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EXTRA CIVITATEM NULLA SECURITAS

È appena il caso ricordare che la scoperta dei territori americani diede il via a una vera e propria rivoluzione culturale, politica ed economica, sin dai primissimi anni del XVI secolo1. La conquista dei nuovi territori d’oltreoceano aveva prodotto una messe di riflessioni di carattere giuridi- co, politologico, filosofico, economico, financo etnologico. Le nuove terre permettevano una riflessione intorno alle costruzioni antropologiche che avevano definito fino a quel momento l’umanità europea, la sua posizione nel globo, la sua pretesa di essere il centro intorno al quale orbitava servil- mente il resto del mondo. Riflessioni che, tuttavia, talvolta avevano il sa- pore di una vera e propria messa in stato d’accusa, di uno spavaldo faccia a faccia con la costruzione mitologica dell’identità europea moderna; talaltra erano il tentativo di trovare una ratifica definitiva di quella mitologia, di scovare nell’America una verità ultima, una conferma se pur per confronto. All’interno di questa bulimica letteratura rileva un genere particolare: una serie di discussioni e di riflessioni che utilizza in chiave filosofica il rapporto con i nuovi territori americani, vedendo in essi una cartina di tor- nasole per vagliare la bontà o meno di proposte filosofico-politiche pro- dotte nel cuore della modernità. Lo spazio americano diventa non solo un campo di battaglia politico concreto, teatro di stermini, palcoscenico bru- tale e violento, ma un vero e proprio coacervo di suggestioni teoriche volte a legittimare la razionalità moderna, ossia a giustificare l’uso di determi- nate categorie in un contesto funzionale alla produzione dell’ordinamento e dell’ordine europeo, del suo nomos. La modernità europea, questa la tesi

1 Cfr. C. Schmitt, Il nomos della terra nel diritto internazionale dello Jus publicum Europaeum (1950), trad. it. E. Castrucci, Adelphi, Milano, 2001, in particolare la seconda parte: “La conquista territoriale di un nuovo mondo”. Si veda anche G. Gliozzi, Adamo e il Nuovo Mondo, cit. Sul tema dell’America come elemento decisivo per l’autorappresentazione della coscienza europea, e in particolare per la coscienza filosofica europea, si veda il brillante saggio di B. de Giovanni, La filosofia e l’Europa moderna, cit., soprattutto pp. 53-59 e pp. 121-190.

che difenderemo, fornisce un’auto-narrazione che emerge dall’interpreta- zione dello spazio americano come momento di profonda crisi che scom- pagina una immagine del mondo. L’incontro con l’altro americano è, letto da questa specola, un evento epocale non solo per la storia politica inter- nazionale, ma anche per la filosofia politica della modernità e per la stessa concezione moderna di individuo, che trae da esso la forza per imporre non solo la propria idea di ordine sul mondo, ma anche il fondamento in negativo della sua legittimazione a posteriori.

Dunque, America come crisi dell’Europa. Questa crisi è, in primo luogo, “spaziale”, ossia è la messa in discussione dell’antropo-centrismo euro- centrico che costituiva il nucleo fondamentale, ma irriflesso, dell’ordina- mento premoderno. In Der Nomos der Erde Carl Schmitt ha mostrato come la comparsa di un nuovo mondo abbia fatto mutare la struttura stessa delle categorie spaziali e politiche dell’epoca. La scoperta dell’America produce letteralmente una Raumrevolution, una rivoluzione spaziale, paragonabile per l’ordinamento topolitico globale al ruolo della rivoluzione copernicana per l’astronomia. L’America sconquassa la topografia mentale della mo- dernità europea. Con la scoperta dell’America, come con tutte le rivolu- zioni spaziali, “nascono nuovi parametri e nuove dimensioni dell’attività storico-politica”2. È stato sottolineato che la scoperta dell’America ha pro- dotto una specie di “smagliarsi della trama ordinata dell’essere, costrin- gendo l’umanità europea a ri-orientare la spazialità implicita del proprio pensiero politico morale”3. La scoperta dell’America, analizzata attraverso queste lenti concettuali, diventa il fondamento storico e metafisico dell’e- mergere dell’impianto moderno. Approfondire alcuni punti cruciali delle riflessioni che emergono dal confronto con lo spazio americano permette quindi di confrontarsi più consapevolmente con l’eredità teorica lasciataci dalla modernità filosofica della quale, se vogliamo saggiarne la crisi e la messa in discussione da parte delle teorie postmoderne, dobbiamo anzitut- to comprenderne le origini.

La letteratura sul tema dello spazio americano è, ça va sans dire, presso- ché sconfinata. È possibile tuttavia trattenere di questa incontrollabile pro- duzione due diagrammi interpretativi che ne restituiscono le problematiche generali fondamentali.

Un primo schema consiste nell’interpretare l’incontro con l’altro ameri- cano dal punto di vista della soggettività. Fondamentale, in questa chiave

2 C. Schmitt, Terra e mare. Una riflessione sulla storia del mondo (1942), trad. it. G. Gurisatti, Adelphi, Milano, 2001, p. 58.

di lettura, è il darsi storico di una contrapposizione radicale fra il popolo europeo e quello americano. Popoli differenti si incontrano e si scontrano; abitudini e costumi vengono a contatto, in un confronto che si rivelerà tra- gico, trasformandosi ben presto in uno sterminio di massa, nel dispiegarsi senza freni della volontà di potenza propria di quello che, seguendo Dus- sel, abbiamo definito l’Ego conquiro. In una formula, potremmo dire che la scoperta dell’America ha significato per gli europei e per gli americani “l’evento dell’altro”, una frattura del continuum storico, uno sconquassa- mento della visione del mondo tipica dell’epoca europea premoderna, e una radicale messa in discussione delle rasserenanti coordinate mediante cui il primo Umanesimo europeo aveva collocato l’uomo europeo nel co- smo4. È, se pur semplificato, lo schema ermeneutico proposto da Tzvetan Todorov: “la scoperta dell’America, o meglio degli americani, è l’incontro più straordinario della nostra storia”5. L’incontro con l’altro americano è dunque paradigmatico, nel senso che rappresenta un punto di svolta radi- cale, lo scatenarsi di un nuovo corso della storia: l’identità6 europea viene

4 Sul rapporto uomo-cosmo in epoca rinascimentale si veda il classico E. Cassirer, Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento (1927), trad. it. G. Targia, Bol- lati Boringhieri, Torino, 2012 (in particolare il capitolo “Il problema del rapporto soggetto-oggetto nella filosofia del Rinascimento”, che discute con dovizia il tema matematico-rinascimentale della sostituzione dello spazio come sostanza con lo spazio come funzione, che segnerà come abbiamo visto il passaggio da una con- cezione politica ontologica a una geometrica, in linea con la presunta efficacia del fisicalismo razionalistico moderno, su cui si veda D. Zolo, Critica della modernità o reazione alla modernità?, in Logiche e crisi della modernità, cit., p. 176 ss.). 5 T. Todorov, La conquista dell’America. Il problema dell’“altro” (1982), trad. it.

A. Serafini, Einaudi, Torino, 1984, pp. 6-7.

6 La letteratura sul tema dell’identità è pressoché intrattenibile. Per un inquadra- mento generale in riferimento alle implicazioni metafisico-politiche che qui rile- vano cfr. Figure d’identità: ricerche sul soggetto moderno, a cura di F. Andolfi, Franco Angeli, Milano, 1988; W. Beierwaltes, Identità e differenza (1988), trad. it. S. Saini, Vita e pensiero, Milano, 1989 (importante soprattutto per l’impianto ne- oplatonico che sta alla base pressoché dell’intera produzione di Beierwaltes); G. Leghissa, Il gioco dell’identità: differenza, alterità, rappresentazione, Mimesis, Milano, 2005 (interessante per la prospettiva fenomenologica adottata). Sull’iden- tità come processo necessariamente violento si veda A. Sen, Identità e violenza (2006), trad. it. F. Galimberti, Laterza, Roma-Bari, 2006; sul rapporto identità/ modernità è significativo C. Taylor, Le radici dell’io: la costruzione dell’identità moderna (1989), trad. it. R. Rini, Feltrinelli, Milano, 1993; sul rapporto identità/ alterità come dialettica conflittuale rimandiamo a E.C. Sferrazza Papa, Identità, differenza e conflitto nel pensiero di Martin Heidegger, Carl Schmitt e Massimo Cacciari, “Filosofia”, Quarta Serie, 2, 2015, pp. 93-112, e alla letteratura su Sch- mitt ivi riportata.

a contatto, per la prima volta nella sua storia, con una forma di alterità e di diversità che retroagisce su di essa e la fonda per contrasto. L’altro è una forma di vita che mangia, prega, crede, si governa e fa l’amore diversamen- te. Questa diversità dell’altro è tale da metterne in dubbio l’appartenenza stessa al genere umano, aprendo così la strada alla giustificazione teorica dello sterminio di massa che vide negli indios le vittime sacrificali della presunta civilizzazione europea. L’Io che civilizza il barbaro è anche quel- lo che lo ammazza.

Nella sua meravigliosa ricostruzione, Todorov mostra come l’analisi dell’incontro epocale con l’altro americano permetta d’individuare il nesso “causale” che lega inscindibilmente Europa e America. La nostra identità europea è forgiata e prodotta dall’incontro con l’altro americano; noi siamo così perché, a un certo punto della storia dell’umanità, abbiamo incontrato loro: “la storia del globo è fatta, certo, di conquiste e di sconfitte, di colo- nizzazioni e di scoperte dell’altro; […] ma è proprio la conquista dell’A- merica che annuncia e fonda la nostra attuale identità. […] Noi siamo tut- ti discendenti diretti di Colombo”7. Le categorie della nostra visione del mondo sono, insomma, il parto maturo di quell’incontro epocale, poiché stanno con esso in un rapporto di produzione causale, se pur storicamente mediato e diluito.

Questo è un primo diagramma possibile per l’interpretazione della “sco- perta/conquista” dello spazio americano, ossia un incontro tragico fra sog- gettività che produce una determinata visione del mondo. Vi è però, nella storia filosofica della conquista dell’America, un altro sentiero ermeneuti- co che può essere percorso. Carl Schmitt ne è l’esponente principale.

Schmitt, in perfetta coerenza con il suo Raumdenken, interpreta l’A- merica in primo luogo come una dimensione spaziale. Non è questione da poco, giacché questo movimento permette a Schmitt di spostare l’asse ermeneutico dalla questione della soggettività, e di aprire così la riflessione sul nomos europeo proprio dell’epoca moderna come messa in forma spa- ziale, ossia ordinata e localizzata, del globo. Piuttosto che fra popoli, nella prospettiva messa a fuoco dall’analisi schmittiana lo scontro è “epocale” perché coinvolge spazialità differenti, mettendo in crisi le coordinate spa- ziali – e quindi politiche – che strutturavano l’ordine premoderno. Nella scoperta dell’America non sono dunque tanto due soggettività a incontrarsi e scontrarsi, quanto due spazialità a opporsi: la prima, quella europea, di lì a poco si costituirà nella forma statale, dominata dal principio di sovranità e dall’ordine giuridico, più o meno mantenuto nella forma del diritto inter-

nazionale, fra le varie potenze; la seconda, quella americana, sarà da con- siderarsi come priva di sovranità: spazio vuoto, libero, incivile e, in questo senso, indipendente dalle logiche del Vecchio Mondo e dunque ostile. Se lo spazio americano ha influenzato profondamente la geografia politica e la riflessione filosofica europea, dunque, è perché è anzitutto uno spazio8.

La scoperta dell’America ha prodotto, a livello globale, la narrazione di una separazione spaziale e simbolica radicale: di qua l’Europa, di là l’A- merica; di qua la civiltà, di là il mondo della barbarie; di qua l’uso del dirit- to per normare i rapporti di forza fra le diverse potenze, di là l’affermazio- ne del “libero e spietato uso della violenza”9; di qua l’emancipazione dalle violenze intestine, di là un cruento e ferino stato di natura; di qua il mondo della storia, di là quello della preistoria. Se l’Europa si configura come territorio, l’America si presenta, a partire dalla conformazione geofisica, come spazio informe: per una teoria topolitica, la differenza è incolmabile. Beyond the line, oltre la linea che separa sia spazialmente sia simbolica- mente il Vecchio Mondo dal Nuovo Mondo, si apre al soggetto europeo uno spazio libero, uno “spazio incalcolabile di terra libera”10. Analogo tel- lurico del mare aperto, su questo spazio libero si gioca una partita decisiva per la filosofia politica moderna (e per il colonialismo europeo).

È il caso di sottolineare che la nozione di spazio libero non va qui inter- pretata in senso metaforico, ma come luogo materiale d’appropriazione e accumulazione primitiva: lo spazio libero definisce concretamente la prassi politica delle potenze europee nei confronti dei territori americani recente- mente scoperti. Esso viene utilizzato lungo tutto il XVI e XVII secolo per legittimare la conquista territoriale dei nuovi spazi11 e, soprattutto, per giu- stificare uno dei più efferati stermini della storia dell’umanità. Lo spazio libero, da questo punto di vista, deve essere considerato un vero e proprio strumento discorsivo del potere europeo, e il suo uso retorico mostra come il diritto sia stato utilizzato come un dispositivo strategico di legittimazione del brutale uso della violenza da parte dei conquistadores.

8 Si noti uno dei possibili controfattuali di questa tesi, che ne segna la distanza incolmabile rispetto alla posizione di Todorov: gli spazi americani avrebbero rivoluzionato la struttura politica europea anche se fossero stati completamente disabitati, poiché ne avrebbero in ogni caso modificato radicalmente l’ordina- mento spaziale!

9 C. Schmitt, Il nomos della terra, cit., p. 93. 10 Ibidem.

11 Sulla nozione di spazio libero – inteso come spazio vuoto – si trovano indicazioni preziose in A. Giddens, Le conseguenze della modernità. Fiducia e rischio, sicu- rezza e pericolo (1990), trad. it. M. Guani, il Mulino, Bologna, 1994, pp. 28-31.

Lo spazio libero che stiamo delineando è più propriamente uno spazio nel quale non vige alcuna forma di diritto positivo. Schmitt lo definisce un’eccezione geografica “giuridicamente vuota”12. Lo spazio vuoto appare dunque come la concrezione spaziale di un originario stato d’eccezione (Ausnahmezustand), strumento giuridico che interviene per sospendere il diritto ordinario vigente in caso di profonda crisi istituzionale e politica. Giorgio Agamben, acuto e infedele interprete del pensiero schmittiano, de- finisce lo stato d’eccezione come “la forma legale di ciò che non può avere forma legale”13. Lo spazio americano, questa allora la tesi da indagare, sembra rappresentare il corrispettivo geografico moderno dello stato d’ec- cezione; non nel senso di sospensione temporanea del diritto, ma piuttosto in quello di sua assenza, luogo in cui le logiche nichiliste si spazializzano e si fanno pienamente geografia.

Questa chiave di lettura non si ottiene semplicemente facendo retroagire la definizione schmittiana di spazio vuoto, ma emerge da alcuni classici del canone filosofico moderno che si sono confrontati con il tema del Nuo- vo Mondo. Lo spazio americano, come affermato in precedenza, è stato almeno fino al XIX secolo una sorta di reagente chimico delle teorie filo- sofiche e politologiche prodotte dalla cultura europea. Ecco che emergono due modi attraverso cui il Nuovo Mondo è stato filosoficamente utilizzato, finendo con il diventare un vero e proprio concetto e, in questo senso, con- tribuendo alla struttura della “macchina” della modernità.

In primo luogo, nella modernità si sviluppa l’idea dello spazio america- no come qualcosa di cui la storia della filosofia europea ha già parlato in quanto tale. Lo spazio americano non è stato scoperto da Colombo, ma al massimo riscoperto, poiché per un certo periodo è stato semplicemente di- menticato. Questa strategia interpretativa sfrutta sostanzialmente l’inelimi- nabile ambiguità di alcuni passi biblici, oppure mette capo a una complessa ermeneutica dei saggi platonici che vede nell’Atlantide narrata dal Crizia, dal Timeo e dalla Repubblica nient’altro che la descrizione delle terre sulle quali approderà Colombo14.

Un secondo uso del Nuovo Mondo non è storico ma prettamente concet- tuale, ed è ciò che maggiormente rileva in questa sede. Divenuto una vera e propria categoria sotto la quale sussumere tutte le proprietà e le caratte-

12 C. Schmitt, Il nomos della terra, cit., p. 100.

13 G. Agamben, Stato di eccezione. Homo sacer II 1, Bollati Boringhieri, Torino, 2003, p. 10.

14 Sul punto si veda la ricostruzione di S. Dušanić, Plato’s Atlantis, “ Antiquité Clas- sique ”, 51, 1982, pp. 25-52.

ristiche che dovevano essere espulse dalla società civile per poterla rende- re tale15, lo spazio americano assume nei classici della filosofia moderna, nella forma di una sistematica forclusione, il ruolo di leva teorica per una determinata filosofia della storia e di grimaldello ermeneutico per la teoria politica della sovranità moderna.

Nella letteratura filosofica moderna vi sono almeno tre casi paradigmatici che vale la pena ripercorrere e analizzare, in quanto in essi lo spazio america- no viene assunto, nella sua specificità geografica e geofisica, come autentico momento concettuale di fondamento negativo della modernità europea. In queste proposte filosofiche, declinare concettualmente lo spazio americano permette di certificare ora una teoria dello Stato (Hobbes), ora una pratica economica di dominio (Locke), ora una filosofia della storia (Hegel). Con- temporaneamente infanzia e morte dell’uomo, secondo queste posizioni fi- losofiche l’America mostra all’uomo europeo ciò che egli era ieri, ma ancor più tragicamente ciò che potrebbe essere domani. I viaggi di scoperta sono, in questo senso, autentici viaggi nel tempo. La nave su cui salpano gli esplorato- ri diventa una sorta di macchina del tempo che permette di raggiungere quel- lo spazio infantile che la filosofia e la letteratura avevano solamente potuto immaginare. Muoversi sullo spazio americano significa allora ripercorrere d’un colpo la storia dell’umanità, ritrovando un genere umano non ancora – o non più – del tutto umano. L’America diventa per il pensiero europeo moderno la traduzione, illegittima, del concetto spaziale di “fuori” in quello metafisico-antropologico di “altro” e in quelli temporali di “prima” e “dopo”.

Il soggetto moderno così, lungi dall’essere fondato in quel cogito carte- siano di cui già Mersenne vedeva nelle Seconde Obbiezioni da lui raccol- te tutta la problematicità16, produce la propria rappresentazione a partire

15 Per quanto riguarda la costruzione nella prima modernità del concetto di società civile si veda G. Duso, La logica del potere. Storia concettuale come filosofia politica, Laterza, Roma-Bari, 1999, pp. 87-111.

16 Si vedano le Seconde Obbiezioni in Cartesio, Meditazioni metafisiche. Obbiezioni e risposte (1641), trad. it. A. Tilgher, Laterza, Roma-Bari, 1992, pp. 115-122. Il punto critico sottolineato da Mersenne è che nelle prime due Meditazioni non è presentata alcuna evidenza per cui l’Ego e il Cogito debbano rimandarsi a vicen- da; ossia, per dirla con Hegel, non c’è alcuna continuità logica fra il dubbio radi- cale e la considerazione della certezza del sapere intesa come “unità del pensare e dell’essere” (Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, vol. III, cit., pp. 73-74). Il cogito, semplicemente, pensa, e fra gli oggetti pensati pensa l’Io. Dall’abissale incertezza a cui conduce il dubbio radicale non se ne può legittimamente trarre un pensiero in relazione a un soggetto (Ego), ma al più una terza persona impersona- le (“nevica”, “piove”). Così anche recentemente R. Esposito, Due. La macchina della teologia politica e il posto del pensiero, Einaudi, Torino, 2013, p. 179.

da quella radicale alterità che ne costituisce il fondamento negativo17. Se esiste un soggetto pienamente umano (europeo), è perché esso è prodot- to mediante l’esclusione del non-umano (americano)18, e non mediante un processo di auto-posizionamento e auto-fondamento; allo stesso modo, se esiste un impianto razionale, politico, metafisico tipicamente moderno, esso si modula, si bilancia, si articola a partire da una differenza che, to- gliendosi, ne costituisce l’origine, ne accompagna lo sviluppo e ne deter- mina il carattere destinale19 o, se si vuole utilizzare una meno compromessa terminologia, l’“orizzonte storico”.

Le proposte filosofiche che analizzeremo tentano di mediare in forma razionale un disordine politico e una crisi spaziale, facendo funzionare lo spazio americano come una cartina di tornasole per verificare la cesura fra la dimensione politica statalizzata europea e uno stato precedente, regno naturale nel quale ha luogo ogni forma possibile di barbarie. Grand Gui- gnol di ogni disordine immaginabile, lo spazio americano diventa la certifi- cazione concreta e materiale dell’efficacia normativa dello spazio europeo.

Hobbes: l’America come stato di natura

Le pagine che compongono il XIII capitolo del Leviatano di Thomas Hobbes rappresentano probabilmente uno dei luoghi più importanti dell’in- tera storia della filosofia. A partire da esse, infatti, viene fondato un deter- minato paradigma della filosofia politica, ossia un modello ermeneutico dell’essere umano e delle istituzioni che ne regolano i rapporti con gli altri

17 In questa produzione dell’umano per difetto e per eccesso si annida il processo di deumanizzazione/animalizzazione discusso dal saggio di C. Volpato, Deumaniz- zazione. Come si legittima la violenza, Laterza, Roma-Bari, 2011.

18 In questo senso Giorgio Agamben parla di “macchina antropologica” in L’aperto. L’uomo e l’animale, Bollati Boringhieri, Torino, 2002.

19 Sul carattere destinale del moderno cfr. B. de Giovanni, Apologia del moderno

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