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MATERIALI E METOD

FATTORI DI RISCHIO

Sono stati analizzati i fattori di rischio per il verificarsi degli eventi avversi durante i 12 mesi di follow-up dalla diagnosi di embolia polmonare, e nel dettaglio sono stati presi in considerazione l’età, suddivisa in 4 fasce (17-62 anni, 63-72 anni, 73-79 anni, >79 anni), il sesso, la presenza di neoplasia, e la presenza di trombosi venosa profonda agli arti inferiori al momento della diagnosi di embolia polmonare.

L’età superiore a 79 anni e la presenza di neoplasia al momento della diagnosi sono risultati associati con mortalità ad 1 anno nell’analisi univariata. Essi rimangono fattori di rischio indipendenti per mortalità anche all’analisi multivariata: età >79 anni (OR: 8.1; 95% CI: 1.4-44.8; p=0.017), neoplasia (OR: 8.5; 95% CI: 2.6-28.1; p<0.001).

Il sesso (OR: 2.2, 95% CI: 0.7-6.7; p=0.175), l’età compresa tra 63 e 72 anni (OR, 1.4; 95% CI, 0.2-8.7; p=0.735), l’età compresa tra 73 e 79 anni (OR: 2.2; 95% CI: 0.4-12.9; p=0.370) non sono risultati fattori di rischio per mortalità.

Per quanto riguarda il rischio di recidiva, l’età compresa tra 63 e 72 anni (OR: 0.7; 95% CI: 0.1-4.2; p=0.689), tra 72 e 79 anni (OR: 1.5; 95% CI: 0.3-6.5; p=0.598), superiore a 79 anni (OR: 1.7; 95% CI: 0.4-7.5; p=0.457), il sesso (OR: 0.6; 95% CI: 0.2-2.0; p=0.464) e la presenza di neoplasia al momento della diagnosi del primo evento tromboembolico (OR: 1.1; 95% CI: 0.3-3.7; p=0.873) non sono emersi come fattori di rischio all’analisi uni- e multivariata.

Infine, anche per quanto riguarda il rischio di sanguinamento, l’età compresa tra 63 e 72 anni (OR: 1.0; 95% CI: 0.4-2.9; p=0.926), tra 72 e 79 anni (OR: 0.8; 95% CI: 0.3-2.2; p=0.663), maggiore di 79 anni (OR: 1.3; 95% CI: 0.5- 3.5; p=0.551), il sesso (OR: 1.8; 95% CI: 0.9-3.8; p=0.107), la presenza di

neoplasia al momento della diagnosi di embolia polmonare (OR: 0.6; 95% CI: 0.2-1.4; p=0.232) e la presenza di trombosi venosa profonda al momento della diagnosi (OR: 1.1; 95% CI: 0.5-2.1; p=0.860) non si sono dimostrati fattori di rischio.

DISCUSSIONE

Dal punto di vista epidemiologico, il nostro studio ha evidenziato un’età media nei pazienti con diagnosi di embolia polmonare di 69 ± 14 anni, con un rapporto maschi/femmine di 0.8. Questi dati confermano che l’embolia polmonare si configura come una malattia tipica dell’età medio-avanzata e che essa non presenta particolare predilezione per un sesso rispetto all’altro. Inoltre, l’età media nei pazienti con embolia polmonare provocata è risultata essere sostanzialmente inferiore (65 anni) rispetto a quella dei pazienti con embolia polmonare non idiopatica (75 anni). Ciò è in accordo con i dati epidemiologici riportati in letteratura.

Nella nostra popolazione la frequenza di embolia polmonare provocata è stata del 59.7%, contro il 40.3% dell’embolia polmonare non provocata. I fattori predisponenti più frequenti sono risultati essere la chirurgia (43.2%), la neoplasia (33.0%), fratture e traumi (7.1% e 3.5% rispettivamente), l’immobilizzazione prolungata (7.1%) e l’uso di terapia estroprogestinica (5.7%). Questi dati confermano sostanzialmente quanto riscontrato in letteratura e sottolineano l’importanza della profilassi anticoagulante nel periodo post-operatorio e nelle fasi di immobilizzazione prolungata, nonché la necessità di indagare, nel caso di embolia polmonare di nuova scoperta in apparente assenza di fattori di rischio, la presenza di una neoplasia silente. Come evidenziato anche da Timp e coll. in una recente review12, la neoplasia è infatti un frequente fattore predisponente la trombosi venosa, sia in forma localizzata che in forma embolica; in particolare, il rischio di trombosi aumenta all’aumentare della aggressività e diffusione della neoplasia, e inoltre l’incidenza di tale complicanza è particolarmente alta in alcuni

tipi di tumore rispetto ad altri: pancreas, stomaco, polmone e mammella sono infatti le neoplasie più frequentemente complicate da tromboembolia venosa.

Nel nostro studio abbiamo inoltre valutato retrospettivamente la prognosi dei pazienti con pregressa embolia polmonare trattati con terapia anticoagulante per 1 anno.

La mortalità globale ad 1 anno nei nostri pazienti si è rivelata piuttosto bassa (4.2%); questo dato appare in disaccordo con i risultati di altri studi simili, come quello di Palla e coll.152, che riporta una mortalità del 27% in pazienti che hanno effettuato terapia anticoagulante per 1 anno, e quello di Carson e coll.153 che ha valutato una mortalità del 24% in pazienti che, al contrario, avevano effettuato terapia anticoagulante per 3 o 6 mesi. Questa differenza può essere spiegata con la diversa durata della terapia anticoagulante, il che permette di ipotizzare che una durata maggiore del trattamento risulti essere protettiva nei confronti della mortalità globale nei pazienti con embolia polmonare.

La mortalità globale è risultata essere statisticamente più elevata nei pazienti con embolia polmonare provocata (81.2%), rispetto a quelli con embolia polmonare non provocata (18.8%) (p=0.05). Questo dato è in accordo con quanto riportato in altri studi, come quello di Pedrajas e coll.154 e quello di Uhm J-S e coll.155 (p<0.001). Tale riscontro è probabilmente da mettere in relazione al fatto che pazienti con embolia polmonare provocata hanno più frequentemente importanti comorbidità quali neoplasie in atto, patologie cardiovascolari, ortopediche o neurologiche che ne determinano un aumento del rischio di morte.

Nella nostra casistica si sono dimostrati fattori di rischio per mortalità l’età superiore a 79 anni e la presenza di neoplasia in atto al momento della diagnosi.

Durante il periodo di follow-up, il 4.2% dei pazienti ha avuto una recidiva tromboembolica. Anche questo dato si trova sostanzialmente in disaccordo con altri lavori che valutano la prognosi dell’embolia polmonare ad 1 anno dalla diagnosi: in particolare, Prandoni e coll.133 hanno stimato un’incidenza dell’11% e, in maniera simile, Palla e coll.152 un’incidenza del 10%. Anche la bassa incidenza di recidive sembra essere dunque spiegata da un più prolungato trattamento con farmaci anticoagulanti, il che ne conferma l’effetto benefico nella prognosi a lungo termine dell’embolia polmonare. Non sono da escludere, comunque, differenze nelle caratteristiche delle popolazioni prese in considerazione, soprattutto per quanto riguarda le eventuali condizioni predisponenti la recidiva tromboembolica, che Palla e coll.152 hanno identificato in: dispnea severa al momento della presentazione clinica di malattia, elevato PDI (Perfusion Damage Index, cioè il numero di segmenti polmonari non perfusi misurato mediante scintigrafia polmonare da perfusione) al momento della diagnosi, e comorbidità cardiache e polmonari. Inoltre, la maggiore incidenza di recidiva si è verificata nei primi 6 mesi di trattamento (56.2%), in accordo con quanto riportato da numerosi altri studi130,132,133, che hanno dimostrato come l’incidenza di tale evento sia massima nei primi mesi dalla diagnosi di malattia e diminuisca, senza mai azzerarsi, nel corso degli anni successivi. Ciò suggerisce, come verrà approfondito in seguito, che un prolungamento della terapia anticoagulante oltre i canonici 3-6 mesi dopo l’evento iniziale risulti essere protettivo nei confronti della recidiva tromboembolica, anche in virtù del fatto che, come dimostrato da Poli e coll.134, l’incidenza di recidiva aumenta considerevolmente dopo la sospensione della terapia anticoagulante, indipendentemente dalla sua durata.

Non è emersa una differenza statisticamente significativa nell’incidenza di recidive nei 2 gruppi di pazienti esaminati (p=0.25), al contrario di quanto avviene in studi come quelli condotti da Uhm J-S e coll.155 e da Pedrajas e coll.154, nei quali emerge che tali eventi risultano essere più frequenti nei pazienti con embolia polmonare provocata, verosimilmente a causa della presenza di fattori di rischio (soprattutto irreversibili) che espongono maggiormente tali pazienti ad un fenotipo protrombotico anche nel lungo periodo e non solo in fase acuta.

Tra le variabili valutate all’analisi uni- e multivariata (età, sesso, presenza di trombosi venosa profonda e di neoplasia al momento della diagnosi), nessuna di esse si è dimostrata fattore di rischio per recidiva, in accordo con quanto osservato da Palla e coll.152

Episodi di sanguinamento sono stati osservati nell’8.7% dei pazienti, di cui la maggior parte (60% circa) sono avvenuti nei primi 180 giorni di trattamento. In questo periodo, dunque, è da considerarsi appropriato un monitoraggio più attento dei pazienti. Inoltre, un risultato del genere suggerisce che un trattamento prolungato con farmaci anticoagulanti appare sicuro, in particolare considerando che tale risultato è stato ottenuto nonostante l’alta percentuale di pazienti di età avanzata e con fattori di rischio per sanguinamento al momento della diagnosi (come chirurgia per neoplasia e immobilizzazione prolungata). Questo è tanto più vero se si considera che l’incidenza di recidiva tromboembolica all’interno del nostro studio è risultata essere maggiore (62.5%) negli ultimi 6 mesi di follow-up. La ridotta incidenza di recidiva negli ultimi 6 mesi di terapia anticoagulante può essere messa in relazione con il più attento monitoraggio dei pazienti da parte del centro TAO cui i pazienti stessi sono affidati in questa fase di trattamento, così come con la maggiore consapevolezza e capacità di autogestione che i pazienti in

genere sviluppano dopo 6 mesi di trattamento nel seguire la propria terapia domiciliare.

I nostri dati sui sanguinamenti risultano essere parzialmente in accordo con quanto stimato da lavori simili, come quello di Palla e coll.152, in cui l’incidenza al primo anno è stata del 3.4%, o come il lavoro di Palareti e coll.133, in cui l’incidenza globale annua di sanguinamento è risultata essere intorno al 7.5%.

Anche in questo caso le variabili considerate non si sono dimostrate fattori di rischio per questo tipo di evento.

CONCLUSIONI

Dal nostro studio è emerso che, a distanza di 1 anno dall’evento acuto, la mortalità durante trattamento anticoagulante è risultata pari a circa il 5%, così come l’incidenza di recidiva di tromboembolismo venoso, mentre l’incidenza di sanguinamento è risultata doppia, 9%. La mortalità è significativamente superiore nei pazienti con embolia polmonare provocata mentre la frequenza delle recidive e dei sanguinamenti è risultata uguale nei pazienti con embolia polmonare provocata e non. Fattori di rischio per la mortalità sono stati l’età superiore a 79 anni e la presenza di neoplasia attiva.

RINGRAZIAMENTI

Rivolgo i miei più sentiti ringraziamenti al Prof. Antonio Palla per l’opportunità che mi ha dato e per aver creduto in me affidandomi questo lavoro.

Vorrei ringraziare di cuore anche la Dott.sa Letizia Marconi per il supporto, l’esperienza, il tempo e soprattutto la pazienza che ha messo a mia disposizione in tutti questi mesi. Senza di lei non ce l’avrei mai fatta.

Il ringraziamento più grande lo vorrei però fare ai miei genitori, che mi hanno educato e seguito in ogni momento, e che per me rappresentano una continua fonte di sostegno e di ispirazione. Sarà grazie a loro se d’ora in avanti potrò inseguire il mio sogno.

Ringrazio tutta la mia famiglia, gli zii, i cugini, la nonna, per il supporto, l’affetto e la stima dimostratimi nel corso di tutta la vita, nonostante la distanza e le difficoltà. Un pensiero particolare va ad una persona che avrebbe dovuto condividere con noi la gioia di questo traguardo, ma che è ugualmente nei nostri cuori.

Ringrazio tutti i miei amici e colleghi di studi e sofferenze, Jessica, Federica, Claudia, Marika, Federico, Giulia, Cecilia e Laura, che hanno condiviso con me questo percorso e tutti i momenti di difficoltà e di gioia come una seconda famiglia.

Ringrazio Katia, senza la quale oggi sicuramente non sarei qui, per tutto quello che ha fatto per me nella maniera più disinteressata e altruista che si possa immaginare.

Infine ringrazio Andrea, che in questi ultimi anni è stato la mia guida, il mio traguardo, un faro che mi ha indicato costantemente e pazientemente la via da seguire, e verso la quale un giorno spero di arrivare.

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