4 Malattie cardiovascolari
4.3 Fibrillazione atriale e terapia antitrombotica
La fibrillazione atriale è la più diffusa aritmia cardiaca dell’adulto, con una prevalenza che arriva all’1% nei paesi occidentali [33]. Le nuove linee guida ESC del 2020 [33] pongono in evidenza l’eterogeneità a livello globale nella distribuzione di tale patologia, che risulta più diffusa nel Nord America e nel Nord Europa. Ciò è, almeno in parte, dovuto al diverso impatto dei fattori di rischio per lo sviluppo di fibrillazione atriale [33], elencati nel Box 2.
Per la sua complessità, la gestione della fibrillazione atriale necessita della collaborazione di diverse figure professionali, tra cui il cardiologo, il medico di medicina generale, il farmacista, l’infermiere specializzato, ma anche di altri specialisti quali l’elettrofisiologo, il cardiochirurgo e, non ultimo, l’ema-tologo/esperto di emostasi [33]. È necessario che tali figure professionali con expertise specifico cooperino nella gestione del paziente, con un intervento personalizzato volto a migliorarne lo stile di vita e a ottimizzare i fattori di rischio cardiovascolari, il controllo delle comorbilità, dei sintomi e delle
im-plicazioni psico-sociali, nonché la prevenzione dell’ictus.
Nella fibrillazione atriale, infatti, vi è un elevato rischio di formazione di trombi nell’atrio sinistro, che in oltre il 90% dei casi [34] si verifica a livello della sua estroflessione denominata “auricola”.
Le linee guida ESC [33] raccomandano di classificare i pazienti sulla base del loro livello di rischio di ictus calcolando il punteggio CHA2DS2-VASc. Tale score tiene conto di diversi fattori [35]:
• insufficienza cardiaca/disfunzione ventricolare sinistra;
• ipertensione;
• età ≥75 anni;
• diabete mellito;
• precedente ictus/attacco ischemico transitorio/tromboembolismo;
• malattia vascolare (precedente infarto del miocardio, arteriopatia obli-terante periferica o placca aortica);
• età compresa tra 65 e 74 anni;
• sesso femminile.
A ciascuno di questi fattori si dà punteggio 1, eccetto il precedente evento ischemico cerebrale/tromboembolico, che ha punteggio 2.
Un punteggio pari a 0 nei maschi e a 1 nelle femmine consente di classifica-re i pazienti a basso rischio: a tali pazienti non occorclassifica-re pclassifica-rescriveclassifica-re la terapia antitrombotica [33]. Per punteggi di CHA2DS2-VASc ≥2 nei maschi e ≥3 nelle femmine viene invece raccomandato l’uso di anticoagulanti orali (OAC) per la prevenzione del rischio di ictus [33]. Si preferisce generalmente impiega-re i non-vitamin K antagonist oral anticoagulant (NOAC), tranne i casi in cui la fibrillazione atriale si associa a una valvulopatia con sostituzione di protesi meccanica oppure a una stenosi mitralica moderata-grave [33].
Box 2. Principali fattori di rischio per lo sviluppo di fibrillazione atriale [33]
• Età avanzata
• Sindrome delle apnee ostruttive del sonno
In generale, e in particolare nella popolazione di pazienti in cui il rapporto rischio/beneficio non è così netto (CHA2DS2-VASc pari a 1 nei maschi e 2 nelle femmine), le scelte terapeutiche devono essere individualizzate sulla base del calcolo di uno score emorragico strutturato, come HAS-BLED, che tiene conto di [36]:
• ipertensione non controllata;
• anomalie nella funzione renale e/o epatica;
• precedente ictus;
• storia o predisposizione al sanguinamento;
• INR labile;
• età avanzata;
• uso di farmaci o consumo eccessivo di alcol.
Molte delle condizioni sopra elencate sono di comune riscontro nel pazien-te emofilico.
Nei pazienti con punteggio ≥3, che sono considerati a elevato rischio di san-guinamento, la terapia anticoagulante è controindicata. I NOAC sono da pre-ferire agli antagonisti della vitamina K (VKA) soprattutto perché comporta-no una riduzione del rischio di emorragie maggiori, in particolare le temibili emorragie intracraniche [37].
Dal momento che i pazienti emofilici hanno un ridotto potenziale di ge-nerazione di trombina e un maggiore rischio emorragico, non è chiaro se gli score di rischio della popolazione generale possano essere applicati anche a questa popolazione specifica di pazienti, per la quale i dati sono limitati.
Non è nemmeno chiaro se la prevalenza della fibrillazione atriale negli emo-filici sia uguale a quelle della popolazione generale. Uno studio europeo nella coorte ADVANCE [38], costituita da 3.952 pazienti emofilici di cui 2.237 di età
>40 anni, rilevava una prevalenza complessiva di fibrillazione atriale dello 0,84%, che per i pazienti ultrasessantenni raggiungeva il 3,4%. Confrontando questa prevalenza con quella rilevata in uno studio del 2001 sulla popolazione generale statunitense, pari allo 0,95%, si concludeva che nella popolazione emofilica la prevalenza di fibrillazione atriale era simile a quella della popo-lazione generale [39].
Lo studio italiano S+PHERA [40] ha reclutato 102 pazienti ultrasessantenni affetti da emofilia grave e li ha confrontati con 204 controlli di pari età e con la stessa origine geografica, rilevando una prevalenza di fibrillazione atriale sostanzialmente sovrapponibile (7% vs 5%).
Per la fibrillazione atriale, come in tutte le altre indicazioni in cui sia richie-sta una terapia antitrombotica (antiaggregante o anticoagulante) nei pazienti emofilici, la gestione è complicata dall’incremento del rischio emorragico e
cessivamente da altri Autori [29, 43], dalla terapia sostitutiva, come illustrato nella Tabella I.
Nel loro articolo del 2016, Martin e Key [44] suggerivano quali through level di fattore della coagulazione carente (FVIII o FIX a seconda del tipo di emofi-lia) mantenere a seconda della terapia (Tabella II).
Nella prescrizione della terapia occorre tener conto anche di caratteristi-che tipicaratteristi-che del paziente, quali [44]:
• fenotipo emorragico;
• intensità della terapia anticoagulante;
• caratteristiche dell’anticoagulazione;
• durata pianificata della terapia.
Sono molto limitati i dati clinici relativi a pazienti emofilici con fibrillazio-ne atriale. Nella coorte europea ADVANCE già citata [38], vi erano 33 (0,8%) pazienti con fibrillazione atriale: solo un terzo di essi riceveva una terapia antitrombotica, che consisteva per lo più (82%) in acido acetilsalicilico. Solo due pazienti, entrambi affetti da emofilia di grado lieve, ricevevano anticoa-gulante orale. Non venivano date informazioni su complicanze emorragiche o recidive tromboemboliche.
La gestione dei pazienti affetti da emofilia e fibrillazione atriale resta dun-que basata fondamentalmente sull’opinione di esperti [36, 42]. Molte dun- questio-ni restano aperte:
• la stratificazione del rischio tramite score CHA2DS2VASc: al momento non è validata. Può essere considerata affidabile o sovrastima il rischio?
Schutgens e colleghi [45] hanno recentemente suggerito di considerare una soglia decisionale più alta (4) per l’indicazione alla terapia anticoa-gulante. Occorre tener presente che alcuni dei parametri considerati nel CHA2DS2VASc sono assenti o infrequenti nell’emofilia: il sesso femmini-le, l’età superiore a 75 anni e la vasculopatia periferica;
• i trough levels di FVIII in caso di anticoagulazione: nello stesso articolo Schutgens e colleghi indicano il 20% come livello minimo [45], ma nell’e-sperienza clinica vi sono casi di anticoagulazione portata avanti senza difficoltà anche con trough levels al di sotto del 20% e, al contrario, casi di anticoagulazione con complicanze nonostante livelli maggiori del 20%;
• l’utilizzo dei NOAC rispetto agli antivitamina K per il minor rischio di emorragia cerebrale nei pazienti emofilici, in particolare di dabigatran per la disponibilità più ampia di un antidoto;
• l’acido acetilsalicilico: è frequentemente utilizzato, ma la sicurezza dalla protezione antitrombotica non è documentata.
Rischio emorragico Rischio trombotico
Emofilia Evento/condizione di rischio cardiovascolare Farmaci antitrombotici Terapia sostitutiva con concentrato di fattore della
coagulazione
Tabella I. Elementi che contribuiscono al rischio emorragico e al rischio trombotico nel paziente emofilico con fibrillazione atriale
Tipo di terapia Through level
Antiaggregante con singolo agente 1-5%
Antiaggregante con doppio agente 15-30%
Anticoagulante 30%
Tabella II. Tipo di terapia e through level del fattore della coagulazione secondo Martin e Key [44]
dal fatto che non è noto quale sia il livello minimo di fattore (basale o da mantenere con concomitante terapia sostitutiva) per evitare un rischio inac-cettabile di sanguinamento.
Il recente studio di Desjonqueres e colleghi [41] ha confrontato 42 pazienti emofilici in terapia antitrombotica con eventi cardiovascolari pregressi con 84 controlli emofilici di pari età e con la stessa gravità di malattia, dimostran-do che la terapia antitrombotica aumenta il rischio di emorragia grave nei soggetti emofilici.
Tra le poche pubblicazioni sul tema vi è l’articolo di Mannucci e colleghi, i quali hanno proposto una flowchart di gestione del paziente emofilico con fibrillazione atriale basata sulla propria esperienza clinica [42]. Secondo l’opi-nione degli Autori sopra citati, in caso di CHADS score ≥2 in pazienti con emo-filia A viene consigliata la terapia anticoagulante se il paziente abbia livelli di FVIII >30%. Nei pazienti con livelli di FVIII tra 5 e 30%, basali o ottenuti con un regime di profilassi con concentrato di FVIII, si può valutare la terapia antiag-gregante con basse dosi di acido acetilsalicilico. È però ormai definito nella popolazione generale che la protezione antitrombotica offerta dalla terapia antiaggregante è inferiore se confrontata con la terapia anticoagulante [33].
In ogni caso occorre bilanciare il rischio emorragico legato all’emofilia e il rischio tromboembolico correlato all’evento o condizione di rischio cardiova-scolare (fibrillazione atriale). Nel bilancio complessivo, al rischio emorragico va aggiunto quello dovuto al farmaco antitrombotico, che può essere com-pensato, secondo quanto proposto da Mannucci e colleghi [42], e ripreso
suc-cessivamente da altri Autori [29, 43], dalla terapia sostitutiva, come illustrato nella Tabella I.
Nel loro articolo del 2016, Martin e Key [44] suggerivano quali through level di fattore della coagulazione carente (FVIII o FIX a seconda del tipo di emofi-lia) mantenere a seconda della terapia (Tabella II).
Nella prescrizione della terapia occorre tener conto anche di caratteristi-che tipicaratteristi-che del paziente, quali [44]:
• fenotipo emorragico;
• intensità della terapia anticoagulante;
• caratteristiche dell’anticoagulazione;
• durata pianificata della terapia.
Sono molto limitati i dati clinici relativi a pazienti emofilici con fibrillazio-ne atriale. Nella coorte europea ADVANCE già citata [38], vi erano 33 (0,8%) pazienti con fibrillazione atriale: solo un terzo di essi riceveva una terapia antitrombotica, che consisteva per lo più (82%) in acido acetilsalicilico. Solo due pazienti, entrambi affetti da emofilia di grado lieve, ricevevano anticoa-gulante orale. Non venivano date informazioni su complicanze emorragiche o recidive tromboemboliche.
La gestione dei pazienti affetti da emofilia e fibrillazione atriale resta dun-que basata fondamentalmente sull’opinione di esperti [36, 42]. Molte dun- questio-ni restano aperte:
• la stratificazione del rischio tramite score CHA2DS2VASc: al momento non è validata. Può essere considerata affidabile o sovrastima il rischio?
Schutgens e colleghi [45] hanno recentemente suggerito di considerare una soglia decisionale più alta (4) per l’indicazione alla terapia anticoa-gulante. Occorre tener presente che alcuni dei parametri considerati nel CHA2DS2VASc sono assenti o infrequenti nell’emofilia: il sesso femmini-le, l’età superiore a 75 anni e la vasculopatia periferica;
• i trough levels di FVIII in caso di anticoagulazione: nello stesso articolo Schutgens e colleghi indicano il 20% come livello minimo [45], ma nell’e-sperienza clinica vi sono casi di anticoagulazione portata avanti senza difficoltà anche con trough levels al di sotto del 20% e, al contrario, casi di anticoagulazione con complicanze nonostante livelli maggiori del 20%;
• l’utilizzo dei NOAC rispetto agli antivitamina K per il minor rischio di emorragia cerebrale nei pazienti emofilici, in particolare di dabigatran per la disponibilità più ampia di un antidoto;
• l’acido acetilsalicilico: è frequentemente utilizzato, ma la sicurezza dalla protezione antitrombotica non è documentata.
Rischio emorragico Rischio trombotico
Emofilia Evento/condizione di rischio cardiovascolare Farmaci antitrombotici Terapia sostitutiva con concentrato di fattore della
coagulazione
Tabella I. Elementi che contribuiscono al rischio emorragico e al rischio trombotico nel paziente emofilico con fibrillazione atriale
Tipo di terapia Through level
Antiaggregante con singolo agente 1-5%
Antiaggregante con doppio agente 15-30%
Anticoagulante 30%
Tabella II. Tipo di terapia e through level del fattore della coagulazione secondo Martin e Key [44]
Grande interesse è dedicato al ruolo di strategie alternative che puntano a ridurre il periodo dell’anticoagulazione e quindi di rischio emorragico, vale a dire l’ablazione delle vie di conduzione anomala, responsabili soprattutto del-le fibrillazioni atriali parossistiche, e la chiusura dell’auricola. Quest’ultima strategia è raccomandata delle linee guida ESC del 2020 [33] per la prevenzio-ne dell’ictus laddove siano presenti controindicazioni alla terapia anticoagu-lante, come può essere l’emofilia. La procedura consiste nel posizionamento di un device che chiuda la sacca da cui originano la maggior parte dei trombi responsabili degli eventi tromboembolici nel paziente fibrillante. È previsto un carico con un antiaggregante (acido acetilsalicilico o clopidogrel) se il pa-ziente non è ancora in trattamento [34]. In corso di procedura è prevista un’e-parinizzazione completa, seguita dall’uso di eparina a basso peso molecolare se viene utilizzato un device che richiede l’anticoagulazione. Dopo l’interven-to, si prevede terapia con clopidogrel solo fino ad avvenuta riendotelizza-zione del device (fino a 6 mesi). Per questo, le terapie antitrombotiche pre-, peri- e post-procedurali sono più facilmente gestibili in un paziente emofilico rispetto all’anticoagulazione a lungo termine.
Un atteggiamento analogo, volto a ridurre il periodo di esposizione al ri-schio emorragico della terapia antitrombotica, è quello utilizzato negli in-terventi di rivascolarizzazione coronarica per via angiografica (angioplastica percutanea con posizionamento di stent), quando nella scelta del tipo di stent da utilizzare in un paziente emofilico si raccomanda di preferire agli stent medicati quelli metallici o gli stent di nuova generazione, che consentono di ridurre a poche settimane il periodo di doppia antiaggregazione.
Approcci alternativi non sono sempre adottabili. Particolarmente difficile, ad esempio, risulta la gestione della terapia antitrombotica in presenza di al-cune condizioni, come ad esempio in caso di dissecazione aortica a cui segue l’impianto di una protesi valvolare meccanica in un paziente con emofilia. In questi casi, come in generale quando sia indicata una protesi meccanica, oc-corre necessariamente una terapia anticoagulante a lungo termine.
Una accurata valutazione multidisciplinare, dunque, consentirà caso per caso di adottare le strategie terapeutiche più efficaci per controllare il rischio tromboembolico/cardiovascolare ma al tempo stesso minimizzare il rischio emorragico nei pazienti con emofilia e altre malattie emorragiche congenite.
5 Neoplasie
Nei pazienti con emofilia, occorre considerare che i tumori correlati alle infezioni da HCV (epatocarcinomi) e da HIV (linfomi non Hodgkin e tumo-ri polmonatumo-ri) hanno una prevalenza maggiore nei pazienti emofilici tumo-rispetto alla popolazione generale e, tra gli emofilici, nei pazienti con la forma grave rispetto a coloro che hanno forme moderate o lievi di emofilia, come rilevato dallo studio di Tagliaferri e colleghi, che ha considerato 122 pazienti emofilici che hanno avuto un tumore nell’arco del trentennio considerato [46]. Lo stes-so studio ha rilevato che i pazienti stes-sottoposti a chemioterapia o radioterapia sperimentano più frequentemente complicanze emorragiche. Tuttavia, devo-no essere effettuati tutti i trattamenti oncologici necessari, compresa la che-mioterapia, valutando le necessità di una terapia sostitutiva concomitante durante i periodi di piastrinopenia, così come in tutte le specifiche situazioni di rischio emorragico legate alla patologia e al suo trattamento [47].
Come dimostrato dallo studio di Biron-Andreani e colleghi [48] su 1.067 pa-zienti emofilici che avevano avuto neoplasie, in alcuni casi un cambiamento nel pattern di sanguinamento di un soggetto emofilico adulto può essere in-dicativo della presenza di un tumore. Nello stesso studio per alcuni pazienti si sono verificate complicanze emorragiche a seguito di indagini invasive o di operazioni chirurgiche: ciò sottolinea, pertanto, l’importanza di fornire ade-guata copertura emostatica in questi frangenti [47].