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LA PANDEMIA COME PHARMAKON IL DESTINO DELLA SOLIDARIETÀ EUROPEA

NELLO SCENARIO GLOBALE NICOLA DIMITRI −ALESSIO LO GIUDICE∗

1. Introduzione

A causa dell’emergenza economico-sanitaria scatenata dalla repenti- na diffusione del Covid-19 su scala globale – definita come la più severa crisi economica del XXI secolo1 subito dopo l’11 settembre e la crisi fi-

nanziaria globale del 2008 – il tema della solidarietà europea è tornato con vigore al centro del dibattito pubblico e politico.

Un siffatto scenario pandemico, per certi versi inedito nell’era della globalizzazione, ha riaperto questioni tutt’altro che sopite nel panorama politico europeo; questioni che, lambendo i principi fondamentali sulla cui base è sorta l’architettura istituzionale e valoriale dell’Ue, proprio in ragione dell’emergenza, appaiono ancora più brucianti. In particolare, in un momento in cui tutti gli Stati membri – sia pure per comprovata ne- cessità – hanno dato priorità a politiche securitarie interrompendo la circolazione delle persone entro il territorio dell’Unione, chiudendo l’area Schengen, promuovendo l’isolamento e il distanziamento sociale e, di fatto, comprimendo diritti fondamentali dei cittadini, è importante  

Nicola Dimitri è dottorando di ricerca in Filosofia del diritto e storia della cultura

giuridica presso l’Università di Genova e membro CEST – Centro per l’Eccellenza e gli Studi Transdisciplinari.

Alessio Lo Giudice è professore ordinario di Filosofia del diritto presso l’Università di Messina.

1 A parere dell’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economi-

co, la pandemia di Covid-19 ha causato e sta causando una perdita su larga scala di vite umane e gravi sofferenze senza precedenti. In particolare, la pandemia sta «mettendo alla prova la nostra capacità collettiva di fornire risposte adeguate. La pandemia porta con sé il terzo e più grande shock economico, finanziario e sociale del 21° secolo, dopo l’11 settembre e la crisi finanziaria globale del 2008». Per maggiori approfondimenti, si veda il report pubblicato dall’OCSE: “Coronavirus (COVID-19): Azioni congiunte per

 

domandarsi che posto occupi, nell’agenda politica europea e nel vocabo- lario della comunità, la solidarietà come categoria politica e sociale2. A

distanza di 70 anni dalla dichiarazione di Parigi del 9 maggio 1950, ove Schuman3 a chiare lettere affermava che l’intero progetto europeo dove-

va considerarsi fondato sulla coesione sociale e su una vera e propria so- lidarietà de facto, l’emergenza economico-sanitaria che, a causa del Co- vid-19, ha investito indistintamente tutti gli Stati membri è, perciò, occa- sione per interrogarsi sull’efficacia attuale e sullo stato delle pratiche so- lidaristiche entro la cornice dell’Ue. È opportuno chiedersi, in particola- re, se gli effetti della pandemia, intesi quali conseguenze politiche e so- ciali che vanno ad esacerbare tensioni già presenti in Europa per altre ragioni – si pensi all’insorgere degli euroscettici4, alla ormai cronica que-

stione dell’immigrazione e alla recente uscita del Regno Unito dall’Ue – possano davvero essere letti soltanto come altrettanti elementi di ulterio- re disancoramento dell’Ue dai presupposti di solidarietà, coesione e in- tegrazione. O se, invece, tali elementi possano essere interpretati anche come stimolo e antidoto, come pharmakon5 che, nella sua radicale ambi-

valenza, mentre avvelena cura e corregge (può correggere) le torsioni e le distorsioni di un progetto, quello europeo, che, seppur ancora politi- camente incompiuto, non ha perso la sua ragion d’essere.

Invero, benché in una primissima fase, con l’imperversare della crisi su scala globale, gli Stati membri non abbiano considerato la prospettiva di un programma politico comune e si siano, al contrario, impegnati in una gestione prettamente domestica dell’emergenza (tanto dal punto di vista sanitario, che previdenziale e fiscale), è bene considerare il diverso approccio che ha condotto agli strumenti introdotti e alle misure adotta-  

2 Per maggiori approfondimenti cfr. S. Stjerno, Solidarity in Europe. The History of

an idea, Cambridge University Press, Cambridge, 2012; cfr. inoltre A. Supiot, La Solidar- ité: Enquête sur un principe juridique, Paris, Odile Jacob, 2015.

3 È rimasta celebre la frase di Robert Schuman pronunciata durante il discorso del 9

maggio 1950 in vista della creazione della CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio): «l’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto».

4 In proposito si rimanda a C. Lahusen, M.T. Grasso, Solidarity in Europe. Citizens’

Responses in Times of Crisis, Palgrave MacMillan, Basingstoke, 2018.

5 Il concetto di pharmakon, inteso nell’accezione platonica di veleno e antidoto, ha

occupato a lungo le riflessioni, tra gli altri, di Eligio Resta. Sul punto cfr. E. Resta, La

certezza e la speranza. Saggio su diritto e violenza, Roma-Bari, Laterza, 1996; E. Resta, Le regole della fiducia, Roma-Bari, Laterza, 2009.

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te nella seconda fase di ripartenza, e perciò testare su questa base le pro- spettive che si profilano all’orizzonte dell’Unione.

In quest’ottica, la gestione della crisi da parte dell’Ue incoraggia un’analisi attorno al tema della solidarietà europea: ripartire, in un mo- mento di crisi, dalle prassi attraverso le quali i legami sociali si compon- gono, infatti, può aiutare a comprendere se è ancora possibile prospetta- re in Europa un agire politico coeso e armonizzato6. Un agire istituziona-

le incentrato su una collaborazione tra Stati membri scevra dal mero rapporto economico e fondata su una solidarietà di fatto, qui intesa qua- le aspettativa normativa di sostegno reciproco tra Stati e quale dimen- sione sociale entro cui ogni individuo – cittadino europeo – mentre e perché contribuisce alla coesione del gruppo, trae vantaggio dall’esserne membro7.

2. La necessità di un governo della globalizzazione

Nell’edizione del 16 maggio 2020, il titolo della pagina di copertina dell’Economist non poteva essere più emblematico: «Goodbye globalisa- tion. The dangerous lure of self-sufficiency». Nell’editoriale, intitolato «Has covid-19 killed globalisation?», si spiega come ci sia «una nuova propensione all’autosufficienza e alla chiusura delle frontiere in tutto il mondo, al punto che circa il 90% della popolazione mondiale vive in stati con le frontiere chiuse». La conseguenza di tutto questo, si precisa nell’editoriale, «è che la circolazione di persone, merci e capitali ha subi- to un calo verticale, probabilmente senza precedenti». D’altra parte, po- che settimane prima il presidente francese Macron, sulle pagine del Fi-

nancial Times, dichiarava di considerare la pandemia da Covid-19 «co-

me un evento che cambierà la natura della globalizzazione e la struttura del capitalismo internazionale». E anche il Presidente Trump, in una re- cente intervista a Fox Business, ha ribadito l’impatto epocale del Covid-  

6 Una lucida analisi dell’attuale crisi di solidarietà in Europa è offerta da Ivan Kra-

stev. Sul punto cfr. I. Krastev, Gli ultimi giorni dell’Unione. Sulla disgregazione europea, Roma, LUISS University Press, 2019.

7 Vale la pena richiamare il concetto di solidarietà sociale proposto da Sally J.

Scholz, definito come «measure of the interdipendence among individuals within a group». Cfr. S.J. Scholz, Political Solidarity, Pennsylvania University Park, Pennsylvania State University Press, 2008.

 

19 sul piano della politica economica internazionale: «Questa pandemia dimostra che l’era della globalizzazione è finita».

L’impressione è che queste considerazioni, per certi versi apocalitti- che, sugli effetti di sistema della pandemia da Covid-19, andrebbero ri- viste riflettendo in maniera più analitica almeno su due fondamentali versanti del processo di globalizzazione: quello economico e quello poli- tico. Una breve analisi di queste due manifestazioni della globalizzazio- ne, connesse ma allo stesso tempo distinte, consente infatti di giungere ad una riflessione più articolata sull’impatto politico e istituzionale della pandemia e, in particolare, sul destino dell’Unione europea, la cui pro- spettiva, in un modo o nell’altro, è condizionata dagli effetti del Covid- 19.

Rispetto al primo versante occorre ricordare come il processo di globalizzazione sia, innanzitutto, una forma di esasperazione delle inter- dipendenze a livello economico8. Esasperazione resa possibile dall’evo-

luzione tecnica. Non comprenderemmo, infatti, l’espansione del proces- so di globalizzazione se non fossimo in grado di considerare la rilevanza della rivoluzione tecnologica (in particolare nel settore dei trasporti e in quello delle Ict, cioè delle tecnologie dell’informazione e della comuni- cazione), e il conseguente abbattimento dei costi logistici e di trasporto. La globalizzazione è, dunque, un prodotto della tecnica, assecondato nel suo sviluppo da scelte politiche favorevoli alla liberalizzazione del com- mercio internazionale. Scelte politiche che, a loro volta, hanno trovato stimolo e compimento nel contesto geopolitico favorevole che si è de- terminato con la caduta del Muro di Berlino. In ogni caso, in quanto prodotto della tecnica, il processo di globalizzazione economica è, per certi versi, irreversibile. Lo scopo strutturale della tecnica è, infatti, il suo stesso potenziamento. Vivendo nell’era della tecnica avanzata, com- prendiamo tutti come quest’ultima non sia mossa da fini prefissati, bensì dalla logica interna di un autopotenziamento sempre più accelerato dai risultati raggiunti9. È ragionevole presumere che questa dinamica, una

volta innescata, non possa essere ostacolata efficacemente dalle momen-  

8 La letteratura sui processi di globalizzazione è, naturalmente, sterminata. In questa

sede è, quanto meno, doveroso il riferimento a U. Beck, Che cos’è la globalizzazione. Ri-

schi e prospettive della società planetaria, Roma, Carocci, 1999; Z. Bauman, Dentro la glo- balizzazione. Le conseguenze sulle persone, Roma-Bari, Laterza, 1999.

9 Cfr., tra gli altri, E. Severino, Il destino della tecnica, Milano, Rizzoli, 1998; U. Ga-

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tanee reazioni politiche di chiusura scaturite dall’impatto della pande- mia.

La logica della tecnica è, infatti, destinata a prevalere perché ha ge- nerato un processo, come è quello di globalizzazione, radicato in pro- fondità nella struttura organizzativa delle catene del valore. L’inter- connessione tra le diverse economie mondiali, a livello tecnologico e in- frastrutturale, è il prodotto di 50 anni di investimenti e scelte organizza- tive che non possono essere revocati in virtù di un semplice atto legisla- tivo o di decisioni politiche contingenti. Del resto, la tecnica incide così profondamente sulla dimensione sociale da determinare l’auto-rappre- sentazione stessa dell’uomo. Scelte politiche definitivamente in grado di interrompere il processo di globalizzazione sono improbabili perché l’uomo, da sempre homo technologicus, oggi inquadra sistematicamente, più o meno consapevolmente, e con tutte le eccezioni del caso, la pro- pria esistenza nella dimensione globale della tecnica avanzata. L’homo

technologicus è tale, infatti, non soltanto nelle azioni che determinano

macroscopicamente i processi speculativi del capitalismo finanziario, ma anche nelle molteplici condotte quotidiane che presuppongono un’inter- connessione tecnologica a livello globale. E non è certo una novità quella appena descritta. La tecnologia, infatti, ricade da sempre sull’uomo e sulla società: da appendice per agire si riflette costantemente indietro foggiando il nostro modo di essere uomini10.

Sul versante economico (che è quello originario), dunque, il requiem della globalizzazione appare quanto meno affrettato se non proprio in- giustificato. Cosa si può invece affermare rispetto al versante politico? Questo lato della medaglia del processo di globalizzazione va associato, soprattutto, alla gamma di esperienze riconducibili alla cosiddetta go-

vernance globale11. Si pensi a realtà prevalentemente di tipo settoriale

 

10 Per una magistrale descrizione dell’effetto retroflesso della tecnica si rimanda a C.

Sini, L’uomo, la macchina, l’automa. Lavoro e conoscenza tra futuro prossimo e passato

remoto, Torino, Bollati Boringhieri, 2009. Resta poi insuperabile la lezione antropologica

di A. Gehlen, L’uomo nell’era della tecnica, Roma, Armando Editore, 2003.

11 La letteratura su tale concetto, strutturalmente ambiguo, è ormai vasta. Per il loro

prezioso carattere ricostruttivo e per la profondità dell’analisi, si segnalano comunque i seguenti lavori: J.N. Rosenau, E.O. Czempiel, Governance without Government: Order

and Change in World Politics, Cambridge, Cambridge University Press, 1992; J.

Kooiman, Modern Governance: New Government-Society Interactions, London, Sage, 1993; A. Palumbo, S. Vaccaro, Governance. Teorie, principi, modelli, pratiche nell’era

 

che, a prescindere dalla genesi storica e dall’inquadramento giuridico, sono finalizzate a coordinare le scelte politiche in senso lato a livello globale e che, per questa ragione, possono essere considerate come vere e proprie istituzioni della globalizzazione12 (ad esempio Wto, Oms, Oil,

Fondo monetario internazionale, Banca mondiale, Icaan etc.). Ebbene, limitandosi ai casi più recenti, e cioè alla crisi economica del 2008 e, na- turalmente, alla crisi sanitaria del 2020, è risultata evidente l’incapacità delle competenti organizzazioni a governare fenomeni di natura globale così rilevanti. A ciò potremmo aggiungere l’incapacità, a titolo ancora di esempio, delle organizzazioni tradizionali, come le Nazioni Unite, a fronteggiare efficacemente un problema emblematicamente globale qual è quello rappresentato dai cambiamenti climatici. Tutto questo ci induce a sostenere che alla globalizzazione economica non corrisponde, oggi, un adeguato livello organizzativo politico in grado di governare fenome- ni di rilevanza sociale che sempre più assumono una portata globale. I tentativi di globalizzazione politica, in senso stretto, sono sin qui falliti. Le ragioni di questi fallimenti sono molteplici e non è questa la sede per approfondirle. In ogni caso, tra le ragioni del fallimento non va esclusa la prevalenza di un approccio economicistico che, in realtà, ha ispirato l’attività di gran parte delle istituzioni della globalizzazione. Un approc- cio che, evidentemente, non ha consentito di affermare, a livello globale, il primato del governo politico sui processi economici. Al contrario, si è avuta spesso l’impressione di trovarsi di fronte all’assenza di un control- lo politico, in particolar modo di tipo democratico, dei processi decisio- nali globali che incidono sulle nostre vite. E ciò proprio perché le uniche istituzioni politiche effettive sono rimaste anacronisticamente ancorate al livello nazionale13.

La pandemia da Covid-19, e la conseguente incapacità di governarla a livello globale, come mostrato ad esempio dall’azione quanto meno  

gna, Il Mulino, 2010; A. Andronico, Governance, in Luoghi della filosofia del diritto: idee

strutture mutamenti, a cura di B. Montanari, Torino, Giappichelli, 2012, pp. 313-39; A.

Andronico, Viaggio al termine del diritto. Saggio sulla governance, Torino, Giappichelli, 2012; Governance: Oltre lo Stato?, a cura di G. Fiaschi, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008.

12 Per un’analisi della fenomenologia delle istituzioni della globalizzazione si riman-

da a M.R. Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella società

transnazionale, Bologna, Il Mulino, 2000.

13 Il tema è stato posto in maniera impareggiabile già da J. Habermas, La costellazio-

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evanescente dell’Oms, non ha dunque fatto altro che confermare il ri- tardo sul piano politico dei processi di globalizzazione. A questo livello non vi è traccia di una politica effettivamente globale, di quella che Jür- gen Habermas ha più volte definito come una politica interna mondiale. Ma proprio perché è tale la condizione della politica globale, gli effetti della pandemia possono, a differenza di quanto è avvenuto dopo la crisi del 2008, determinare una più chiara consapevolezza della necessità di dare vita a istituzioni della globalizzazione autenticamente politiche. Ed è su questa consapevolezza, e sulla potenzialità che ne deriva, che si gio- ca il destino dell’Unione europea e, in particolare, il destino delle forme di solidarietà istituzionalizzata che nel trentennio glorioso, dopo la fine della II Guerra Mondiale, hanno dato vita al cosiddetto modello sociale europeo14.

3. Alla ricerca di uno spazio sociale europeo

L’Unione europea può essere considerata come un’istituzione della globalizzazione. Questa qualificazione prescinde dalla genesi storica, dal progetto originario e dalla forma giuridica che hanno caratterizzato l’Ue. È un’istituzione della globalizzazione perché l’accelerazione del processo di integrazione europeo, sul piano politico ed economico, va inquadrata storicamente nel contesto della parallela accelerazione dei processi di globalizzazione innescata dalla caduta del Muro di Berlino15. La sequen-

za dei Trattati dell’Ue, da Maastricht ad Amsterdam e poi a Nizza sino ad arrivare a Lisbona, esprime, a ben vedere, la consapevolezza europea della necessità di dar vita a un soggetto sovranazionale sempre più inte- grato che possa garantire agli Stati membri un peso specifico sullo sce- nario globale. Peso che essi non potrebbero certamente acquisire agendo come soggetti meramente nazionali. Naturalmente, nel contesto delle istituzioni della globalizzazione, l’Ue è un’entità anomala. Ha una porta- ta regionale e non globale ma, allo stesso tempo, si giustifica alla luce del  

14 Per un’accurata ricostruzione di tale modello si rinvia al classico testo di G.

Esping-Andersen, The Three Worlds of Welfare Capitalism, Cambridge, Polity Press, 1990.

15 Una lucida interpretazione dei processi di integrazione europea sullo sfondo della

globalizzazione si trova in A. Giddens, L’Europa nell’età globale, Roma-Bari, Laterza, 2007.

 

processo di interdipendenza globale. È comunque, tra le istituzioni della globalizzazione, la più avanzata dal punto di vista politico, e ciò è dimo- strato dal grado di integrazione giuridica, dalla complessa architettura istituzionale che tiene assieme l’ordinamento giuridico europeo e gli or- dinamenti degli Stati membri, dal livello di integrazione economica e monetaria. Inoltre, a differenza della maggior parte delle istituzioni della globalizzazione, non ha un carattere settoriale poiché è investita di com- petenze di carattere generale. Nonostante tutte queste anomalie, per co- gliere la portata reale dell’esperienza europea, il progetto e la prospettiva dell’Ue vanno, in ogni caso, letti sullo sfondo del processo di globalizza- zione e tenendo conto delle diverse dinamiche che lo caratterizzano.

Non a caso, anche rispetto all’Ue la gestione della pandemia da Co- vid-19 ha palesato carenze politiche e istituzionali. Basti pensare a quan- to sia discutibile, oggi, la scelta di lasciare agli Stati membri la compe- tenza in materia sanitaria o a come sia stata evidente, nelle prime reazio- ni istituzionali di fronte alla pandemia, la scarsa coesione politica euro- pea dettata anche dall’attuale assetto istituzionale. In altre parole, seb- bene nell’ambito dei soggetti sovranazionali presenti nello scenario glo- bale, l’Ue rappresenti la forma più avanzata di integrazione tra Stati, l’incompiutezza del progetto politico europeo, che negli ultimi decenni è stato accantonato a favore di un’integrazione più spiccatamente econo- mica e finanziaria, è emersa con grande evidenza. In particolare, è emer- sa la mancata costituzione dell’Ue quale spazio sociale sovranazionale. Quale dimensione entro cui sia possibile aggiornare l’esperienza del modello sociale europeo per dare vita a un’idea di welfare in grado di garantire pratiche di solidarietà opponibili alle pressioni di senso diverso che giungono dal contesto globale16. Come vedremo in seguito, le misure

che potrebbero essere adottate (recovery plan) segnerebbero un’inver- sione di tendenza significativa, sebbene entro un quadro istituzionale non ancora coerente con lo scopo politico e legittimante della solidarietà sociale.

A prescindere dall’adozione di tali misure, occorrerebbe chiedersi, infatti, cosa accade se l’Ue non prova a incidere politicamente sui pro- cessi di globalizzazione economica orientandoli. Cosa accade se, al con- trario, come è sin qui avvenuto, ne esalta e asseconda la dimensione spe-  

16 Notoriamente questa prospettiva è stata delineata da Z. Bauman, L’Europa è

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culativa senza comprendere che la globalizzazione del capitalismo finan- ziario comporta la globalizzazione delle disuguaglianze? Accade, come oggi è del tutto evidente, di trovarsi di fronte al rischio di esaurire le ri- sorse, anche simboliche, di legittimazione dell’Ue come soggetto politi- co. Sul piano delle politiche di protezione sociale, il disimpegno delle istituzioni europee, sancito, di fatto, da una sostanziale assenza di com- petenza esclusiva in materia sociale alla luce dei Trattati vigenti, ha pro- vocato una generalizzata sensazione di insicurezza esistenziale, innescata proprio dal dissolvimento di quei meccanismi inibitori dell’insicurezza tipici dello Stato sociale nazionale. L’individuo appare strutturalmente debole nel contesto globale; le sue risorse personali, adesso che, a causa della crisi strutturale dello Stato sociale nazionale, è privo delle reti di tutela e dei legami sociali tradizionali atti a garantire un mutuo soccorso, sono chiaramente inadeguate. L’esclusione, il fallimento, in un contesto di precarietà endemica, sono una prospettiva reale che attraversa vecchie

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