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La grandissima variabilità nella gravità dei sintomi con cui si manifesta l’autismo suggerisce l’intervento di una serie di fattori ambientali nell’eziopatogenesi della malattia.

Gravidanza e periodo neonatale: Qualsiasi condizione che interferisca con lo sviluppo del cervello può avere teoricamente effetti a lungo termine sulle funzioni sensoriali, linguistiche, sociali e mentali di un bambino, sì da determinare una sintomatologia autistica. Sono state, di volta in volta, chiamate in causa diverse situazioni, quali affezioni mediche interessanti la madre durante la gravidanza, problemi legati al parto o altri fattori ambientali(Gillberg et al., 1992). Allo stato attuale tuttavia, non è stata dimostrata alcuna significativa associazione fra una di tali noxae patogene e l’autismo. Peraltro, gli studi che sembrano indicare una maggiore incidenza di patologie perinatali

in popolazioni di soggetti autistici rispetto a gruppi di controllo rinforzano l’ipotesi secondo cui i soggetti con disordini geneticamente determinati abbiano una maggiore predisposizione ad una sofferenza pre- perinatale.

Tra i fattori ambientali da considerare, vi sono le esposizioni intrauterine o perinatali a virus e tossine, che potrebbero essere, direttamente o attraverso meccanismi immunomediati, gli effettori diretti del danno neurologico.

I numerosi studi che fino ad oggi sono stati condotti allo scopo di dimostrare la possibile associazione di tali fattori con l’autismo hanno tuttavia fornito risultati contrastanti e non ancora totalmente convincenti.

Un altro fattore di rischio ambientale che può aumentare la probabilità che si manifesti autismo è l’esposizione, durante il periodo prenatale, a sostanze chimiche teratogene come l’acido valproico (un farmaco antiepilettico) e il talidomide (un farmaco usato in passato come sedativo). In particolare è stato dimostrato che l’esposizione all’acido valproico durante le prime settimane di sviluppo embrionale può indurre nei ratti delle anomalie nel cervelletto simili a quelle osservabili nei soggetti autistici, supportando l’ipotesi che la sindrome possa derivare da alterazioni nella maturazione del sistema nervoso indotte nelle fasi di chiusura del tubo neurale. L’ipotesi che le alterazioni causanti l’autismo insorgano così precocemente nel feto sono suggerite anche dall’osservazione che circa il 5% dei soggetti esposti durante la vita intrauterina al talidomide hanno sviluppato la malattia. Tale percentuale è 30 volte maggiore di quella della popolazione generale. I difetti congeniti indotti dal talidomide variano a seconda del periodo di gestazione durante il quale è avvenuta l’esposizione al farmaco. Le malformazioni osservabili nei soggetti autistici esposti al teratogeno lascia pensare che il farmaco causi la malattia da 20 a 24 giorni dopo il concepimento, quando il sistema nervoso dell’embrione sta cominciando a svilupparsi .

Ereditarietà e geni:

Studi recenti sono fortemente suggestivi di una predisposizione genetica (Muhle et al 2004; S.L. Christian et all 2008; Benvenuto et al 2009; Judith H. Miles et al GeneReviews 2010). Molte indagini familiari confermano un ruolo importante svolto dall’ereditarietà nel determinismo del disturbo autistico:

- i gemelli monozigoti hanno probabilità maggiori rispetto ai gemelli eterozigoti di essere entrambi affetti da autismo;

- i genitori di un bambino autistico hanno un rischio di avere un altro bambino autistico (ricorrenza), che risulta da 50 a 100 volte maggiore rispetto al rischio per la popolazione generale (prevalenza);

- alcuni membri della famiglia di soggetti con autismo presentano caratteristiche comportamentali simili, anche se più lievi;

- alcune condizioni patologiche ereditate geneticamente, come la Sindrome dell’ X Fragile e la Sclerosi Tuberosa, si presentano spesso in comorbidità con l’autismo.

Tali riscontri epidemiologici hanno spinto diversi gruppi di ricerca ad individuare i geni coinvolti nel determinismo dell’Autismo. L’evidenza più forte che è emersa da tali ricerche è che non esiste “il gene” dell’Autismo, ma esistono piuttosto una serie di geni che contribuiscono a conferire una vulnerabilità verso la comparsa del disturbo. I loci genici di maggiore interesse sono stati individuati sul cromosoma 7, sul 2, sul 16 e sul 15. Nella prospettiva già suggerita, in rapporto alla quale il quadro clinico dell’autismo rappresenta la via finale comune di una serie di disordini neurobiologici di fondo, è evidente che i geni implicati possono essere molteplici e di diversa natura. Va, pertanto, rivisto il paradigma rigido di “un-gene-un-disturbo”. Normalmente, infatti, nel complesso progetto di sviluppo dell’encefalo si coordinano una serie di geni con funzioni diversificate (attivazione, modulazione, inibizione), dalla cui interazione si realizza la trama morfo- funzionale preposta all’utilizzazione dei dati esperenziali e alla loro organizzazione in sistemi di conoscenza e di relazione. Da tale prospettiva discendono due considerazioni fondamentali. La prima riguarda il fatto che se più geni con effetti diversi sono comunque inseriti in un unico processo, il deficit di uno qualsiasi di loro può condurre allo stesso risultato: la vulnerabilità all’autismo. La seconda considerazione attiene strettamente al concetto di vulnerabilità e riguarda il ruolo fondamentale dell’ambiente nell’attualizzazione di tale vulnerabilità. Il ruolo dell’ambiente va, infatti, considerato sia nella sua capacità di incidere “direttamente” sul genotipo, condizionando il complesso meccanismo di interazione genica, sia “indirettamente”, slatentizzando un assetto neurobiologico geneticamente inadeguato all’elaborazione e alla metabolizzazione degli stimoli normalmente afferenti al sistema nervoso centrale.

Gli aspetti genetici del DSA verranno ulteriormente approfonditi nel capitolo 3 (Genetica dei Disordini del Neurosviluppo).

Immunologia e Vaccini:

Sebbene si sia da tempo sviluppato un certo interesse sulle relazioni tra autismo e malattie autoimmunitarie, al momento attuale non ci sono evidenze certe che meccanismi immunologici possano causare o contribuire all’emergenza delle anomalie organiche riscontrate nell’autismo. Il

coinvolgimento del sistema immunitario nell’eziopatogenesi dell’autismo è suggerito però da una serie di evidenze sperimentali. Esse mostrano come l’autismo abbia molte caratteristiche in comune con i più diffusi disordini autoimmuni fra cui la presenza di anomalie nel sistema immunitario e di meccanismi autoimmuni verso antigeni cerebrali. Per quanto riguarda le principali anomalie del sistema immunitario, è possibile innanzitutto osservare una riduzione, sia nel numero che nelle capacità funzionali, dei linfociti T, legata in particolare ad una diminuzione selettiva del numero delle cellule CD4+ (Jonk L.S. et all, 1990). E’ inoltre possibile riscontrare in molti pazienti una riduzione dei livelli dell’attività citotossica delle cellule natural killer. Tale caratteristica è facilmente riscontrabile in molte patologie autoimmuni.

E’ stata evidenziata inoltre una significativa diffusione di malattie autoimmuni nei familiari dei bambini autistici, fra cui il diabete di tipo 1, l’artrite reumatoide, l’ipotiroidismo e il lupus eritematoso sistemico (Comi A.M. et all 1999).

Nel complesso, le ricerche condotte fino a questo momento suggeriscono la possibilità che le disfunzioni del sistema immunitario siano fra i fattori eziologici alla base della malattia. E’ possibile infatti che deficienze nelle funzioni del sistema immunitario in concomitanza all’esposizione a fattori ambientali come i virus possano aumentare il rischio di autismo. Questo potrebbe avvenire a causa del danno diretto che il patogeno, riuscendo più facilmente a sfuggire alla risposta immunitaria, potrebbe causare sul sistema nervoso centrale. In altri casi, invece, l’infezione da parte del patogeno potrebbe scatenare la produzione di autoanticorpi diretti contro antigeni self del sistema nervoso, alterandone il funzionamento.

E’ stata inoltre posta attenzione sull’ipotesi di una correlazione temporale stretta tra le vaccinazioni e la comparsa di alcuni comportamenti autistici.

Allo stato attuale però non ci sono dati che indichino che un qualsiasi vaccino aumenti il rischio di sviluppare autismo o qualsiasi altro disturbo del comportamento (Parker et al.,2004).