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Federica Zichittella

Nel documento Guarda Numero 9 completo (pagine 193-200)

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L’utilizzo della ripetizione in letteratura è un fenomeno piuttosto complesso, per anni demonizzato e poco gradito in lingua italiana, poiché considerato, generalizzando, sinto- mo di trascuratezza e associato a una presunta povertà lessicale di chi scrive. Al contrario, la ripetizione retoricamente motivata esprime la precisa volontà dell’autore di servirsene per raggiungere prefissati scopi stilistici e ritmici, narrativi ed evocativi, strutturali e co- esivi. Nulla è lasciato al caso nell’orditura di un testo letterario, ancor meno il lessico: le parole, se ripetute con frequenza, possono creare presenze dove regna il vuoto, presenza nell’assenza, parole creatrici di immagini e di suggestioni vividissime, parole collanti, pa- role demiurghe. Se le parole hanno un peso, la ripetizione consapevole assume allora an- cora più valore. E di questo sono stati ben consci nella storia della letteratura molti autori, alcuni dei quali hanno utilizzato tale risorsa per creare una sottile ironia, altri per dare vita a personaggi invisibili, evocati unicamente dall’arte della parola ripetuta con cautela e calcolo, altri ancora l’hanno trasformata in un elemento chiave per la costruzione di un ritmo del racconto distintivo e immediatamente riconoscibile. La ripetizione è uno stru- mento come gli altri a disposizione degli scrittori e solo gli scrittori più capaci, maestri di

concinnitas, sanno adoperarla virtuosamente e convertirla nell’ingrediente speciale che

rende una ricetta inconfondibile.

La narrazione dà vita a realtà che le ripetizioni, usate con astuzia, possono plasmare e definire; possono aumentare la forza del racconto e far emergere contrasti, ironia e sar- casmo, sottolineare temi centrali, sottintendere critiche sociali, seminare suggerimenti e spunti di riflessione per il lettore. L’uso che uno scrittore fa delle ripetizioni indica la finalità di tale risorsa, che si può rivelare un elemento inaspettatamente efficace e funzio- nale sotto vari aspetti, quali lo sviluppo dell’intreccio e dell’azione, la definizione di uno stile unico e irripetibile, la pianificazione di una strategia comunicativa, il raggiungimento di una maggiore coesione testuale. Le parole ripetute possono creare percorsi di lettura alternativi o palesare quelli principali come fili conduttori che portano fino all’uscita dal labirinto. All’interno di un’opera capita spesso che alcuni elementi sembrino secondari nella storia poiché non compaiono apertamente sulla scena e non si manifestano nel- le vesti di tradizionali personaggi in carne e ossa, ma che acquisiscano centralità solo

grazie all’evocazione ripetuta, prendendo così forma e diventando presenze necessarie e protagoniste.

La capacità di ripetere rappresenta, forse più della capacità di variare (che può de- notare grande cultura o ricchezza di linguaggio, ma che è spesso manchevole di forza espressiva o finalità comunicative), una risorsa preziosa per uno scrittore, che deve essere analizzata volta per volta dal traduttore attento e non sottovalutata, banalizzata o mano- messa a priori, poiché può sottendere un desiderio, un’intenzione più o meno lampan- te. Il traduttore letterario, per definizione, si trova costantemente a dover prendere delle decisioni che incidono sull’organicità del testo e anche sulla percezione di un’opera e perfino di un autore, e fra queste scelte il riconoscimento di una volontà retorica nell’uso di una ripetizione può fare una grande differenza e variare l’esito della trasposizione del vero stile di un autore. Il problema, dunque, alla base della scelta tra repetitio e variatio è, come accade per molti altri fenomeni linguistici e fraseologici, la tempestiva individua- zione del fenomeno stesso. Tuttavia, è forse possibile identificare una discriminante che può rendere quest’operazione più agevole, come puntualizza Maria Bricchi: «pensare alle ripetizioni anche come attrezzi coesivi aiuta a riconoscerne il grado di necessità: un testo dove l’autore ha scelto di ripetere è, di solito, più legato, più coeso di uno dove spesseggia- no pronomi e forme sostitutive»1.

Numerosi sono gli scrittori che si sono serviti e si servono della ripetizione volon- taria e motivata nelle proprie opere con diverse finalità. Come scrive la studiosa Marie Nedregotten Sørbø, anche Jane Austen è ricorsa a questo strumento in lavori quali

Persuasion e Pride and Prejudice, e spesso i traduttori norvegesi hanno scelto di variare,

non cogliendo l’ironia nascosta nella ripetizione delle stesse parole, o di aggiungere di loro pugno ripetizioni innecessarie quando assenti, alterando inevitabilmente lo stile dei romanzi dell’autrice2. All’interno del suo lavoro, Sørbø mette in luce una considerazione importante e valida anche per Rendición, romanzo di Ray Loriga il cui processo di tradu- zione verrà approfondito nel corso del presente articolo: oltre alla ricerca di una forma di ironia sottile, alla base della scelta di ripetere della Austen spesso vi è il gusto per la mimesi, l’imitazione dell’oralità dei suoi personaggi, di cui l’autrice scolpisce, così facen- do, figure ancor più definite e precise. Un esempio altrettanto calzante è rappresentato dalla scrittura di Hemingway, dove le ripetizioni contribuiscono a creare un flusso quasi ipnotico che cattura l’attenzione del lettore e la trascina tra le righe fino alla fine. L’autore americano, come ricorda Franca Cavagnoli, ha fatto un «uso massiccio» di questa figura retorica, elevandola «a cifra stilistica della sua scrittura»3. In questo caso, ad esempio, la decisione di evitare le ripetizioni darebbe vita a opere totalmente diverse da quelle con- cepite e concretizzate da Hemingway, probabilmente meno efficaci, sicuramente lontane dalla penna che ne ha definito i tratti. Tra i romanzieri italiani, magistrale nell’uso della ripetizione è anche Elio Vittorini, autore che si serve con grande eleganza di tale figura retorica, specialmente nel suo capolavoro Conversazione in Sicilia. Le pagine del romanzo infatti sembrano concatenarsi grazie alla presenza ripetuta di parole, spesso simboliche ed evocative, che conferiscono alla narrazione un ritmo incalzante, talvolta serrato, specie 1 Bricchi, Mariarosa, La lingua è un’orchestra: Piccola grammatica italiana per traduttori (e scriventi),

Milano, il Saggiatore, 2018, p. 211.

2 Cfr. Sørbø, Marie Nedregotten, «Wanted and Unwanted Repetitions» in Jane Austen Speaks Norwegian: The Challenges of Literary Translation, Leida, Boston, Brill, 2018, pp. 108-120, http://www.jstor.org/

stable/10.1163/j.ctvbqs82q.12 (data di consultazione 31/08/2020).

nei dialoghi, e al contempo fluido. Parole che ripetendosi scandiscono il ritmo di una sola parte del racconto o dell’intera narrazione e che grazie alla loro eco evocano immagini ni- tide e sensazioni pungenti. E questo è riscontrabile fin dal primo capitolo, in cui Vittorini descrive la condizione in cui si trova il protagonista: «Io ero, quell’inverno, in preda ad astratti furori. […] Pioveva intanto e passavano i giorni, i mesi, e io avevo le scarpe rotte, l’acqua che mi entrava nelle scarpe, e non vi era più altro che questo: pioggia, massacri sui manifesti dei giornali, e acqua nelle mie scarpe rotte, muti amici, la vita in me come un sordo sogno, e non speranza, quiete»4. Ed è proprio con le parole «astratti furori», «pioveva», «amici», «scarpe» e «acqua» che l’autore decide di chiudere il capitolo come si chiude un cerchio, sfruttando semplicemente la potenza delle parole, le più semplici e le più inaspettate: «ma mi agitavo entro di me per astratti furori, e pensavo il genere umano perduto, chinavo il capo, e pioveva, non dicevo una parola agli amici, e l’acqua mi entrava nelle scarpe»5. Ripetizioni motivate dalla necessità di suscitare in chi legge un senso di stasi della vita che ristagna e scorre implacabile, allo stesso tempo immobile e incessante. All’appello degli scrittori che hanno fatto ricorso a questa figura retorica con grande maestria non può mancare anche Faulkner, personaggio legato a Vittorini a dop- pio filo, che ne ha fortemente influenzato la scrittura, come dimostra il fatto che l’anno dell’ultima puntata di Conversazione pubblicata su Letteratura coincida con quello della pubblicazione della traduzione italiana di Light in August di Faulkner da parte dello stesso Vittorini (1939). Nelle opere di Faulkner, infatti, l’uso delle ripetizioni non imprime solo alla narrazione un ritmo talvolta quasi fiabesco e ammaliante, ma riflette la concezione della scrittura dello scrittore, ovvero, come riferì lui stesso a Malcolm Cowley nel 1944, «telling the same story over and over»6 e quindi ripetere e ripetersi, non solo all’interno di un’unica opera, ma creando interconnessioni tra molteplici lavori.

Per le ripetizioni, dunque, vale forse il discorso che Umberto Eco fa riguardo alle cita- zioni e ai riferimenti intertestuali. Secondo lo studioso, infatti, i riferimenti intertestuali non espliciti possono essere allusioni che l’autore colloca nel testo consapevole di creare due livelli di lettura: il primo, in cui il lettore ingenuo non coglie il rimando ma può go- dere ugualmente della narrazione, e il secondo, in cui il lettore colto percepisce il rinvio e lo considera un segnale dell’autore per chi ha le competenze per coglierlo. Nel caso delle ripetizioni retoricamente motivate, il traduttore deve cercare di svolgere il ruolo del let- tore colto, e più che colto dev’essere attento, stare all’erta, pronto a recepire gli eventuali messaggi che le semplici parole ripetute possono celare; solo così darà al lettore la possi- bilità di vivere la sua stessa esperienza e di cogliere quel segnale implicito, costruendo per lui un ponte verso un valore aggiunto e un livello di lettura più profondo. Se è vero che “un testo vuole che qualcuno lo aiuti a funzionare”, il traduttore dev’essere quel qualcuno.

Nel caso del romanzo Rendición di Ray Loriga, una distopia in prima persona vincitri- ce del premio Alfaguara 2017 e descritta dalla commissione come «una luminosa storia di esilio, perdita, paternità e affetti»7, la ripetizione motivata viene ampiamente sfruttata

4 Vittorini, Elio, Conversazione in Sicilia, Milano, BUR Biblioteca Universale Rizzoli, 2008, p. 131. 5 Ivi, p. 133.

6 Fowler, Doreen, «Introduction» in Biron B., Brooks C., Hamblin R., LaLonde C., Matthews J., Meyer

W., et al., Faulkner and the Craft of Fiction, a cura di Doreen Fowler e Ann J. Abadie, University Press of Mississippi, Jackson; Londra, 1989, pp. ix-xvi, www.jstor.org/stable/j.ctt2tvftg.3. (data di consultazione 08/09/2020).

7 Loriga, Ray, Rendición, Miami, Alfaguara, 2017, (traduzione di chi scrive). Poiché non esiste una

traduzione ufficiale dell’opera in italiano, tutti i passaggi tratti dal romanzo qui citati sono stati tradotti da chi scrive nell’ambito di un progetto di tesi e non fanno riferimento a una fonte bibliografica omessa.

a fini narrativi e retorici, un procedimento messo in atto volutamente dallo scrittore per portare all’attenzione del lettore diversi interrogativi, oltre che per creare l’atmosfera de- siderata e per delineare i personaggi. Prima di essere una distopia, infatti, Rendición è una riflessione, un grande insieme di domande che secondo l’autore è necessario por- si sull’evoluzione costante della scienza e della tecnologia con le relative applicazioni, sull’onnipresenza dei social network che nel romanzo sono rappresentati attraverso la metafora della città trasparente in cui i cittadini vengono trasferiti, e sull’indebolimento delle relazioni sociali non virtuali. Rendición è un monito, non una critica. Nel romanzo un focus particolare è posto sulla relazione tra potere e popolo, tra controllo e libertà, tra manipolazione e libero arbitrio, temi tipici e immancabili della distopia. Lo scenario in cui si svolge l’azione è inizialmente dominato da una guerra che, pur non manifestandosi mai apertamente se non attraverso gli effetti collaterali che comporta, è il motore del libro e si potrebbe dire che sia anche una delle protagoniste, perché la sua minacciosa presen- za-assenza incombe in modo costante e prepotente sui personaggi; Loriga è riuscito a creare quest’atmosfera di precarietà dovuta allo status di belligeranza proprio grazie a un uso metodico e maniacale delle ripetizioni. All’interno del romanzo, la guerra esiste solo grazie alla ripetizione della parola ‘guerra’ stessa, poiché essa non ha mai luogo: è nell’aria e tra le righe, è latente, ma nessuno vi assiste direttamente, né il lettore né i protagonisti della vicenda. A dir la verità, nessuno sembra sapere molto di questa guerra: contro chi si combatta e perché, chi stia avendo la meglio e chi soccomba, che fine facciano i soldati partiti per il fronte. Tutti sanno solo che la guerra c’è, esiste e si combatte perché lo ga- rantisce lo Stato, o meglio, il governo. La guerra esiste solo perché se ne parla e la sua vio- lenza è accresciuta dalla ripetizione, che suggerisce quanto un elemento apparentemente assente possa in realtà influire, trasformare e plasmare le vite di chi rimane a casa e vive nell’attesa del ritorno dei propri cari dal fronte, di chi lotta tra le mura domestiche per resistere alla siccità e alle penurie (i corsivi sono miei):

La guerra per i padri non è la guerra degli uomini che combattono, è una guerra diversa. Aspettare è il nostro unico compito. Nel frattempo il giardino si dispera e lentamente muore, sfinito. Io e lei, al contrario, ci alziamo ogni giorno bendisposti. Il nostro amore, di fronte a questa guerra, diventa sempre più forte. [...] La guerra non cambia niente di per sé, ci ricorda soltanto, col suo rumore, che tutto cambia. E nonostante la guerra, o grazie alla guerra, andiamo avanti, buongiorno, buonanotte, giorno dopo giorno, come se niente fosse, bacio dopo bacio, contro ogni logica.

Dopo la comunicazione dell’evacuazione imminente dei cittadini che il governo ricol- locherà, a suo dire per tutelarli, in una nuova e strabiliante struttura fatta completamente di vetro, Loriga attua lo stesso schema adottato con la parola ‘guerra’ e, ancor prima di giungervi, la ‘città trasparente’ diventa una presenza quasi tangibile nel racconto, poiché anche solo il fatto di nominarla contribuisce a ispessire la nube di suspense che aleggia attorno a questo luogo, circondato da un alone di mistero misto a timore e speranza. Nessuno sa come sia questa città trasparente, ma tutti ne parlano e corrono voci di ogni sorta:

Stamattina ci è giunta voce che alla città si potranno portare pochissime cose e l’agente di zona ce l’ha confermato nel pomeriggio. Niente mobili, che non sono previsti camion per il trasloco, né libri, che lì ci sono già, due ritratti per

coppia, dei genitori di ciascuno, e le foto dei figli per chi ne ha, ma solo una per figlio, non di più. Nella città trasparente quasi tutto deve iniziare da capo. Niente per pulire, perché la pulizia è a carico del governo provvisorio, niente per sporcare, per non complicargli il lavoro, qualcosa per fare sport, una palla, una racchetta, degli scacchi, anche se molti ci scherzano su gli scacchi sono uno sport, niente armi, che la città ci protegge, niente sci perché non c’è neve.

In contrasto con la conoscenza per sentito dire, in alcuni passaggi Loriga punta invece l’attenzione sull’importanza dei sensi e del vedere per verificare la vera natura delle cose, la forma della realtà. La vista come mezzo di apprendimento, come unica fonte di verità. Il protagonista, a differenza del resto della popolazione che crede al governo sulla parola – e, aggiungerei, sulla parola ripetuta – ha necessità che gli derivano dal forte pragmati- smo che lo contraddistingue: vedere per credere, una caratteristica chiara fin dalle prime pagine: «Posso parlare delle sue mani perché le conosco, perché sono vicine. Di ciò che si allontana troppo non si può dire nulla». E ciò permette al suo scetticismo latente di rima- nere sempre vivo, come una brace quieta ma non esausta. Nel seguente passaggio, in cui il protagonista e la moglie si confrontano sul da farsi rispetto a un bambino sconosciuto e ferito che hanno illegalmente accolto in casa loro, l’importanza per il protagonista della concretezza e dell’apprendimento derivante dalla vista e dai sensi si evince chiaramente grazie alla ripetizione del verbo ‘vedere’:

Se tutto va per il verso giusto e si comporta bene, forse alla fine lo sposteremo nella stanza dei nostri veri figli. Lei insiste, vorrebbe farlo subito, ma io sono più prudente, il suo vero carattere è ancora da vedere. È ancora da vedere an- che se i nostri veri figli moriranno in questa guerra o se torneranno e vorranno indietro la loro stanza. Tutto è ancora da vedere, in realtà, questa è l’unica consolazione che ho. Se c’è qualcosa che ho imparato vedendo il nostro giardi- no morire è che né il bene né il male si fermano davanti ai nostri calcoli, non apprezzano i nostri sforzi, semplicemente…accadono.

Gli occhi non mentono, o perlomeno questo è ciò che crede il protagonista per buona parte del romanzo, finché, una volta giunto nella città trasparente, le sue convinzioni non iniziano a vacillare.

Anche i rapporti interpersonali diventano sempre più difficili, persino con gli affetti più stretti che, fin dall’inizio della narrazione, si dimostrano fondamentali per inqua- drare con maggiore precisione il protagonista. Spesso, infatti, risulta più facile veicolare un’immagine di sé attraverso il paragone con gli altri, così da far affiorare similitudini e differenze, punti in comune e aspetti unici. In questo modo è possibile approfondire la co- noscenza non solo del personaggio in questione, ma anche del contesto in cui è immerso, del mondo e del paesaggio che lo circondano, delle persone che frequenta o che disprezza; è così che si entra in contatto con la sua psicologia e con la sua personale visione delle cose e degli altri. Non va dimenticato, infatti,

che il personaggio non è quasi mai solo o isolato: per lo più è coinvolto in una trama di rapporti e di confronti, dai quali non solo emergono via via nuove informazioni sulla fauna umana che abita un determinato universo narrativo,

ma anche quegli elementi più intimi dell’io che solo l’incontro, la reciprocità delle coscienze, la confessione possono rivelare8.

Proprio in quest’ottica le ripetizioni giocano nuovamente un ruolo fondamentale. Attraverso il confronto con la moglie, il protagonista descrive la loro disposizione, così diversa e così complementare, verso la vita, verso gli inconvenienti, la siccità, la guerra, la fame, la perdita. «Io» è, quasi sempre, ciò che «lei» non è, l’io protagonista si descrive in negativo ed è «definito dal fascio di relazioni differenziali, per somiglianza o opposizione, che istituisce con i personaggi interni al racconto»9. Grazie alle ripetizioni, in questo caso del pronome ‘lei’, in contrapposizione con l’‘io’ narrante, le differenze tra le personalità dei due consorti, due poli apparentemente opposti, emergono:

Lei ha visto il bambino per prima, lo ha visto arrivare a piedi dalla montagna ed entrare in giardino senza lamentarsi nonostante sanguinasse. Lei l’ha fatto entrare in casa, lei ha curato le sue ferite, lei gli ha dato dei vestiti di quando i nostri figli erano piccoli che aveva conservato con cura, lei l’ha lavato e gli ha preparato la cena, lei gli ha fatto il letto, nella stanzetta dei giochi in cantina. Io le ho proposto di chiamare la polizia e lei ha detto di no. Lei preferiva un bambino a un’indagine, lei sa bene cosa non vuole.

Nella traduzione risulta quindi fondamentale mantenere questo rapporto dialettico che le ripetizioni contribuiscono a instaurare, per approfondire la psicologia e le inclina- zioni dei personaggi. D’altro canto, mediante questo gioco di contrapposizione dei pro- nomi, emerge anche la grande complicità esistente tra i due, che grazie alle loro indoli così dissimili si completano e si sostengono reciprocamente.

Infine, la ripetizione viene utilizzata da Loriga anche per sottolineare l’assurdità della condizione umana del protagonista e dei suoi concittadini nel “nuovo mondo” traspa- rente: il linguaggio, invece di veicolare messaggi e permettere una maggiore conoscenza dell’altro, diventa fonte e simbolo di incomprensione, incomunicabilità e disagio. Né il supervisore al lavoro né il medico mostrano una vera e propria empatia nei confron- ti del protagonista e anzi lo richiamano all’ordine, l’unico possibile nella città, fatto di contentezza forzata e di omologazione. Infatti, nella città trasparente i cittadini vengo- no ammansiti attraverso la cristallizzazione, un processo che avviene, o perlomeno così suppone il protagonista, grazie a qualche sostanza presente nell’acqua della città e che quindi ha luogo ogniqualvolta una persona si lava con l’acqua corrente. Inoltre, grazie a

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