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La fattispecie di uscita o esportazione illecite di cose di interesse culturale

Nel documento 5/2018 (pagine 116-121)

di Antonella Massaro

3. La fattispecie di uscita o esportazione illecite di cose di interesse culturale

La tutela penale in materia di illecito trasferimento all’estero di beni culturali è affidata all’art. 174 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, il quale riproduce la struttura dell’art. 123 d.lgs. n. 440 del 1999 che, a sua volta, riproduceva l’art. 66 l. n. 1089 del 1939, modificato dall’art. 19 l. n. 44 del 1975 e poi sostituito dall’art. 23 l. n. 88 del 198816.

Il primo comma dell’articolo 174 punisce le condotte di esportazione illecita e, più esattamente, il trasferimento all’estero di cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico, nonché di quelle indicate dall’art. 11, comma 1, lettere f), g) e h)17, senza attestato di libera circolazione o licenza di esportazione.

Sono due gli elementi che caratterizzano la formulazione di questa prima fattispecie. Anzitutto, il legislatore si riferisce alle cose (non ai beni) di interesse culturale:

sembrerebbe quindi che il reato in questione, fin dalla sua formulazione letterale, risulti

“autonomo” rispetto alla nozione “formale” di bene culturale offerta dall’art. 10 Codice18. Già la Relazione ministeriale allo schema del Codice dei beni culturali, precisando il ruolo attribuito al c.d. criterio reale, chiariva che, in linea generale, l’uso dei concetti di “cosa”

e “bene” all’interno del Codice rispondesse alla scelta di riservare il termine “bene” alle cose per le quali la sussistenza dell’interesse culturale fosse stata positivamente accertata, mentre il termine “cose” indicava l’oggetto preso nella sua materialità a causa del suo presumibile o possibile interesse culturale19.

In secondo luogo, diviene fondamentale nell’economia della fattispecie la presenza della clausola di illiceità speciale20, rispondente allo schema dell’elemento

16 Sul rapporto tra la fattispecie attuale e la normativa precedente G. MORGANTE, Art. 174, in Leggi penali complementari, a cura di T. Padovani, Milano, 2007, p. 73 ss.

17 Art. 11 d.lgs. n. 42 del 2004: « f) le fotografie, con relativi negativi e matrici, gli esemplari di opere cinematografiche, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento, le documentazioni di manifestazioni, sonore o verbali, comunque realizzate, la cui produzione risalga ad oltre venticinque anni, a termini dell’articolo 65, comma 3, lettera c); g) i mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni, a termini degli articoli 65, comma 3, lettera c), e 67, comma 2; h) i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di cinquanta anni, a termini dell’articolo 65, comma 3, lettera c)»

18 Si sofferma sulle “discrasie terminologiche” derivanti dal riferimento alle cose anziché ai beni G.

MORGANTE, Art. 174, cit., p. 78. Cfr., sulla formulazione dell’art. 174 in riferimento agli artt. 2 e 11 d.lgs. n.

42 del 2004, M. TRAPANI, Riflessioni a margine del sistema sanzionatorio previsto dal c.d. codice dei beni culturali, in Patrimonio culturale. Profili giuridici e tecniche di tutela, a cura di E. Battelli, B. Cortese, A. Gemma, A.

Massaro, Roma, 2017, pp. 244-245.

19 G. SEVERINI, Artt. 1 e 2, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. Sandulli, cit., 27. A conferma del fatto che non si tratti di un’opzione terminologica indifferente a fini di disciplina, l’art. 2, d.lgs. n. 62 del 2008 ha previsto la sostituzione della parola “beni” con la parola “cose” in una serie di disposizione del Codice dei beni culturali, compreso, come già precisato, l’art. 65, comma 3, lettera c): sul punto L. CASINI, La disciplina dei beni culturali dopo il d.lgs. n. 62/2008: «Erra l’uomo finché cerca», in Giorn. dir. amm., 10/2008, p.

1062; A. SIMONATI, Art. 65, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. Sandulli, cit., p. 561.

20 Per una ricostruzione della categoria in questione, anche in riferimento al “nodo sistematico”

rappresentato dal rapporto con gli elementi normativi, in particolare, N. LEVI, Ancora in tema di illiceità speciale, in Scritti giuridici in memoria di Eduardo Massari, Napoli, 1938, p. 367; e D. PULITANÒ, Illiceità espressa

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positivo costruito negativamente21: l’esportazione deve avvenire senza attestato di libera circolazione o licenza di esportazione. La clausola in questione, dunque, rinvia alla disciplina prevista dagli art. 68 (in riferimento all’attestato di libera circolazione) e 74 (per quanto riguarda la licenza di esportazione)22. La fattispecie di esportazione illecita si applica non solo alle ipotesi in cui, pur rientrando il bene tra quelli la cui uscita può essere autorizzata, manchi l’attestato o la licenza, ma anche al caso di beni la cui uscita tout court non sia autorizzabile23: restano invece esclusi i beni soggetti al regime di libera circolazione24.

La pronuncia in commento ribadisce la rilevanza penale del tentativo ex art. 56 c.p.25, confermando un orientamento sufficientemente consolidato26. Se, convertendo in bene giuridico la ratio che ispira la disciplina amministrativistica di riferimento, si ritenesse che l’interesse tutelato dall’art. 174 sia l’integrità del patrimonio culturale nazionale, dovrebbe concludersi che la fattispecie in questione individui un reato di pericolo presunto27. Sebbene la questione non sia affrontata ex professo dalla sentenza in commento, la “pacifica” configurabilità del tentativo si colloca sullo sfondo della distinzione tra reati di pericolo astratto/presunto e reati di pericolo concreto, con la conseguente applicabilità dell’art. 56 c.p. solo ai primi, che non prevedono il pericolo come elemento costitutivo di fattispecie28.

ed illiceità speciale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1967, p. 66 ss.; ID., L’errore di diritto nella teoria del reato, Milano, 1976, 370 ss.; L. RISICATO, Gli elementi normativi della fattispecie penale. Profili generali e problemi applicativi, Milano, 2004, p. 154 ss.; G. MORGANTE, L’illiceità speciale nella teoria generale del reato, Torino, 2002, spec. p. 48 ss.

21 M. GALLO, Diritto penale italiano. Appunti di parte generale, I, Torino, 2014, p. 271 ss.

22 G. MARI, Art. 174, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A Sandulli, cit., pp. 1265-1266.

23 S. MANACORDA, La circolazione illecita dei beni culturali nella prospettiva penalistica: problemi e prospettive di riforma, in Circolazione dei beni culturali, cit., p. 13. Cass. pen., sez. III, 20 luglio 2017, n. 39517, cit., conferma che l’art. 174 «punisce non la violazione del divieto di esportazione ma - a monte - il trasferimento all’estero di cose per le quali non sia stato ottenuto l’attestato di libera circolazione (per il trasferimento verso paesi comunitari) o la licenza di esportazione (per il trasferimento verso paesi extracomunitari) e, dunque, punisce l’esportazione non accompagnata dal provvedimento autorizzatorio di uno dei beni indicati dalla norma, a prescindere dal fatto che l’“autorizzazione” possa essere in concreto rilasciata».

24 V. ancora Cass. pen., sez. III, 20 luglio 2017, n. 39517, cit., alla quale fa esplicito riferimento, proprio riguardo ai beni soggetti a regime di libera circolazione, anche la sentenza in commento.

25 L’originaria versione dell’art. 66 della l. n. 1089 del 1939 equiparava, a fini sanzionatori, la consumazione al tentativo, con una scelta difficilmente conciliabile con i principi generali in materia penale: S. MOCCIA, Riflessioni sulla tutela penale dei beni culturali, in Riv. it. dir. proc. pen., 4/1993, p. 1299.

26 R. TAMIOZZO, Art. 174, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio, coordinato da R. Tamiozzo, Milano, 2005, p. 756. Cfr. Cass. pen., sez. III., 10 marzo 1998, n. 4868, in Cass. pen., 1999, p. 1911; Cass. pen., sez. III, 28 febbraio 1995, n. 1253, ivi, 1996, p. 1579; Cass. pen, sez. III, 21 gennaio 2000, n. 2056, ivi, 2001, p. 266;

27 Sulla generica riconducibilità dell’art. 174 allo schema dei reati di pericolo G. MARI, Art. 174, cit., p. 1267.

Di pericolo astratto parla G.P. DEMURO, Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., p. 153.

28 Una ricostruzione critica della questione è offerta da G.DE FRANCESCO, Il tentativo nei reati di pericolo.

Prospettive di un dialogo ermeneutico, in Cass. pen., 5/2013, p. 1739 ss. L’incompatibilità del tentativo con i reati di pericolo concreto è stata di recente ribadita da Cass. pen., sez. III, 5 marzo 2014, n. 21759, in Foro it., 11/2014, II, cc. 598 ss.: per più ampie indicazioni giurisprudenziali sia consentito il rinvio ad A. MASSARO, Art. 56, in Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, diretta da G. Lattanzi, E. Lupo, II, Milano, 2013, pp. 598-599. Sulla generale incompatibilità del tentativo con i reati di pericolo, per l’eccessivo arretramento della soglia di punibilità che si determinerebbe attraverso la rilevanza penale del “pericolo di

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Il secondo comma dell’art. 174 punisce, attraverso un reato omissivo proprio, il mancato rientro nel territorio dello Stato, alla scadenza del termine, di beni per i quali era stata autorizzata l’uscita o l’esportazione temporanea.

L’ultimo comma dell’art. 174, infine, prevede la confisca obbligatoria delle cose, salvo che queste appartengano a persona estranea al reato.

Risulta indubbiamente peculiare, sotto il profilo terminologico, la scelta legislativa di far riferimento alle “cose” nei commi primo e terzo, inserendo invece il concetto di “beni culturali” nel secondo comma. Si tratta però di una differenza che, come affermato dalla sentenza in esame, non può vedersi attribuita una valenza decisiva, posto che sarebbe del tutto illogico concludere per la irrilevanza penale del mancato rientro delle “mere” cose culturali.

4. La nozione sostanziale di bene culturale (anche) nell’art. 174 d.lgs. n. 42 del 2004.

Meritano particolare attenzione le tesi prospettate dalla difesa nei motivi di ricorso. Sul piano meramente letterale-terminologico, il ricorrente faceva notare come l’art. 65, comma 3, lettera a) contenga un esplicito riferimento alle sole cose di interesse culturale e non anche a quelle di interesse artistico, con la conseguenza per cui rispetto a queste ultime non potrebbe operare la confisca obbligatoria. Sul versante più propriamente sistematico, si eccepiva che solo i beni di proprietà dello Stato e degli altri enti pubblici e privati previsti dall’art. 10, commi 1 e 2 sarebbero di per sé beni culturali, mentre per quelli che appartengono a privati sarebbe necessaria la dichiarazione di interesse culturale prevista dall’art. 13: quest’ultima avrebbe una vera e propria efficacia costitutiva della qualifica di bene culturale e, dunque, in assenza della dichiarazione, la cosa potrebbe liberamente uscire dal territorio dello Stato.

La Suprema Corte non incontra particolari difficoltà nel confutare gli assunti difensivi, anche se, mentre l’argomento testuale risulta in effetti di scarso pregio, la questione si presenta più complessa in riferimento alla coppia concettuale “bene culturale-cosa di interesse culturale”.

Sul piano letterale, pare del tutto condivisibile la precisazione per cui l’aggettivo

“culturale” deve considerarsi una sintesi linguistica di tutte le possibili articolazioni della culturalità: artistica, storica, archeologica, etnoantropologica, archivistica e bibliografica. Non è un caso, del resto, che nel primo comma dell’art. 174, in cui il legislatore opta per una elencazione di tipo casistico, non compaia anche l’aggettivo

“culturale”.

Quanto alle più ampie considerazioni di carattere sistematico, il riferimento del primo comma al generico concetto di “cose”, unito alla scelta di non inserire nel testo dell’art. 174 (solo) un rinvio esplicito alle precedenti disposizioni amministrative, potrebbe valere da solo a supportare l’idea di una “indipendenza” della fattispecie penale rispetto alle definizioni amministrative: è sufficiente un rapido confronto con la

un pericolo”, per tutti, F. MANTOVANI, Diritto penale, X ed., Padova, 2017, p. 445.

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tecnica di formulazione degli articoli 169, 170, 171, 172, 173 per evidenziare le peculiarità dell’art. 174. Sembrerebbe, altrimenti detto, che in riferimento alla illecita esportazione di cose di interesse culturale non siano chiaramente riconoscibili i tratti di quel “diritto penale meramente sanzionatorio” che rappresenta una delle cifre caratterizzanti della disciplina ricavabile dal d.lgs. n. 42 del 2004.

Sono ben note le criticità relative a un impiego ancillare del diritto penale rispetto a quello amministrativo, tanto sul versante del principio di sufficiente determinatezza-chiarezza del testo legislativo quanto su quello della necessaria offensività. Da una parte, infatti, i continui rinvii alla disciplina di settore rischiano di generare delle «vertigini combinatorie» che sacrificano l’intellegibilità del testo e riverberano i propri effetti sul piano dell’elemento soggettivo, posto che l’oggetto del dolo finisce per sovrapporsi all’ambito di operatività dell’errore sul precetto29. Dall’altra parte, il rischio sempre presente è quello di porre la sanzione penale a presidio della mera disobbedienza di precetti amministrativi: si abbandonano i più rassicuranti lidi della “tutela di beni” per navigare le insidiose correnti della “tutela di funzioni”30 , realizzando interventi più per

“campi di materia” che per “tipo di disciplina”31, oltretutto mediante l’uso e l’abuso dello schema dei reati di pericolo presunto32. Si tratta però di obiezioni rispetto alle quali, come anticipato, l’art. 174 del Codice dei beni culturali e del paesaggio parrebbe sufficientemente immune.

Condividendo l’idea per cui la fattispecie in questione sarebbe posta a tutela del patrimonio culturale reale33, la suprema Corte ritiene necessario abbandonare una nozione meramente formale a favore di una nozione sostanziale di bene culturale:

«l’equazione bene culturale = cosa già dichiarata di interesse culturale all’esito delle procedure

29 A. MANNA, Introduzione al settore penalistico del codice dei beni culturali e del paesaggio, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., 11. Analoghe considerazioni in riferimento alla tutela penale dell’ambiente, che mostra evidenti punti di contatto con quella del patrimonio culturale, sono svolte da M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente. Contributo all’analisi delle norme penali a struttura «sanzionatoria», Padova, 1996, spec. p.

61. Per un efficace inquadramento dell’impiego del rinvio nella prospettiva delle tecniche di drafting legislativo, per tutti, R. PAGANO, Introduzione alla legistica. L’arte di preparare le leggi, II ed., Milano, 2001, p.

146 ss. Sulle questioni relative all’oggetto del dolo nei reati “a condotta neutra” doveroso il rinvio a M.

DONINI, Il delitto contravvenzionale. “Culpa iuris” e oggetto del dolo dei reati a condotta neutra, Milano, 1993, spec.

p. 58 ss.

30 M. TRAPANI, Riflessioni a margine del sistema sanzionatorio, cit., p. 249. Più in generale T. PADOVANI, Tutela di beni e tutela di funzioni nella scelta fra delitto, contravvenzioni ed illecito amministrativo, in Cass. pen., 1987, spec.

p. 675; S. MOCCIA, Dalla tutela di beni alla tutela di funzioni: tra illusioni postmoderne e riflussi illiberali, in Riv. it.

dir. proc. pen., 1995, p. 343; F. PALAZZO, I confini della tutela penale: selezione dei beni e criteri di criminalizzazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, p. 468 ss.; G.MARINUCCI,E.DOLCINI, Corso di diritto penale, III ed., Milano, 2001, p. 551; R. BAJNO, La tutela dell’ambiente nel diritto penale, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1990, p. 341; F. GIUNTA, Il diritto penale dell’ambiente in Italia: tutela di beni e o tutela di funzioni?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, p. 1095.

31 C.E. PALIERO, «Minima non curat praetor». Ipertrofia del diritto penale e decriminalizzazione dei reati bagatellari, Padova, 1985, p. 99 ss.

32 Necessario (e sufficiente in questa sede) il rinvio alle note considerazioni di M. GALLO, I reati di pericolo, in Foro pen., 1969, pp. 5-9. Con specifico riferimento alla tutela penale del patrimonio culturale mediante reati di pericolo astratto S. MOCCIA, Riflessioni sulla tutela penale dei beni culturali, cit., p. 1274 ss.; G.P. DEMURO, Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., p. 264 ss.

33 G.P. DEMURO, Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., pp. 154-155.

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previste dagli artt. 12 e 14, d.lgs. n. 42 del 2004» non troverebbe riscontro alcuno, né nella lettera della legge né in argomenti di tipo sistematico. I giudici di legittimità valorizzano in proposito la formulazione dell’art. 2, comma 2 d. lgs. n. 42 del 2004 che, definendo i beni culturali, si riferisce anche alle «altre cose individuate dalla legge o in base alla legge». A ben vedere, tuttavia, la definizione “aperta” contenuta dell’art. 2, comma 2 del Codice rinvia comunque a parametri di tipo “formale”34 e soprattutto, pur contribuendo a delineare la ratio dell’intero d.lgs. n. 42 del 2004, non può certo vedersi attribuita efficacia dirimente nell’individuazione del bene giuridico rilevante a fini penalistici (come invece sembra ritengano i giudici di legittimità).

Quel che conta per l’applicazione dell’art. 174, ad ogni modo, è che la “cosa”

presenti un oggettivo interesse culturale, pur non essendo formalmente dichiarata “bene culturale”.

La premessa in questione ha trovato ampia applicazione nella giurisprudenza in materia di impossessamento illecito di beni culturali (art. 176 d.lgs. n. 42 del 2004), fattispecie che non richiederebbe, almeno quando si tratti di beni appartenenti allo Stato, il formale accertamento del c.d. interesse culturale, essendo sufficiente che la

“culturalità” sia desumibile da caratteristiche oggettive del bene35. La sentenza in esame, richiamando i precedenti in questione, supera il possibile ostacolo relativo al fatto che gli stessi, contrariamente al caso di specie, si riferiscano a beni appartenenti allo Stato, limitandosi ad osservare che anche per questi ultimi si rende necessaria la verifica dell’interesse culturale di cui all’art. 12. Si tratta, forse, di considerazioni che rischiano di provare troppo. Per i beni appartenenti allo Stato, quella “presunzione di culturalità”

che nella legge Bottai del 1939 li distingueva dai beni appartenenti ai soggetti privati risulta, in buona sostanza, confermata36 e quindi non sorprende che la tutela penale operi indipendentemente da una formale dichiarazione che accerti il carattere culturale del bene. Proprio in riferimento ai beni culturali appartenenti ai privati, per contro, emerge in tutta la sua evidenza quella duplice anima, privatistica (la proprietà) e pubblicistica (il valore culturale)37, che rende necessario il complesso sistema di pesi e contrappesi elaborato dalla normativa di settore. La disciplina dei beni culturali rappresenta per propria natura una “eccezione”, in quanto deroga al principio della libera proprietà38: sebbene sia innegabile il definitivo approdo ad una tutela penale diretta del bene

34 Cfr. G. SEVERINI, Artt. 1 e 2, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. Sandulli, cit., p. 27.

35 Cass. pen., sez. III, 24 ottobre 2006, n. 39109, in Cass. pen., 12/2007, p. 4681; Cass. pen., sez. III, 7 luglio 2011, n. 41070, in Cass. pen., 12/2012, p. 4244; Cass. pen, sez. II, 18 luglio 2014, n. 36111, in Cass. pen., 4/2015, p. 1597.

Contra Cass. pen, sez. III, 27 maggio 2004, n. 28929, in Cass. pen., 11/2005, p. 3451, con nota critica di P.

CIPOLLA,P.G.FERRI, Il recente codice dei beni culturali e la continuità normativa in tema di accertamento della culturalità del bene.

36 P.CIPOLLA,P.G.FERRI, Il recente codice dei beni culturali, cit., p. 3459.

37 M.S. GIANNINI, I beni culturali, in Riv. trim. dir. priv., 1976, I, p. 25.

38 G. SEVERINI, Artt. 1 e 2, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. Sandulli, cit., p. 11, anche per ampie indicazioni bibliografiche.

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culturale39, sarebbe forse eccessivo concludere per la completa irrilevanza della distinzione tra “beni culturali pubblici” e “beni culturali privati”40.

La circostanza alla quale potrebbe attribuirsi rilievo determinante è, come già precisato, la tecnica di formulazione dell’art. 174, con la conseguente possibilità di valorizzare l’argomento a fortiori: se si ammette che la tutela penale possa operare indipendentemente da un provvedimento formale che attesti la culturalità del bene in riferimento a fattispecie, quale quella di cui all’art. 176, che contengono un rinvio esplicito all’art. 10, a fortiori dovrebbe ammettersi la medesima conclusione per l’art. 174, che contiene un generico riferimento alle “cose” di interesse culturale. Non si tratta, del resto, di una conclusione irragionevole sul piano sistematico, posto che la ratio dell’art.

174 è quella di realizzare una tutela anticipata dell’integrità del patrimonio culturale nazionale, specie attraverso la rilevanza penale di condotte che, determinando l’uscita della “cosa” dal territorio dello Stato, renderebbero di fatto irrealizzabile una verifica volta a dichiarare la sua “formale” culturalità.

La nozione di bene culturale “reale”, necessaria a definire l’ambito operativo dell’art. 174, dunque, non incontra ostacoli insormontabili41, né sul piano letterale né su quello sistematico, rendendo più sfumata la distinzione tra la tutela penale del patrimonio culturale apprestata dal codice penale e quella rinvenibile nel d.lgs. n. 42 del 2004. Potrebbe infatti ritenersi che mentre il codice penale appresti una tutela esterna e indiretta, indipendente dalla previa dichiarazione, il codice dei beni culturali abbia introdotto una tutela diretta, “filtrata” proprio dalla dichiarazione dell’autorità competente42: la tendenza, viceversa, sembra quella per cui, salve diverse ed esplicite disposizioni in senso contrario, il patrimonio culturale reale rappresenti l’oggetto privilegiato della tutela penale, complessivamente intesa.

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