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2.2. L’attività svolta dal Centro e dalla Casa rifugio

2.2.1. Le fasi dell’intervento con la donna

Primo contatto con il personale del Centro

Il primo colloquio ha la funzione di definire e formulare la richiesta d’aiuto, attraverso l’osservazione, la spiegazione, l’interpretazione e la comprensione dei dati raccolti. Obiettivo dell’assistente sociale, è mettere a proprio agio la persona, condizione indispensabile per costruire una relazione di fiducia.

La persona viene ascoltata attentamente e si cerca di identificare i bisogni specifici della donna, garantendo il diritto della stessa a ricevere un sostegno professionale privo di qualsiasi giudizio55, indipendentemente dalla decisione finale, di iniziare a intraprendere un percorso o meno. In questa fase, viene identificato il problema allo scopo di verificarne la pertinenza con il servizio fornito e con le risorse disponibili, se si rileva che la situazione non è di pertinenza, vengono fornite le adeguate informazioni per inviare la persona al servizio competente.

Accoglimento della domanda

Risulta essenziale raccogliere le informazioni sulla situazione della persona, quindi la sua testimonianza, garantendole la confidenzialità, nonché la

55 Rappresenta uno dei principi che caratterizzano il lavoro dell’assistente sociale, che consiste

nell’astenersi da qualsiasi giudizio di valore nei confronti delle persone, sulla base dei loro comportamenti.

44 riservatezza delle informazioni ricevute, ed eventualmente il rispetto del desiderio della donna di mantenere l’anonimato56

. Proprio a tal fine, viene fatto firmare un modulo all’inizio di ogni colloquio per il consenso al trattamento dei dati personali.

Il principale strumento al fine di assumere spiegazioni e per identificare il problema principale, in modo da formulare una valutazione, è il colloquio professionale, che costituisce la base attraverso cui costruire e attivare l’intervento. E’ importante avere presenti alcuni aspetti che costituiscono le basi per la realizzazione di un colloquio efficace, ovvero la capacità di ascolto, che è una questione di spazio interiore: se è ostruito da preoccupazioni, se vi risuona ancora il colloquio precedente o se vi sono questioni personali e si continuano a cercare delle possibili risposte da dare, non sarà possibile ascoltare attentamente. Ascoltare significa, infatti, far risuonare dentro di sé l’esperienza dell’altro, accogliendola con mente libera57

.

Un’altra capacità riguarda l’osservazione: essere attenti non vuol dire soltanto recepire quanto viene detto, vuol dire anche svelare ciò che non è esplicitato a livello verbale, che può essere colto prestando attenzione ad altri segnali quali uso dello spazio, gesti, postura, tono di voce. Ciò vale anche per le emozioni quali: paura, angoscia, piacere, vergogna, che difficilmente la persona riesce ad esplicitare. E’ importante riuscire a cogliere le varie sfumature che costituiscono l’essenza dell’individuo.

Il fatto di prestare attenzione al soggetto in tutti i suoi aspetti, consente di rilevare eventuali incongruenze tra il messaggio verbale e quello analogico e di spingersi verso una migliore comprensione dell’utente.

Ascoltare e osservare la persona non basta, occorre che l’operatore si osservi lui stesso e questo per due ragioni: da una parte per evitare il rischio di proiettare i suoi valori e i suoi punti di vista; dall’altra per rendersi conto, dalle reazioni dell’utente, degli effetti che produce, quindi la sua capacità relazionale.

Percorso di analisi e valutazione della situazione

L’assistente sociale, successivamente, riflette sulle informazioni di cui è

56 Ci si riferisce, oltre all’obbligo di riservatezza e segreto professionale nell’esercizio della

professione, anche alla cosiddetta tutela della privacy prevista dal Dlgs. 196/2003.

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Si tratta di aspetti metodologici propri del servizio sociale, in base ai quali il professionista nella sua pratica lavorativa ascolta l’utente che ha di fronte in modo empatico, ma non si tratta di vivere appieno i problemi e le emozioni dell’altro, bensì coglierne i significati più profondi e ritrasmetterli in modo consapevole e razionale, mantenendo separate le due soggettività.

45 venuta a conoscenza, coinvolgendo anche l’utente (autodeterminazione) nell’analisi della situazione, allo scopo di avviare un percorso di collaborazione. Si dovranno evidenziare le risorse sia della persona, sia del servizio di appartenenza, nonché la rete di sostegno presente (famiglia, amici, comunità, ecc.).

Qualora si consideri possibile procedere alla presa in carico da parte del centro e, quindi, da uno o più dei vari professionisti di questo, si cerca di stabilire il grado di pericolosità del partner e si elabora un piano per la sicurezza, fornendo informazioni in merito ai diritti e ai servizi disponibili.

La presa in carico, in pratica, rappresenta il mandato formale per “prendersi cura” della persona e della sua situazione problematica, sancisce l’assunzione di responsabilità dell’assistente sociale, principale referente del caso. Nel centro, nello specifico, prendere in carico significa condividere il progetto con altri operatori di differenti professionalità e appartenenti a diversi servizi.

Si passa, poi, alla valutazione del caso, all’individuazione degli obiettivi e alla formulazione di strategie d’intervento mediante un confronto con le prospettive teoriche di riferimento, al fine di attuare i procedimenti necessari a contrastare e risolvere la problematica. E’ essenziale effettuare tale valutazione senza giudizi di tipo morale, partendo dalla ricostruzione della storia della persona e della sua famiglia d’origine, attraverso uno studio ponderato della situazione emersa.

Progettazione dell’intervento

Il progetto individuale d’intervento deve essere elaborato assieme alla donna, rendendola protagonista del suo stesso percorso58 e libera di decidere in qualsiasi momento se modificarlo o meno e come: nessuno si sostituisce a lei nelle scelte. Vanno definiti degli obiettivi da raggiungere e da valutare in itinere, definite delle ipotesi concrete di lavoro, che andranno a costituire il cosiddetto contratto, ovvero un accordo tra l’assistente sociale e la persona, in cui si stabiliscono le regole da rispettare, le aspettative reciproche e le azioni da eseguire per raggiungere gli obiettivi prefissati.

Questo passaggio permette di attivare l’autodeterminazione della persona e costituisce il punto di riferimento per valutare il percorso effettuato.

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Ciò favorisce nella persona un sentimento di autoefficacia, molto importante in quanto consente di effettuare un percorso dinamico nel quale le soluzioni scaturiscono dall’utente stesso, mediante la guida dell’operatore.

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Attivazione dell’intervento psico-sociale

L’intervento psico-sociale rappresenta tutto l’insieme di colloqui, riunioni, attivazione di reti, verifiche, che hanno l’obiettivo di supportare e guidare la persona nel suo percorso, ovvero nel suo progetto d’intervento, che assume le sembianze di un processo costruttivo che conduce l’utente al traguardo predefinito. E’ la fase più complessa e può richiedere tempi lunghi, nonché una grande volontà da parte sia della persona interessata, sia dei professionisti che fanno parte dell’intervento.

Molto importante è la capacità di questi di lavorare in stretta connessione, stabilendo dei tempi e modi per confrontarsi, per assumere informazioni e competenze reciproche. Attraverso un lavoro integrato si possono, infatti, attuare progetti innovativi e di spessore, che un solo servizio/operatore non riuscirebbe a sostenere.

Valutazione dei risultati e conclusione dell’intervento

La valutazione dei risultati non avviene solo alla conclusione dell’azione, è una valutazione di percorso, un’osservazione costante che misura l’impatto e gli effetti del progetto d’intervento, al fine di porre nuovi obiettivi o la modifica di quelli esistenti.

Dato che, per una donna, lasciare la casa rifugio è un passo importante, che rappresenta l’inizio di una nuova vita, esso va pianificato nei dettagli e si devono definire altri nuovi obiettivi. Prima di compiere tale decisione è necessario assicurarsi che la donna e gli eventuali figli/e abbiano:

-un reddito stabile e/o sussidi statali;

-una casa sicura e protetta (un alloggio temporaneo o casa); -un piano per la propria sicurezza;

-accordi per ulteriori colloqui di sostegno con il centro o con altre strutture.59 Deve essere ricordato che per nessun motivo possono essere diffuse informazioni relative ad altre donne ospiti, ai bambini e allo staff operante e che l’indirizzo deve essere mantenuto segreto.

L’uscita dalla casa rifugio, solo a volte, rappresenta la chiusura vera e propria dell’intervento, altre volte è uno step del percorso, che continuerà con

59 Sono criteri indicati dal Manuale “Via dalla violenza. Manuale per l’apertura e la gestione di un

centro antiviolenza”, Women Against Violence in Europe (WAVE). Traduzione italiana a cura della Casa delle donne per non subire violenza, Bologna, 2005

47 l’aiuto di altri servizi, o anche dei professionisti del centro, per sostenere la donna nel nuovo percorso intrapreso.

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