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Fantasmi che appaiono. Una giornata alla Universal dei Latin Kings a Barcellona

I fantasmi delle bande genovesi divengono presenze a Barcellona, dove una ricerca approfondita (Feixa et al., 2005), condotta per conto della Dire-zione dei Servizi di PrevenDire-zione del Comune di Barcellona, raccoglie le testi-monianze di giovani (sia studenti che lavoratori, appartenenti a bande e non) e adulti (insegnanti, educatori, poliziotti, magistrati, giornalisti, leaders delle as-sociazioni dei migranti, assistenti sociali), osservando i relativi contesti di vita quotidiana (scuole, piazze e parchi, discoteche, cybercaffè) così come il trat-tamento spesso criminalizzante loro riservato dai mezzi di comunicazione16. Sono molte le somiglianze fra le due città su questo specifico campo di ricer-ca: una forte presenza di latinoamericani e nello specifico di ecuadoriani (so-prattutto donne), molti giovani (circa 50.000 con meno di 25 anni di età a Barcellona e nei comuni limitrofi), un difficile processo di ricongiungimento familiare in cui madre e figli devono riconoscersi e ritessere una relazione do-po anni di separazione, un inserimento prevalente nel settore domestico per le donne e nell’edilizia per gli uomini, condizioni di lavoro segnate da salari bassi, orari lunghi, assenza di diritti sociali, mancanza diffusa di documenti e contratti regolari. Non si tratta di soggetti ai margini, quanto di persone inte-grate in maniera subalterna nella società locale che giorno dopo giorno contri-buiscono a far fiorire Barcellona come città turistica globale e a rendere indi-pendenti le donne catalane, attraverso la cura delle case, dei figli e dei genitori anziani.

I giovani, i figli dei migranti arrivati in massa negli ultimi anni con il ri-congiungimento, devono superare quella che Feixa (2005) definisce una tripla crisi: la crisi dell’adolescenza, la crisi di una famiglia transnazionale dissemi-nata fra Americhe ed Europa, la crisi del vuoto prodotto dall’emigrazione.

Spesso richiamati contro la propria volontà, i giovani abbandonano le relazio-ni che nel proprio paese avevano costruito e approdano in contesti sconosciuti, a volte ostili, difficili da decifrare, in cui le figure di riferimento (le madri o i padri lontani) perdono il carattere mitico del emigrante triunfador, e in cui,

16. Nel novembre del 2003, l’assassinio all’uscita da una scuola dello studente colombiano Ronny Tapias ad opera di alcuni ragazzi latinoamericani viene definito dai media come esito di uno scontro fra bande: da un lato i Latin Kings (LK) dall’altro i Ñetas. Come a Genova, si pro-paga a Barcellona una situazione di allarme e di panico morale che dura tuttora.

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inaspettatamente, è il catalano, e non lo spagnolo, la lingua della scuola e del-le istituzioni pubbliche. Non a caso l’insuccesso scolastico è molto diffuso;

alla segregazione lavorativa dei genitori si accompagna spesso la segregazio-ne scolastica dei figli in istituti che si trasformano progressivamente in ghetti per stranieri. Solitudine, assenza dei familiari schiacciati da carichi di lavoro eccessivi, nostalgia di un’arcadia e di una comunità perduta, impossibilità di vivere la propria privacy in pochi metri quadrati spesso condivisi, portano così alla reinvenzione di sé in quanto latinos: giovani qui accomunati, oltre che dalla condizione di essere migranti e a volte sin papeles, da specifici gusti musicali, inflessioni linguistiche, estetiche del corpo, una pelle spesso more-na, l’utilizzo infine della strada come spazio di aggregazione e socialità, prati-ca normale nei paesi da cui provengono ma considerata come in-appropriata nelle società di arrivo.

Inventandosi come latinos, in quello che possiamo definire un processo di etnogenesi (Feixa, 2005), i giovani si lasciano alle spalle la solitudine dell’arrivo e vivono l’ebbrezza di risentirsi insieme, uniti, protetti da un’ iden-tità forte e immaginata, visibili l’un l’altro e visibili di fronte alla società degli adulti. Superano la condizione di doppia assenza (Sayad, 1999) per entrare in uno spazio in cui divengono protagonisti di una doppia presenza: da un lato riscoprono, riaffermano, ritraducono le proprie origini latinoamericane, dall’altro le rivendicano, e le agiscono, in termini di identità e di pratiche di-stintive, nella società spagnola.

Nel momento in cui l’invisibilità e la doppia assenza, si trasformano in protagonismo e visibilità negli spazi pubblici, si accende l’occhio dei media.

Come sostengono Mauro Cerbino e Carolina Recio (2005: 86), “i media han-no contribuito a creare un ritratto generale dei giovani latihan-noamericani, i cui contorni, direttamente o indirettamente sono definiti dal carattere potenzial-mente criminale della propria presenza. Ogni volta che i media si occupano di giovani latinos utilizzano il tema delle bande delinquenziali. Si creano così le condizioni più favorevoli per la creazione di uno stigma”. I media diffondono uno sguardo che fa perno sull’estetica della colpevolezza: andare vestiti larghi (a lo ancho), esibire una cultura hip hop, ascoltare reaggeton e muoversi al ritmo della breakdance, utilizzare le strade come spazio di vita e i muri come spazio da graffitare, divengono indizi di criminalità e di potenziale apparte-nenza ad associazioni pericolose. Dalla ricerca realizzata a Barcellona emer-ge, infatti, un dato interessante: gli stessi ragazzi latinos intervistati hanno ap-preso l’esistenza del fenomeno bande dai mezzi di comunicazione. “Una volta arrivati ne scoprono l’esistenza attraverso la televisione o la stampa gratuita;

nelle scuole incontrano poi altri ragazzi latinos che parlano loro delle bande;

all’uscita dalla scuola incrociano gruppi latinos che giocano a basket, calcio, 34

ballano e ascoltano musica. Anche se la maggior parte di questi gruppi non sono bande, gli abitanti del quartiere e i giovani autoctoni sospettano il contra-rio” (Feixa, 2005: 44).

Secondo la polizia il numero degli appartenenti a questi gruppi oscilla dai 400 ai 1000, ovvero fra il 2% e il 4% sul totale dei giovani (fra i 15 e i 25 an-ni) di origine latinoamericana residenti nella Gran Barcellona. Le immagini che i media costruiscono, a Barcellona come a Genova, rendono così invisibi-le il 96-98% dei giovani latinoamericani ed enfatizzano come caratteristiche universali le pratiche di una estrema minoranza. Minoranze che, osservate dal loro interno, danno però vita a pratiche inedite e spiazzanti, spesso distoniche rispetto alle stesse testimonianze da noi raccolte a Genova; quanto segue è il resoconto etnografico del nostro incontro con i Latin Kings17, una dei princi-pali gruppi operanti su scala globale, da New York a Guayaquil, da Porto Ri-co a Barcellona, da Bruxelles a Genova, da Madrid a Milano.

Riceviamo un invito via posta elettronica per partecipare domenica 20 novembre, in forma semiclandestina ma in un locale messo a disposizione dal Comune, all’ assem-blea generale dei temibili Latin Kings, accorsi a Barcellona dai quattro angoli della penisola iberica. Il contatto con i Latin Kings di Barcellona (LK) è attivato da Luis Barrios: sacerdote, psicologo e docente di “Criminal Justice” al John Jay College in New York City, ma soprattutto guida spirituale, universalmente riconosciuta fra i gio-vani di questa e di altre organizzazioni. Ai Latin Kings ha infatti aperto le porte della sua chiesa, la Iglesia Episcopal de Santa Maria, nel quartiere della Manhattan hispana di Washinton Heights. Marcia Esparza, sociologa cilena e collaboratrice di Luis Bar-rios, prepara una lettera di presentazione attraverso cui riusciamo ad accreditarci co-me soggetti degni di fiducia. Dopo la lettera, passano alcuni co-mesi di contatti e rapporti fra ricercatori, istituzioni e giovani prima che i LK (controllati assiduamente dai servi-zi segreti e da diverse poliservi-zie) decidono di essere intervistati e di collaborare con il gruppo di ricerca a Barcellona. Siamo così invitati a partecipare alla Universal, as-semblea generale che celebra in questa occasione l’incontro fra alcuni esponenti dell’amministrazione del Comune di Barcellona, il gruppo di ricerca, i fratelli e sorel-le (hermanitos y hermanitas) di ALKQN in Spagna; dietro questo acronimo – Almighty Latin Kings and Queens Nation – si cela appunto una Nazione che unisce e difende i propri affiliati sparsi per il mondo, “un gruppo di persone, una Raza, rette da un solo governo, costituzione e leggi” come dicono i ragazzi nelle interviste realizzate.

L’incontro si tiene in uno spazio giovanile messo a disposizione dal Comune. Entria-mo e siaEntria-mo accolti – noi ricercatori e le autorità - in un corridoio di benvenuto, fatto di mani che si alzano nel simbolo tipico della Nazione – la corona – e da grida corali che invocano per noi “Amor de Rey” e “Amor de Reina”. Al termine del corridoio, veniamo insigniti di una stella e di un nastro giallo e nero. Come prendiamo posto sul palco, abbiamo di fronte una sala gremita da circa 200 giovani, immigrati ma anche

17. Sulla letteratura americana sulle gang e in particolare sull’esperienza dei Latin Kings si vedano Kontos, Barrios, Brotherton (2003), Brotherton e Barrios (2004), Sanchez (2001, 2004).

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spagnoli, ragazzi e ragazze, molti vestiti di giallo e nero, i colori dei LK. Una grande bandiera è alle nostre spalle, tutto il salone è addobbato, come racconta un ragazzo, di giallo “per il sole che illumina la Nazione”, di nero “per la voglia di conoscenza e come tributo di onore ai fratelli morti”. Alla nostra sinistra si dispongono i cerimonie-ri dell’incontro, i capi (corona) della Nazione a Barcellona, un uomo e una donna di circa trenta anni; portano un rosario, giallo e nero, con un Cristo e una Croce. Raccon-tano nelle interviste che il giallo e il nero rappresenRaccon-tano la fuerza café, il lignaggio della razza latina nel suo carattere meticcio. La massa indistinta di ragazzi e ragazze che urla ripetutamente Amor de Rey! in segno di saluto perde il proprio anonimato:

molti (la stragrande maggioranza) sembrano minorenni, alcuni bambini corrono da un lato all’altro del salone, molti i neonati con i relativi passeggini parcheggiati e i bibe-ron preparati; alcune ragazze sono incinte, altre allattano.

Finisce il saluto e inizia la preghiera. Alcuni passi della Bibbia sono letti, altri passi tratti dalla Bibbia LK – una sorta di codice di comandamenti, prescrizioni e massime di vita – vengono declamati. Il cerimoniere riassume le virtù e gli insegnamenti di tut-ti i capi che la Nazione sino ad oggi ha conosciuto. Infine si chiede un minuto di si-lenzio in onore dei fratelli – los hermanitos y hermanitas – morti. Tutti i partecipanti si inginocchiano e guardano per terra, alcuni alzando la mano a segno di corona indi-vidualmente, altri incrociando la propria mano con quello di un vicino. Il silenzio è rotto ancoro una volta da un grido: Amor de Rey, Amor de Reina! I cerimonieri leg-gono a questo punto i principi della Nazione: “Primo: costituire una Organizzazione attraverso cui Noi – come fratelli e sorelle, come uomini e donne – possiamo realizza-re il nostro sogno di vita. Secondo: Unirealizza-re la nostra Razza Latina e costruirealizza-re una forte organizzazione per le nostre famiglie e i nostri bambini, in maniera tale che i nostri figli possano aver successo come è diritto di ogni bambino. Terzo: dar vita ad una Or-ganizzazione legittima ed essere forti finanziariamente per costituire una impresa po-tente e divenire una fonte di lavoro per la nostra gente. Quarto: Essere un esempio per i nostri giovani, per unirli e guidarli alla ricerca della vera educazione, affinché pos-sano essere produttivi e capaci di costruire una vera società, che dia forza alla Nostra Nazione e preservi la nostra cultura ispanica”.

Adesso è il nostro turno, dobbiamo presentarci. I brevi interventi del rappresentante del Comune, dei diversi tecnici e assistenti sociali, di un rappresentante del Sindic de Greuges (Ombdusman) per i diritti dei minori, di noi ricercatori battono sul tema della pace, del riconoscimento, dell’importanza della mutua conoscenza, del rifiuto della violenza, della discriminazione cui spesso sono soggetti i giovani, tanto più se di ori-gine immigrata. I funzionari pubblici manifestano la volontà di riconoscere il gruppo come associazione giovanile, a patto che ogni comportamento violento sia bandito.

Ogni intervento si chiude con uno scatto in piedi, applausi, il grido di Amor del Rey!, la mano alzata a corona. Adesso è il turno della platea. Il cerimoniere chiama herma-nitos e hermanitas a dichiararsi. Di fronte al palco sfilano persone scelte, giovani che guidano delle sezioni (capitulos) della Nazione in città; successivamente altri ragazzi e ragazze prendono liberamente la parola. Ancora una volta l’inizio e la fine di ogni intervento sono scanditi dal grido corale e dalle mani a corona; se è una ragazza ad intervenire, il grido si declina al femminile, Amor de Reina!. Gli interventi articolano concetti e desideri semplici: un giovane dice “che anche i figli dei migranti latini de-vono avere buone scuole in modo da divenire professionisti riconosciuti e persone di successo”; un altro lamenta “il razzismo e la discriminazione di cui siamo vittime”;

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una ragazza critica i mezzi di comunicazione per l’immagine falsa che danno del buon nome della Nazione e racconta della vergogna nel rivelare ai genitori l’appartenenza ai LK; una altra ancora chiede “professori attenti e scuole di qualità” e poi racconta, fra lacrime e commozione, di aver perso un bambino all’ospedale e di ricordarsi la processione di solidarietà dei propri amici. Molti insistono sulla volontà di integrazio-ne e sulla integrazio-necessità di spazi di incontro, sul desiderio di successo e ricchezza per sé e i propri figli, sul razzismo e la criminalizzazione, sulla necessità di essere riconosciuti e conosciuti per quello che realmente sono, sulla condizione di dequalificazione sociale dei genitori.

Interviene Luis Barrios, e tutti lo conoscono di fama; porta a los hermanitos i saluti della Nazione di New York e racconta della pace siglata da molti anni fra tutte le or-ganizzazione di strada latine; cita episodi di repressione ad opera del ex-sindaco Giu-liani ed infine invita ad aprire anche in Spagna un percorso capace di trasformare pie-namente la Nazione LK in un movimento sociale di rivendicazione dei diritti. Non na-sconde le difficoltà ma anche la necessità di un percorso di questo tipo, facilitato nel caso di Barcellona da istituzioni pubbliche disponibili e in ascolto. Sintetizza l’urgenza di sporcarsi le mani per cercare soluzioni citando le parole della nonna nella sua infanzia a Porto Rico: Quien no quiera quemarse, que salga de la cocina, ovvero

“Chi non vuole scottarsi, che esca dalla cucina”.A questo punto impugna la bibbia, ne legge alcuni passi, indossa l’abito, si trasforma in sacerdote e inizia a celebrare batte-simi; dieci neonati sono portati al suo cospetto e cosparsi di acqua. “In nome del pa-dre, del figlio, della mapa-dre, dello spirito. Per conto della Nazione dei Re e delle Regi-ne LatiRegi-ne” è la formula utilizzata. In due occasioni a questa formula si associano au-spici politici “contro la privatizzazione dell’educazione”, “contro la privatizzazione della salute”; Luis, che sulla giacca ha una spilletta di Monsignor Romero, sacerdote vicino alla teologia della liberazione ucciso in Salvador dagli squadroni della morte nel lontano 1980, racconta anche della sua infanzia militante a Porto Rico, delle lotte per la chiusura delle basi americane e dei molti arresti che ha subito. Dopo la celebra-zione dei battesimi, numerose coppie di giovani, alcune in attesa di un bambino, chie-dono di essere benedette.

Prende la parola la donna addetta al cerimoniale, Queen Melody, e racconta di come il buon nome della Nazione sia stato a volte infangato, che i giovani delle altre organiz-zazioni di latinos non devono essere considerati nemici; viceversa si comportano da nemici coloro che dentro la Nazione non obbediscono ai comandamenti, commetten-do atti criminali. Riafferma che l’obiettivo della Nazione è ottenere diritti e rispetto per i latinos. Si rivolge alle autorità presenti sul palco e ritma: “No los defraudare-mos”, ovvero non tradiremo la vostra fiducia, non vi inganneremo. Viene infine con-segnato in dono al sacerdote un piatto dorato con l’effigie impressa della Sagrada Fa-milia. La cerimonia si chiude, con i rituali già visti e una preghiera; a tutti viene di-stribuito un piatto di trippe e patate e un bicchiere di coca. Alcuni ragazzi si avvicina-no a avvicina-noi italiani, raccontandoci di aver vissuto, o di avere parenti e amici, a Geavvicina-nova e Milano. A uno di questi, dalla pelle chiara, chiedo da quale parte dell’America Latina venga: mi risponde di essere spagnolo.

Il racconto di una cerimonia interna dei Latin Kings, la principale banda additata dai media – a Barcellona e a Genova – come gruppo criminale, mette 37

in evidenza nuovi elementi e ci aiuta a rideclinare su altre prospettive la di-mensione cognitiva delle pandillas malas, categoria utilizzata dagli stessi ra-gazzi intervistati a Genova per distinguere fra forme di socialità legittime e sane e pratiche potenzialmente criminali e devianti. Antirazzismo, rivendica-zioni di pari opportunità per i figli dei migranti, religiosità dal basso e ibrida, centralità dei rituali, mixité di genere appaiono come elementi cruciali per de-scrivere dall’interno l’esperienza di partecipazione a queste organizzazioni.

Nel caso americano, Brotherton e Barrios (2004:23) propongono di sosti-tuire il termine bande o gang con quello di organizzazioni di strada: “gruppi formati in gran parte da giovani e adulti, provenienti da classi marginalizzate, che hanno come obiettivo di fornire ai propri membri un’identità di resistenza, un’opportunità di empowerment sia a livello individuale che collettivo, una possibilità di voice capace di sfidare la cultura dominante, un rifugio dalle tensioni e sofferenze della vita quotidiana nel ghetto, ed infine una enclave spirituale dove possano essere sviluppati e praticati rituali considerati sacri”.

Secondo questa prospettiva, le street organizations non possono essere ana-lizzate in termini di disfunzionalità né di riproduzione sociale; al contrario le loro pratiche contribuiscono a generare specifiche situazioni di resistenza/ tra-sformazione dell’ordine sociale e culturale dominante. Tre processi vengono individuati come elementi portanti di una ridefinizione dal basso (rispettiva-mente psicologica, cognitiva, sociale) di tali esperienze: recovery, renaming, reintegration (Brotherton, 2005). Il primo processo – recovery – permette una fuoriuscita individuale da esperienze di vita traumatiche reintroducendo il soggetto all’interno di uno spazio collettivo che sviluppa autostima e benesse-re18; il secondo – renaming – indica la capacità non solo di descrivere ma di risignificare il mondo e la realtà circostante a partire dalle proprie condizioni e dai propri bisogni in quanto gruppo sociale marginale. La permanente elabo-razione di rituali, di performances di strada, di linguaggi legati ai graffiti e al-la musica, di scuole e momenti di formazione per gli appartenenti a ALKQN, indica la costruzione di conoscenza e saperi collettivi attraverso cui i soggetti maturano empowerment e consapevolezza, a livello individuale e collettivo;

infine il terzo processo – reintegration – si riferisce all’accoglienza nel seno delle organizzazioni di strada latine come principale meccanismo di reinseri-mento sociale all’uscita dal carcere: l’organizzazione diviene una famiglia che accoglie, protegge, offre rifugio e orientamento. Questi tre processi sono ov-viamente situati all’interno di un contesto specifico, come quello statunitense,

18. Nel caso degli Stati Uniti Brotherton (2005: 17) sottolinea come molti esponenti dei La-tin Kings abbiamo avuto precedenti esperienze di recovery nell’ambito dei gruppi di mutuo-aiuto, in particolare fra gli Alcoholics and Narcotics Anonymous.

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segnato da incarcerazione di massa delle minoranze etniche, organizzazione etnica della voice (rivendicazioni, mobilitazioni, partecipazione), segregazio-ne spaziale e scolastica.

Nel caso europeo, l’operare delle organizzazioni di strada assume signifi-cato in relazione ai nuovi percorsi migratori dall’America latina e alla lenta ma progressiva nascita di una seconda generazione. In tale contesto, ed in via ipotetica, il processo di recovery permette di rielaborare il trauma dovuto a partenze spesso non decise direttamente dai soggetti; come le ricerche a Ge-nova (Queirolo Palmas, Torre, 2005; Ambrosini, Queirolo Palmas, 2005; La-gomarsino, 2006) e a Barcellona (Feixa, 2005) mettono in evidenza, spesso gli adolescenti vengono ricongiunti senza che abbiano elaborato in maniera autonoma la partenza, venendo così sradicati dallo spazio degli affetti, delle emozioni, della socialità entro cui si muovevano nei contesti di origine; il pro-cesso di renaming opera invece sul piano del regime della visibilità, permet-tendo da un lato di superare una condizione di doppia assenza, dall’altro di accedere ad una situazione di doppia presenza. Infine, il processo di re-integration consente di ubicare un luogo di identità forti a cui appartenere ma-terialmente o simbolicamente, sostituendo nelle loro funzioni di cura e sup-porto emotivo famiglie spesso schiacciate dai ritmi del lavoro. L’appartenenza alle bande costituisce una, fra le molte, possibilità materiali di rielaborare la propria condizione di giovani e migranti in società di cui si esperisce la

Nel caso europeo, l’operare delle organizzazioni di strada assume signifi-cato in relazione ai nuovi percorsi migratori dall’America latina e alla lenta ma progressiva nascita di una seconda generazione. In tale contesto, ed in via ipotetica, il processo di recovery permette di rielaborare il trauma dovuto a partenze spesso non decise direttamente dai soggetti; come le ricerche a Ge-nova (Queirolo Palmas, Torre, 2005; Ambrosini, Queirolo Palmas, 2005; La-gomarsino, 2006) e a Barcellona (Feixa, 2005) mettono in evidenza, spesso gli adolescenti vengono ricongiunti senza che abbiano elaborato in maniera autonoma la partenza, venendo così sradicati dallo spazio degli affetti, delle emozioni, della socialità entro cui si muovevano nei contesti di origine; il pro-cesso di renaming opera invece sul piano del regime della visibilità, permet-tendo da un lato di superare una condizione di doppia assenza, dall’altro di accedere ad una situazione di doppia presenza. Infine, il processo di re-integration consente di ubicare un luogo di identità forti a cui appartenere ma-terialmente o simbolicamente, sostituendo nelle loro funzioni di cura e sup-porto emotivo famiglie spesso schiacciate dai ritmi del lavoro. L’appartenenza alle bande costituisce una, fra le molte, possibilità materiali di rielaborare la propria condizione di giovani e migranti in società di cui si esperisce la

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