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Fatto salvo (almeno) il contratto di lavoro intermittente

Nel documento Lavoro: una riforma sbagliata (pagine 103-107)

di Pierluigi Rausei*, Roberta Scolastici

Il contratto di lavoro intermittente (c.d. job on call, ossia contratto a chiamata) che dal d.d.l. del Governo, sembrava destinato a permanere nell’ordinamento in via meramente residuale, risulta invece rivitalizzato dalle misure emendative introdotte dalla Commissione lavoro del Senato. Viene così ripristinata, nell’ambito dell’art. 34, comma 1, d.lgs. n. 276/2003, la possibilità di stipula del contratto a chiamata per «periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno», completamente abrogata nella proposta iniziale.

Anche le dimensioni applicative, in particolare il riferimento al requisito soggettivo, ovvero al limite di età, che consentiva sempre di ricorrere all’istituto nei confronti di soggetti in stato di disoccupazione con meno di 25 anni di età, ovvero di lavoratori con più di 45 anni di età (anche pensionati, e a prescindere dallo stato di disoccupazione) del tutto eliminato dall’art. 7, comma 1, lett. a) del d.d.l. originario, è stato parzialmente reintrodotto, seppure con alcune modifiche. Ed infatti il comma 21 dell’art. 1, lett. a), va a riscrivere il comma 2 dell’art. 34, del d.lgs. n. 276/2003, disponendo che il contratto di lavoro intermittente «può in ogni caso essere concluso con soggetti con più di cinquantacinque anni di età e con soggetti con meno ventiquattro anni di età» che potranno svolgere prestazioni lavorative a chiamata entro il compimento del venticinquesimo anno di età. Il mancato richiamo esplicito ai pensionati, non sembra escludere nei loro confronti l’applicazione del nuovo contratto, posto che nessuna disposizione lo preclude.

Il provvedimento conferma, invece, la totale abrogazione dell’art. 37, comma 2, che consentiva lo svolgimento di lavoro intermittente per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno individuati dalla contrattazione collettiva. Tuttavia, venendo meno tale previsione, e conseguentemente il richiamo alla stessa da parte dell’art. 34, comma 1, viene a mancare un riferimento normativo utile a parametrare la “determinatezza” dei periodi entro i quali sia possibile svolgere la prestazione.

Se ne deve dedurre che l’individuazione dei «periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno» sia rimessa totalmente alle parti individuali del contratto di lavoro intermittente, potendosi

* Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero personale dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione alla quale appartiene.

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richiamare i contenuti della circolare ministeriale n. 4 del 3 febbraio 2005 1

D’altro canto, viene fatto salvo anche l’art. 40, che prima dell’intervento emendativo del Senato, con effetti immediati ed incisivi, era stato completamente eliminato, escludendo la possibilità di avviare rapporti di lavoro a chiamata con riferimento allo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente nei confronti dei soggetti individuati dal decreto ministeriale 23 ottobre 2004, che a sua volta rinvia Regio Decreto 6 dicembre 1923, n. 2657. Nonostante alcune delle figure professionali ivi richiamate

soltanto come parametro orientativo “minimo” garantito, ma non per questo obbligatorio e inderogabile.

2 risalgano a tempi remoti3, il provvedimento consente di ricorrere al lavoro a chiamata in alcuni settori, come quello del turismo, in cui esso è diventato strumento essenziale, utilizzato annualmente per l’assunzione di circa 70.000 lavoratori4

Tuttavia la nuova normativa, con la totale eliminazione dell’art. 37 del d.lgs. n. 276/2003, va a cancellare alcuni elementi portanti della disciplina oggi vigente. In particolare, se con l’abrogazione del primo comma, si dispone che ai lavoratori intermittenti con obbligo di risposta alla chiamata per prestazioni da rendersi il fine settimana, nei periodi delle ferie estive o delle vacanze natalizie e pasquali l’indennità di disponibilità deve essere corrisposta anche ove non vi sia stata una effettiva chiamata nei periodi di riferimento, con l’abrogazione del secondo comma, si abolisce la facoltà riconosciuta dal d.lgs. n.

276/2003 ai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale di individuare ulteriori periodi predeterminati nei quali poter assumere con contratto di lavoro intermittente.

. Se la riforma non fosse stata emendata, le causali oggettive per l’intermittente sarebbero state drasticamente abrogate, e si sarebbe dovuto fare riferimento esclusivamente alle esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale.

Inoltre, «al fine di rendere più trasparente il ricorso a tale contratto» (così si legge nella relazione di accompagnamento) l’art. 1, comma 21, lett. b) del d.d.l. emendato introduce nell’art. 35 del d.lgs. n.

276/2003 un nuovo comma 3-bis, in forza del quale, prima dell’inizio della prestazione lavorativa ovvero di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni del lavoratore intermittente, il datore di lavoro deve darne comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro competente per territorio, specificandone la durata, sia mediante sms, fax o posta elettronica, anche non certificata, che con modalità semplificate individuate con apposito decreto interministeriale. Dunque, con l’entrata in vigore della nuova disciplina, il datore di lavoro sarà tenuto ad effettuare una comunicazione preventiva

1 La circ. ministeriale n. 4/2005 declinava la definizione puntuale dei fine settimana, dei periodi delle ferie estive e delle vacanza natalizie e pasquali. Così doveva intendersi per week-end il periodo che va dal venerdì pomeriggio, dopo le ore 13.00, fino alle ore 6.00 del lunedì mattina successivo. Mentre per “vacanze natalizie” ci si conformava alla prassi dei pubblici esercizi e della grande distribuzione, ampliando la sfera di applicabilità del contratto, ricondotto al “clima” natalizio per tutto il periodo compreso fra il 1° dicembre e il 10 gennaio. Analogamente veniva definito come “vacanze pasquali” il periodo che va dalla domenica delle Palme al martedì successivo il Lunedì dell’Angelo. Infine, con riferimento alle ferie estive il Ministero sposava una nozione di “estate” non meramente stagionale, comprendendo nella locuzione temporale tutti i giorni che vanno dal 1° giugno al 30 settembre.

2 Segnatamente, il r.d. n. 2657/1923, fa riferimento a quelle occupazioni «che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia, alle quali non è applicabile la limitazione dell’orario sancita dall’art. 1 del d.l. 15 marzo 1923, n. 692» tra cui: custodi, guardiani diurni e notturni, guardie, portinai, fattorini, camerieri, personale di servizio e di cucina negli alberghi, trattorie, esercizi pubblici in genere, carrozze-letto, carrozze ristoranti e piroscafi, personale addetto ai trasporti di persone e di merci, magazzinieri, cavallanti, stallieri e addetti al governo dei cavalli e del bestiame da trasporto, nelle aziende commerciali e industriali, addetti a centralini telefonici, personale addetto alle gru, capistazione di fabbrica e personale dell’ufficio ricevimento bietole nella industria degli zuccheri, ecc.

3 A tale riguardo il Ministero del lavoro, con la circ. n. 4/2005, ha chiarito che il richiamo alle tipologie di attività contenute nel citato Regio Decreto deve intendersi nel senso di una individuazione delle attività come «parametro di riferimento oggettivo per sopperire alla mancata individuazione da parte della contrattazione collettiva alla quale il decreto ha rinviato per l’individuazione delle esigenze a carattere discontinuo ed intermittente specifiche per ogni settore».

4 Si legga P. Tomassetti, A. Stoccoro (a cura di),Turismo: ombre e luci della Riforma del lavoro, Boll. speciale Adapt del 20 marzo 2012, n. 8.

Articolo 1, comma 21 – Lavoro intermittente 91

in occasione di ogni chiamata al lavoro (in luogo di una unica comunicazione iniziale). In sostanza, una volta effettuata la comunicazione preventiva obbligatoria per l’instaurazione del rapporto di lavoro intermittente (tramite il Sistema CO con il modello UniLav) per ogni successiva chiamata sarà necessaria una comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro (tramite fax o PEC).

L’art. 1, comma 22 del d.d.l. prevede, infine, uno specifico regime transitorio, stabilendo che i contratti di lavoro intermittente già sottoscritti al momento della entrata in vigore della riforma, che risultino incompatibili con le nuove disposizioni, cessano di produrre effetti alla scadenza dei 12 mesi successivi alla data di vigenza della riforma.

Il job on call, oltre ad avere l’indubbio merito di avere consentito l’emersione di migliaia di posti di lavoro in nero, o propriamente sommerso, soprattutto con riferimento a pensionati e studenti, ha altresì il vantaggio di essere un importante strumento di flessibilità per l’impresa. Ed infatti, l’istituto non solo consente di assumere in ragione della intermittenza o discontinuità della prestazione lavorativa, modulando l’attività ai flussi di domanda che cambiano, ma ha altresì il vantaggio di non essere soggetto ai rigidi vincoli del lavoro subordinato a tempo determinato, di cui al d.lgs. n. 368/2001. In particolare, il Ministro del Lavoro, con Circolare n. 4/2005, ha esplicitamente chiarito che con riferimento alla assunzione con contratto a chiamata a tempo determinato non è applicabile la disciplina del d.lgs.

n. 368/2001, che infatti non è espressamente richiamata dal d.lgs. n. 276/2003 come avviene invece, per esempio, con riferimento al contratto di inserimento al lavoro (che la nuova disciplina si propone di abrogare in toto). Peraltro anche le ragioni che legittimano la stipulazione del contratto a termine sono, in questo caso, espressamente indicate dalla legge per cui sarebbe inappropriato il richiamo all’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001. Dunque, nel caso assunzione a termine con contratto di lavoro intermittente, non è necessario apporre una causale giustificativa, né rispettare il periodo di intervallo obbligatoriamente previsto per i contratti a termine (di cui all’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 368/2001, così come modificato dall’art. 1, comma 9 del provvedimento di riforma) nelle ipotesi di riassunzione.

Rispetto alla prima versione dell’istituto, si confermano i divieti originariamente previsti. Il contratto di lavoro intermittente, continuerà quindi ad essere vietato per la sostituzione di lavoratori in sciopero, così come presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, nei sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni oppure presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti od una riduzione dell’orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a chiamata (salvo diversa disposizione degli accordi sindacali), nonché da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi del d.lgs. n. 81/2008 (così come modificato dal d.lgs. n. 106/2009).

Al datore di lavoro che ometta la comunicazione preventiva prevista di cui al nuovo comma 3 bis dell’art.

35, per ciascun lavoratore interessato, verrà comminata una sanzione pecuniaria amministrativa da 400 euro a 2.400 euro, per la quale è esclusa la procedura di diffida precettiva (di cui all’art. 13 del d.lgs. 23 aprile 2004, n. 124). Rispetto al testo originario proposto dal Governo la sanzione (che andava da 1.000 euro a 6.000 euro) è stata incisivamente ridotta. Tuttavia, anche nel nuovo disegno edittale, l’ammontare della stessa appare totalmente incongruo rispetto al valore della condotta antidoverosa, trattandosi di una omessa comunicazione, e non di una mancata attivazione di trattamenti sostanziali di tutela. Se raffrontata con altri inadempimenti in materia di comunicazioni obbligatorie, del tutto similari, è evidente la sproporzione fra la sanzione amministrativa prevista per quelle violazioni – da 100 a 500 euro, art. 19, comma 3, del d.lgs. n. 276/2003 – e quella che si vorrebbe oggi irrogare per la mancata comunicazione preventiva dei giorni di effettiva chiamata, con riguardo a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione.

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SCHEDA RIEPILOGATIVA

Articolo 1, comma 21 – Lavoro intermittente

● Viene mantenuto, seppure con alcune modifiche l’art. 34, comma 2, del d.lgs. n. 276/2003, sui requisiti soggettivi che consentono di ricorrere “in ogni caso” al lavoro intermittente.

In particolare, secondo la nuova norma, così come emendata, il contratto di lavoro intermittente può essere concluso:

a) per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi e, in via sussidiaria, dal D.M. 23 ottobre 2004;

b) con soggetti con più di 55 anni di età e con soggetti con meno di 24 anni di età (le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il venticinquesimo anno di età);

c) per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno.

● Si dispone l’abrogazione dell’art. 37 del d.lgs. n. 276/2003, che stabiliva:

a) la corresponsione della indennità di disponibilità, per prestazioni da rendersi il fine settimana, nonché nei periodi delle ferie estive o delle vacanze natalizie e pasquali, soltanto in caso di effettiva chiamata da parte del datore di lavoro;

b) la previsione da parte dei contratti collettivi di ulteriori periodi predeterminati.

Ne consegue che:

1) ai lavoratori intermittenti con obbligo di risposta alla chiamata per prestazioni da rendersi il fine settimana, nei periodi delle ferie estive o delle vacanze natalizie e pasquali l’indennità di disponibilità deve essere corrisposta anche ove non vi sia stata una effettiva chiamata nei periodi di riferimento;

2) si abolisce la facoltà riconosciuta dal d.lgs. n. 276/2003 ai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, di individuare ulteriori periodi predeterminati nei quali poter assumere con contratto di lavoro intermittente.

● Prima dell’inizio della prestazione lavorativa ovvero di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni del lavoratore intermittente, il datore di lavoro deve darne comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro competente per territorio, specificandone la durata, sia mediante sms, fax o posta elettronica, anche non certificata, che con modalità semplificate individuate con apposito decreto interministeriale. La violazione dell’obbligo è punita con sanzione amministrativa da 400 euro a 2.400 euro per ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione (non si applica la diffida di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 124/2004).

● Viene previsto uno specifico regime transitorio, secondo cui i contratti di lavoro intermittente già sottoscritti e in corso di svolgimento, che risultino incompatibili con le nuove disposizioni, cessano di produrre effetti alla scadenza dei 12 mesi successivi alla data di entrata in vigore della riforma.

Articolo 1, comma 21 – Lavoro intermittente 93

SCHEDA DI VALUTAZIONE

Nel documento Lavoro: una riforma sbagliata (pagine 103-107)