, l'organismo ha bisogno di qualche cosa e sotto questa forma la tendenza è irresistibile; oppure esse denotano un eccesso, qualcosa di superfluo. Tutti questi bisogni convergono ad un fine, consistente nell'istinto di conservazione che, specifica Ribot, non è un'entità, ma l'espressione abbreviata che designa un gruppo di tendenze.
Uscendo dal periodo dei bisogni, riducibili a tendenze di ordine fisiologico, accompagnate dal piacere o dal dolore fisico, si entra nel periodo delle emozioni elementari. Ribot sottolinea la difficoltà di determinazione del concetto di emozione, proponendone una definizione che egli stesso ritene decisamente approssimativa:
Pour nous, l'émotion est, dans l'ordre affectif, l'équivalent de la perception dans l'ordre
intellectuel, un état complexe synthétique qui se compose essentiellement: de
mouvements produits ou arrêtés, de modifications organiques (dans la circulation, la respiration, etc.), d'un état de conscience agréable ou pénible ou mixte, propre à chaque émotion.68
È un fenomeno che appare bruscamente ed ha una durata limitata, in rapporto con la conservazione dell'individuo o della specie. L'emozione, anche fermandosi alle forme elementari, conduce in una regione superiore della vita affettiva, in cui le manifestazioni diventano assai complesse. Ribot considera come emozioni elementari tutte quelle che
non sono riducibili a manifestazioni anteriori, quelle che appaiono come una manifestazione nuova, mentre tutte le altre sono secondarie e derivate. La determinazione di queste emozioni deve farsi non per astrazione o generalizzazione, ma per constatazione. Per far questo non c'è, secondo Ribot, che un metodo: l'osservazione, che fornisce l'ordine e la data di nascita delle diverse emozioni, il loro albero genealogico e cronologico. Si tratta quindi di determinare, guardando i fatti, in che ordine appaiono le emozioni, tenendo conto solo di quelle elementari, cioè non riducibili ad altre. Ribot le classifica, in ordine di apparizione storica: la paura (emozione difensiva), la collera (emozione offensiva), il sentimento tenero (affetto), i sentimenti dell'io (Self-feelings), l'emozione sessuale, ma non la gioia e il dolore che egli ritiene emozioni derivate. Queste due emozioni, infatti, presentano tutti i segni che costituiscono un'emozione (movimenti o arresti di movimento, cambiamenti organici), ma hanno in rapporto alle cinque una differenza evidente: il loro carattere di generalità. La paura è perfettamente distinta dalla collera, la tenerezza dall'egoismo, l'emozione sessuale dalle altre quattro per il proprio carattere specifico; ciascuna di esse è uno stato complesso, chiuso, indipendente, ciascuna esprime una tendenza particolare (difensiva, offensiva, d'attrazione verso il simile ecc.) e mira a un fine speciale. Il dolore e il piacere, invece, esprimono le condizioni generali della vita, sono diffuse ovunque e non hanno dominio proprio; vi è dolore nella paura, in certi momenti della collera e dell'emozione egoistica. L'emozione è per sua natura particolare, il piacere e il dolore universali, sono i segni generali della vita affettiva e se coincidono, come le emozioni, con fenomeni motori, vasomotori ecc. è perché nessuna forma di sentimento può esistere senza proprie condizioni fisiologiche. Per questo motivo, Ribot, rifiuta di classificare gli stati gradevoli e penosi tra le emozioni elementari e di considerarle della stessa natura.
Al di sopra di queste emozioni vi sono diverse forme di sentimento che si manifestano nel corso della vita, suscitate da rappresentazioni del passato o dell'avvenire, da combinazioni d'immagini, da concetti. Procedendo per sintesi la vita affettiva può giungere a sentimenti sempre più elevati, che peraltro sono inaccessibili alla grandissima maggioranza degli uomini.
Un'attrazione o una repulsione, un desiderio o un'avversione, in una parola un movimento o un arresto di movimento, sono all'origine di ogni emozione. Questa parola ha preso il posto del termine passione, affetto. A prima vista, ogni emozione, anche poco intensa, sembra che invada tutto l'individuo; all'esterno: movimenti della faccia, del tronco e degli arti. All'interno: modificazioni organiche numerose, prodotte e dominate dalla funzione organica per eccellenza, la circolazione.
L'emozione non presenta solo questi caratteri vaghi e diffusi, ma ogni emozione è un insieme di elementi. Ribot considera le più semplici e più comuni: la paura, la collera, la tenerezza, l'amore sessuale. Ciascuna di esse è uno stato complesso, un fascio psicologico costituito da un insieme di elementi semplici che differisce secondo ogni emozione, ma che comprende sempre uno stato particolare di coscienza, particolari modificazioni delle funzioni della vita organica, movimento o tendenze al movimento, arresti o tendenze all'arresto di movimenti particolari. Ogni emozione primaria è per Ribot un complesso innato, che rivela in maniera diretta la costituzione dell'individuo; le emozioni sono manifestazioni organizzate della vita affettiva, sono le reazioni dell'individuo per tutto ciò che si riferisce alla sua conservazione o al suo miglioramento, al suo essere o al suo maggiore benessere.
In un certo senso le emozioni primarie sono analoghe alle percezioni che esigono un organismo psicofisiologico adatto ad una funzione speciale in rapporto al mondo esterno,
con la differenza che la vista, l'udito, l'olfatto ecc. hanno il loro organo proprio, mentre la paura, la collera ecc. hanno un organismo diffuso, i cui elementi, combinati d'altro modo, danno vita a un'altra emozione. Ne segue che lo studio delle emozioni dal punto di vista della pura psicologia non può essere condotto a fine; l'osservazione interna, per quanto sottile sia, non può che descrivere il fatto interno e notarne le sfumature, ma resta muta sulle condizioni e la genesi delle emozioni, e non coglie se non un'emozione senza corpo, un'astrazione.