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Famiglia, maternità ed emancipazione nella stampa femminile della Resistenza

di Sara Galli

L’agire delle donne nella Resistenza, inteso come parte fondante di un ampio fenomeno che non può essere identificato esclusivamente con la dimensione bellica, ha potuto finora emergere solo in parte, nonostan- te i numerosi contributi finalizzati a restituirne la memoria1. L’effica- cia dei meccanismi, che hanno teso a relegare la presenza delle donne ai margini della storia, ha infatti determinato il permanere di ampie zone d’ombra relative alle peculiarità di una partecipazione politica femminile, che spesso è stata assorbita, negandole i tratti che le erano propri, nella più vasta storia dell’antifascismo.

È a partire da questa «realtà» che si è avvertita l’esigenza di svolge- re una verifica sul corpus omogeneo di fonti coeve costituito dai gior- nali femminili clandestini prodotti durante l’occupazione tedesca: un materiale, questo, che su scala nazionale, non era stato finora preso in considerazione2.

Tali testate, che si inseriscono nella più vasta produzione di stampa antifascista, periodica e non, diffusa principalmente nei maggiori cen- tri urbani tra il 1944-453 rappresentano, infatti, una preziosa testimo-

1Si veda da ultimo D. GAGLIANI-E. GUERRA-L. MARIANI-F. TAROZZI(edd), Donne guerra politica. Esperienze e memorie della Resistenza, Bologna, 2000.

2Mi permetto di rinviare a S. GALLI(ed), I giornali femminili della Resistenza italiana. Catalogo, in corso di stampa. Cfr anche B. GUIDETTISERRA, Quello che

scrivevano le donne della resistenza sui loro giornali, in L. DEROSSI(ed), 1945, il vo-

to alle donne, Milano, 1998, pp. 102-134.

3S. CARLIBALLOLA-L. CASALI, Alla ricerca del consenso. La stampa fascista e antifascista nel 1943-44, in G. ROCHAT-E. SANTARELLI-P. SORCINELLI (edd), Linea

nianza per comprendere come la parte più politicizzata delle resistenti, pur nella difficoltà di doversi improvvisare giornaliste, si poneva di fronte alla situazione di guerra civile, nel tentativo di attrarre le desti- natarie alla lotta di liberazione nazionale. La lettura complessiva di questi giornali ha consentito quindi di cogliere, nel suo divenire, quel processo di maturazione politica che avrebbe portato ad affermare con forza le specificità di un soggetto politico femminile, e, al tempo stes- so, di apprezzare la trasposizione di questa raggiunta consapevolezza all’interno di scritti dal fine propagandistico.

Generalizzando, si potrebbe affermare che i giornali delle donne utilizzavano strutture stilistiche e linguistiche già collaudate dalla stampa politica maschile: l’analisi condotta da Andrea Battistini4sulla retorica dei volantini partigiani si adatta, infatti, perfettamente alla propaganda femminile clandestina. Sono i presupposti a rendere però differente la situazione. I giornali femminili rappresentavano, oltre ad una forma di lotta contro il nemico, anche la rottura di un silenzio for- zato durato oltre vent’anni, e la riappropriazione da parte delle donne della libertà di comunicare attraverso la carta stampata.

È vero che durante il fascismo, come ricorda Elisabetta Mondello, la censura sulle riviste femminili si presentava meno rigorosa e «si tra- duceva in una frantumazione dell’immagine monocorde e stereotipata della donna fascista»5. È altrettanto vero, però, che attraverso la propa- ganda clandestina le donne riacquisivano un rapporto diretto con il fa-

re politica6impensabile durante il ventennio.

Rappresentazione ed autorappresentazione sono gli strumenti fon- damentali attraverso i quali si andava strutturando nella stampa antifa- scista un’immagine di donna che rifiutava la passività ma che doveva attenersi, almeno in parte, ai ruoli tradizionali. Sembrano, quindi, co-

Movimento di Liberazione in Italia e Istituto pesarese per la Storia del Movimento di Liberazione, Atti del convegno svoltosi a Pesaro dal 27 al 29 settembre 1984, Milano, 1987, pp. 537-563.

4 A. BATTISTINI, Lingua e oratoria nei volantini della Resistenza bolognese, in Crisi della cultura e dialettica delle idee, in L’Emilia Romagna nella guerra di libe- razione, Bari, 1976, Vol. IV, pp. 631-664.

5 E. MONDELLO, La nuova italiana. La donna nella stampa e nella cultura del ventennio, Roma, 1987, p. 14.

esistere spinte contrapposte che vedono, da un lato, la necessità di rac- contare la centralità dei ruoli ricoperti dalle donne nella lotta, e, dal- l’altro, l’esistenza di una censura interiorizzata che impone, comun- que, di rifarsi incessantemente a figure femminili stereotipate.

La mater dolorosa, per esempio, una delle rappresentazioni mag- giormente utilizzate, sia dalla propaganda fascista, che da quella resi- stenziale, per contrapporre un’immagine femminile statica a quella di- namica dell’uomo in guerra, compare anche in questa stampa, ma con alcune importanti variazioni: nell’impossibilità di scardinare la visione tradizionale della donna le si riservava, quantomeno, un ruolo attivo e compatibile con i propri doveri familiari7.

1. La famiglia come riferimento irrinunciabile

Sin dalla prima lettura della stampa femminile clandestina non si può fare a meno di notare come i ruoli familiari in generale, e quello ma- terno in particolare, ricorrano talora in modo ripetitivo, conferendo al- la scrittura nel suo insieme un aspetto di retorica, che per molti versi sembra derivato dal lungo ventennio che ne fa da retroscena. L’im- pressione immediata è quella di un’assenza di movimento nella ridefi- nizione dei ruoli femminili e di un arroccamento nel territorio sicuro ed incontestato della famiglia. Uno sguardo più attento però pare rive- lare, dietro al continuo riferimento alla simbologia familiare e mater- na, l’esistenza di significati concettualmente diversi, significati che l’esperienza resistenziale ha fatto emergere e che riguardano in modo specifico quell’atteggiamento di protesta civile che ha preso il via dall’8 settembre 1943, all’atto dell’occupazione tedesca, e che A. Bra- vo ha definito «maternage di massa»8. Le istanze delle quali le donne si faranno portatrici, rifacendosi al proprio vissuto materno, rivelano infatti un’ampiezza ed una varietà di contenuti che non è possibile ignorare. La madre come figura statica sembra, quindi, venir negata dalle molteplici richieste che queste donne avanzavano, proprio attra-

7D. TROMBONI-L. ZAGAGNONI, Con animo di donna. L’esperienza della guerra e della resistenza. Narrazione e memoria, Ferrara, 1998, p. 17.

8A. BRAVO-A.M. BRUZZONE, In guerra senz’armi. Storie di donne. 1940-1945,

verso la proiezione del loro ruolo, prima nel contesto bellico e poi nel- la vita pubblica.

Nell’edizione bolognese del giornale socialista «Compagna», come altrove, il riferimento materno, contenuto in un appello, non poteva ri- velarsi più esplicito:

siamo solidali soprattutto col partigiano, facciamo che il sacrificio non sia vano, diamo ad esso il conforto di un’amorosa fraterna assistenza, sia- mo le madri ideali di questi figli d’Italia che si offrono generosamente per la nostra salvezza9.

Nella prospettiva della lotta di liberazione, la maternità poteva, per- tanto, essere vissuta anche idealmente, configurando tra i principali destinatari delle cure femminili soprattutto coloro che, come i partigia- ni, rappresentavano la ricomparsa simbolica di una figura maschile forte e rassicurante, dopo il vuoto traumatico seguito all’8 settembre.10

Le operazioni di salvataggio collettivo, che le donne avevano intra- preso dopo l’armistizio, vestendo e nascondendo i soldati in fuga, si erano, successivamente, ripetute dando vita ad un repertorio di gesti che, uscendo dalla dimensione istintiva, nella quale si erano inizial- mente collocati, avevano potuto consolidarsi in schemi organizzativi ben precisi. Queste azioni coraggiose, principalmente finalizzate a sot- trarre uomini al nemico, venivano di frequente riportate sulla stampa clandestina femminile, sottolineando il particolare intreccio tra sfera affettiva e agire politico delle donne.

Sulle edizioni locali di «Noi Donne», in particolare, si riservavano alcune sezioni al racconto di episodi di questo tipo, con l’intento di ri- badire l’efficacia concreta delle azioni femminili collettive.

A Nizza Monferrato, in seguito alla cattura del federale di Asti, i fasci- sti hanno effettuato arresti e rastrellamenti per rappresaglia. L’energico comportamento di una madre, coadiuvato dalla manifestazione di donne riunitesi sulla piazza, ha salvato il proprio figlio dalle grinfie dei fascisti11.

9A tutte le donne d’Emilia e di Romagna: “assistenza ai nostri partigiani”, in

«Compagna» [Bologna], [s. a.], n. 2, 15 dicembre 1944.

10A. BRAVO, Simboli del materno, in A. BRAVO(ed), Donne e uomini nelle guerre mondiali, Roma-Bari, 1991, p. 121.

11Arrestati e strappati dalle donne agli sgherri fascisti, in «Noi donne» [Edizione

Altrove, invece, potevano essere le donne stesse a sostituirsi ai loro familiari nell’affrontare le minacce nemiche.

Un esempio di spirito combattivo che anima le donne italiane ci è dato dalle madri di Trottarello. Esse hanno saputo tener testa alle intimidazioni di alcuni gerarchi locali che “promettevano” di incendiare le loro case se i loro figli non si presentavano al più presto. Ma con grande disappunto dei fascisti si presentarono esse stesse al loro posto rendendo responsabile la loro persona degli atti dei loro ragazzi. Per sfogare la loro ira, davanti a tale smacco, i nazifascisti incendiarono due case nell’intento di spaventa- re i paesani, che, invece, compatti ed animati da un alto spirito di lotta, costrinsero, con le donne in testa, i loro odiati nemici a battere in ritirata senza essere riusciti nel loro intento12.

La maternità, con il proprio apparato simbolico, nel contesto di un totale spaesamento morale, finiva per assumere la valenza di un lin- guaggio universale13. I sentimenti familiari si confermano, pertanto, come il principale motore di questa vasta operazione femminile di «re- sistenza civile»14, rappresentando, al tempo stesso, il filo conduttore di tutta questa stampa. L’esigenza di raccogliere il maggior numero di donne prescindendo dalle loro convinzioni politico-religiose spinge- va, infatti, nella direzione di un tema a tutte molto caro, quello degli affetti.

donne se l’amore materno, l’onore muliebre, la speranza di vivere li- bere e rispettate, parlano ancora al nostro cuore, insorgiamo a fianco dei nostri uomini15.

Nella stessa Petizione delle donne di Roma per la proclamazione di

città aperta si può notare l’intento delle autrici del documento di pre-

sentarsi ai loro interlocutori come soggetti esclusivamente familiari.

12Le donne in lotta contro i rastrellamenti, in «La donna friulana» [Udine], a. I,

n. 3, 5 dicembre 1944.

13A. BRAVO-A.M. BRUZZONE, In guerra senz’armi, cit., p. 65.

14J. SÉMELIN, Senz’armi di fronte a Hitler. La Resistenza Civile in Europa 1939- 1943, Milano-Torino, 1993.

15L’ora della nostra liberazione è vicina, sta a noi di impedire la realizzazione dei criminosi piani nazi-fascisti, in «La voce delle donne» [Bologna], a. I, n. 1, 20 di-

Noi donne romane non abbiamo le pretese di discutere grossi problemi politici o di parte, il nostro appello è di madri, di donne, di italiane16.

Se è la madre ad emergere come la protagonista di una «resistenza civile mirata a tutelare la vita contro gli orrori della guerra, non si può ignorare, altresì, che il predominare della dimensione bellica impone- va, comunque, una delicata scelta di campo. Le donne della Resisten- za, pertanto, non potevano esimersi dal confronto col tema di una vio- lenza, delegata in primo luogo alla figura maschile del partigiano, con- siderata drammaticamente necessaria.

L’esclusione femminile dall’esercizio della violenza bellica impo- neva, infatti, alle donne una forma di partecipazione indiretta al con- flitto, tramite il sacrificio delle proprie figure familiari. Questo com- portamento, che poteva assumere le forme del modello della «madre spartana»17, trova anche nella stampa delle resistenti interessanti ri- scontri.

Non siate […] gelose di madre Patria, lasciate che seguano la strada dell’onore, avrete, nell’immediato domani l’orgoglio di veder ritornare i vostri eroici figli, i quali hanno dato se stessi per la salvezza e il trionfo della nazione18.

Alla figura materna che male sembrava conciliarsi con le violenze del conflitto ci si appellava, quindi, facendo presente che una parteci- pazione massiccia alla lotta di liberazione avrebbe anticipato la fine degli orrori.

Il risultato dell’attendismo sarà quello che farà durare di più la guer- ra, che creerà nuove vittime, nuove rovine al nostro paese, e soprattutto darà modo di assecondare ed appoggiare gli atti di infame bestialità nemi- ca19.

16Archivio Centrale Dell’Unione Donne Italiane, Petizione delle donne di Roma per la proclamazione di “città aperta”, Aprile 1944, ora edito in S. LUNADEI(ed),

Donne a Roma 1943-1944. Memorie di un’indomabile cura per la vita, Roma, 1996,

p. 70.

17J. B. ELSHTAIN, Donne e guerra, Bologna, 1991, pp. 145-160.

18Guerra per la libertà. “Incitamenti”, in «Compagna» [Bologna], [s. a.], n. 2,

15 dicembre 1944.

È a questo punto interessante confrontare questo modello materno con quello invece proposto dalla repubblica fascista e così descritto da Dianella Gagliani:

Ci troviamo di fronte, da un lato, a un classico “simbolo del materno”, secondo cui la donna esiste non per sé ma per l’altro; tuttavia, la disloca- zione verso la “Patria” del Maternage disegna, dall’altro, un modello di donna che entra direttamente in contatto con lo Stato in virtù del suo con- trollo morale sulla famiglia e della sua capacità di trasmissione della vo- lontà della nazione20.

Non esiste in questo caso alcuna connotazione pacifista, presente, invece, negli appelli delle donne della Resistenza, le quali, pur esor- tando i propri figli a non sfuggire alla battaglia, lo facevano nella spe- ranza di avvicinare la fine di quella che veniva definita l’ultima guerra.

Nessuna donna degna di questo nome ha mai voluto ed inneggiato ad una guerra perché ognuna di noi sente profondamente e più intensamente degli uomini il peso delle sofferenze proprie e di quelle delle altre donne21.

2. Donne e Resistenza: una guerra di liberazione personale

La Resistenza rappresentò per le donne che vi presero parte un’espe- rienza indubbiamente inedita, vissuta per lo più al di fuori dell’am- biente domestico e punteggiata da scelte rischiose. Inevitabilmente, quindi, la lotta di liberazione nazionale assumeva, nonostante le cen- sure e i pregiudizi che gravavano sulla presenza femminile22, il signifi- cato immediato di una liberazione personale, tutta da definire e da for- malizzare nel futuro dopoguerra.

I giornali femminili clandestini rappresentano, in tal senso, una fonte preziosa per comprendere come le istanze antifasciste si intrec-

20D. GAGLIANI, Nazione e donne. Il fascismo di Salò di fronte al decreto Bonomi sul voto alle donne, in L. DEROSSI(ed), 1945. Il voto alle donne, cit., p. 65.

21La donna e la guerra, in «La compagna», Edizione Piemontese [Torino], a. I, n.

3, 1 settembre 1944.

22A. BRAVO, La resistenza civile, in L. PAGGI(ed), Storia e memoria di un massa- cro ordinario, Roma, 1996, p. 153.

ciavano, nelle esperienze e nelle intenzioni delle resistenti, strettamen- te, fino talora a confondersi, con quelle emancipazioniste.

Era proprio dall’analisi delle condizioni imposte alle donne dal fa- scismo e del ristretto ambito nel quale si era tentato di relegarle che in numerosi articoli si partiva, per poi proclamare con orgoglio i motivi di una raggiunta consapevolezza politica.

Dopo avere predicato per vent’anni alle donne la sottomissione e la bellezza di stare a casa a rammendare le calze, il fascismo si trova di fron- te a operaie d’avanguardia, a donne partigiane, a combattenti della nuova Italia23.

Ad essere condannati, non erano, quindi, i ruoli tradizionali femmi- nili, bensì l’ambizione del fascismo di istituire attraverso un sistema di rapporti bloccati una gerarchia che subordinava la donna all’uomo, co- sì come la famiglia allo Stato. Tentativo, questo, che gli italiani non accettarono mai completamente e che diede vita, come ha ricordato Giovanni De Luna, ad una «duratura resistenza di un reticolo familiare parentale e comunitario»24. I vari interventi legislativi, che mirarono a fare del diritto di famiglia una branca del diritto pubblico25, si scontra- rono, nei fatti, con una crescente ostilità degli italiani, nei confronti di un regime che stava diventando sempre più invadente26.

Con l’obiettivo di approdare verso quella che Victoria De Grazia ha definito «nazionalizzazione delle donne»27, il regime aveva tracciato un percorso scandito da alcune tappe piuttosto significative, che le stesse redattrici avrebbero ricordato nei loro giornali clandestini, spes- so con una nota di rammarico per avere accettato inerti la situazione.

Anche e soprattutto sul sacro frutto della maternità il fascismo ha vo- luto speculare; chi non ricorda la politica incoraggiante al matrimonio, al- l’incremento delle nascite, la famosa campagna demografica? Tutti quei

23A fianco dei combattenti per la libertà e l’indipendenza nazionale, in «Noi don-

ne» [Bologna], a. I, n. 1, Maggio 1944.

24G. DELUNA, Donne in oggetto. L’antifascismo nella società italiana 1922- 1939, Torino, 1995, p. 35.

25P. MELDINI, Sposa e madre esemplare. Ideologia e politica della donna e della famiglia durante il fascismo, Roma-Firenze, 1975, p. 38.

26V. DEGRAZIA, Le donne nel regime fascista, Venezia, 1993, p. 120. 27Ibidem, p. 120.

teneri virgulti dovevano formare le schiere armate che il fascismo ha get- tato in guerra di prepotenza28.

A questa serie di ingiustizie subite si opponeva, però, con forza, un futuro nel quale le donne avrebbero rifiutato di essere nuovamen- te escluse dalle decisioni riguardanti il proprio principale campo d’a- zione.

Perché non ci deve essere permesso di prendere parte attiva in quella legislazione che ci interessa direttamente e che nessuno, meglio di noi donne, può sentire come urgente e necessaria? Perché deve essere riserva- to agli uomini di riformare coi propri criteri, quello che è il campo speci- fico nostro, nella istruzione, nella educazione, nella vita economica e nel- la famiglia29?

Anche nel giornale stampato dalle democristiane a Torino non si mancava di sottolineare la delusione per la riduzioni dei ruoli femmi- nili a mere appendici della volontà dello Stato.

La donna relegata dal fascismo ad una funzione puramente demografi- ca, propagandata talvolta in modo offensivo, deve essere portata su di un piano più dignitoso nella vita sociale30.

Tra le misure promosse dal regime mussoliniano, al fine di svuota- re il significato di un potere femminile, che poteva essere vissuto sim- bolicamente anche nella sfera extradomestica attraverso l’attività di educazione delle giovani generazioni, si inserisce, in questa stampa, anche il tema dell’insegnamento scolastico.

La supposta inferiorità femminile, alla quale il positivismo italiano aveva dedicato innumerevoli studi31, aggiunta alla ferma volontà di as- segnare le donne in modo esclusivo alla missione riproduttiva, spinse alcuni gerarchi al sostegno di leggi che impedivano loro lo studio e l’insegnamento delle materie considerate più importanti32.

28Per le mamme, in «Compagna» [Bologna], a. II, n. 1, 15 gennaio 1945. 29Femminismo socialista, in «Compagna» [Bologna], a. II, n. 2, 1 marzo 1945. 30I compiti della donna, in «In marcia» [Torino], a. I, Novembre 1944.

31B.P.F. WANROOIJ, Storia del pudore. La questione sessuale in Italia 1860-1940,

Venezia, 1990, pp. 171-190.

Il regio decreto 2480 del 9 dicembre 1926 escludeva le donne dai con- corsi per le cattedre di lettere, latino, greco, storia e filosofia nei licei clas- sici e scientifici, oltre che dall’insegnamento di italiano e storia negli isti- tuti tecnici. Una legge del 1928 impedì che venissero nominate presidi delle scuole medie; un’altra legge del 1940 estese questa esclusione agli istituti tecnici33.

Dal 1926 il numero di insegnanti maschi era, pertanto, destinato a salire, spodestando così, in parte, le donne dal ruolo educativo loro tra- dizionalmente riconosciuto: non si può infatti dimenticare l’importante compito di nazionalizzazione che lo stato liberale aveva affidato alle donne attraverso l’accesso alla sfera pubblica ed in particolare attra- verso le cosiddette «leve delle maestre»34.

I problemi relativi alla scuola, affrontati dalla stampa clandestina, si presentano perciò numerosi e in essi si intrecciano istanze femminili emancipazioniste e rivendicazioni di carattere puramente libertario. L’urgenza e la rilevanza attribuiti all’affermazione del diritto di parità tra uomini e donne nel campo dell’insegnamento si evincono dallo stesso Atto costitutivo programma d’azione dei GDD, nel quale, tra le altre richieste, si rivendicava:

La possibilità di allevare i propri figli, di vederli imparare una profes- sione, di saperli sicuri del proprio avvenire [...] la possibilità di accedere a qualsiasi impiego, all’insegnamento in qualsiasi scuola, unico criterio di scelta, il merito35.

Interessante era l’intervento relativo alla libertà d’insegnamento ap- parso nel primo numero dell’edizione torinese del giornale «La nuova realtà», testata dei Gruppi femminili di Giustizia e Libertà, che per la sua impostazione sembrava annoverare tra le sue collaboratrici donne di cultura medio-alta.

33V. DEGRAZIA, Le donne nel regime fascista, cit., p. 211.

34S. SOLDANI, Nascita della maestra elementare, in S. SOLDANI-G. TURI (edd), Fare gli italiani. Scuola e cultura nell’Italia contemporanea, Bologna, 1993, pp. 67-

129. Cfr. anche D. GAGLIANI, Nazione e donne, cit., p. 47.

35Archivio Centrale dell’Unione Donne Italiane, Atto costitutivo programma d’a-