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FILIERE CREATIVE E MADE IN ITALY

NEL NOSTRO PAESE

4. FILIERE CREATIVE E MADE IN ITALY

Le produzioni culturali e creative interagiscono in modo sempre più rilevante e significativo con le filiere produttive e dei servizi. Le filiere produttive, infatti oltre a concatenare complessi sistemi di fornitura e subfornitura, sempre più interagiscono con le filiere culturali e creative (pensiamo per esempio a come per realizzare un film sono necessari la fotografia, i costumi, le musiche, ecc.). Questo risulta particolarmente evidente nella moda e nell’arredamento, dove le imprese sempre più si rivolgono al mercato non più per soddisfare solo i bisogni, ma per orientare e sollecitare i gusti, facendo appello alle sensazioni: in questo modo le caratteristiche del gusto e quelle semiotiche acquisiscono un’importanza più ampia rispetto alle caratteristiche standard dei beni economici.

Queste nuove forme di produzione e di consumo a forte valenza simbolica richiedono quindi un continuo processo di scambio e di fertilizzazione incrociata con la sfera culturale e creativa: è questa la ragione che spiega il crescente interesse delle imprese più innovative verso lo sviluppo di progetti culturali, che in alcuni casi prende la forma di vere e proprie partnership con istituzioni culturali, la cui missione è particolarmente coerente e sinergica rispetto agli obiettivi aziendali, ma che in altri casi diviene una vera e propria auto-produzione, spesso con un notevole investimento di risorse e con una forte esposizione del marchio.

Il fenomeno assume particolare evidenza nell’interazione tra alcuni settori delle industrie creative a forte caratterizzazione manifatturiera e altri settori del sistema culturale che non presentano nemmeno una forma organizzativa di tipo industriale, come ad esempio le arti visive; si arriva spesso alla creazione di nuove strutture organizzative, in molti casi fondazioni d’impresa, per presidiare in modo permanente e con elevati standard tecnico-professionali gli ambiti di produzione culturale di particolare interesse.

Le grandi operazioni realizzate in ambito artistico da realtà come Fondazione Prada, Fondazione Trussardi o Fondation Cartier rappresentano chiari esempi in questo senso, ma non mancano nemmeno contaminazioni relative alla manifattura di prodotto più tradizionale, come ad esempio nel caso di Elica con Fondazione Casoli, in cui la promozione della ricerca in campo artistico – dalla letteratura alle arti plastiche e visuali fino alla musica – si lega ad un’azienda che produce cappe aspiranti da cucina. Una ricerca che si svolge negli spazi dedicati alla produzione e che vede gli artisti lavorare a fianco e con le maestranze. L’idea è che sia non solo giusto e piacevole, ma anche conveniente, ripensare la fabbrica come habitat o ecosistema creativo in grado di sollecitare e stimolare nuove visioni e soluzioni (come afferma la stessa Elica, che ha visto aumentare il numero dei brevetti estetici e tecnologici).

di successo in molti settori originariamente extra-creativi, come quello culinario e agroalimentare. Le imprese che investono nella creatività e nelle capacità individuali costituiscono, di fatto, una frontiera avanzata dello sviluppo economico, mostrando migliori performance rispetto alle altre e riuscendo ad essere più competitive sui mercati internazionali. Prima di passare all’analisi dei principali risultati economici, è interessante rimarcare, innanzitutto, come le imprese del terziario mostrino una maggiore propensione ad investire a favore della creatività. Nei servizi, infatti, la percentuale di imprese che ha impiegato professionalità creative o che ha introdotto pratiche per stimolare la creatività e la produzione di nuove idee nel triennio considerato si attesta al 29,7%, a fronte del 28,3% dell’industria. Dall’andamento dei principali indicatori di performance si evince la strategicità e l’importanza degli investimenti in creatività per il percorso di crescita del nostro sistema imprenditoriale e per lo sviluppo economico del Paese. Più nel dettaglio, distinguendo tra imprese che hanno investito in creatività e imprese che non lo hanno fatto, è possibile constatare come le prime abbiano registrato sempre performance migliori rispetto alle seconde. Le prime sperimentano un incremento del fatturato, tra il 2013 ed il 2014, del 3,2%, con un’ulteriore crescita del 3,0% prevista per il 2015; le seconde, invece, segnano una flessione dello 0,9% a consuntivo 2014, con una contrazione prevista anche per l’anno in corso (-0,4%).

Lo scenario non cambia di molto se si guarda all’andamento dell’export. Le imprese che hanno investito in creatività hanno incrementato le proprie vendite sui mercati internazionali del 4,3% nel 2014 (+3,7% è la variazione attesa per il 2015), superando di ben quasi quattro punti percentuali il valore corrispondente di chi non ha investito (+0,6%; +0,4% per il 2015).

La creatività costituisce il motore dell’innovazione, un input fondamentale dei processi innovativi. Non sorprende, pertanto, che i dati dell’indagine evidenzino come le imprese che si sono avvalse di professionalità creative o che hanno introdotto pratiche per stimolare la generazione di nuove idee abbiano innovato di più nel periodo 2012-2014. Per ambedue i gruppi imprenditoriali in esame, l’attività innovativa ha riguardato principalmente i prodotti e i processi, ma se tra le imprese che hanno investito in creatività il 63,5% ha introdotto innovazioni di prodotto, tra le imprese che non hanno investito tale quota scende al 22,2%.

Gli scostamenti, ad ogni modo, sono significativi anche relativamente all’innovazione organizzativa e di marketing (rispettivamente, il 47,5% ed il 53,2% delle imprese relativamente al primo gruppo, ed il 7,8% ed il 10,0% per il secondo).

I dati dell’indagine confermano, dunque, come creatività ed innovazione costituiscano un binomio indissolubile, due componenti fondamentali per la competitività ed il successo delle imprese sia sul mercato domestico sia, a maggior ragione, su quello estero. Non è un caso, infatti, che tra le imprese che hanno deciso di investire in creatività il 48,1% è presente sui mercati internazionali4, a fronte del 21,6% di coloro che non hanno investito.

In linea con quanto appena rimarcato, le prime risultano avere maggiori competenze nelle lingue straniere (il 75,6% vanta la conoscenza di lingue straniere; il 36,9% per le seconde), ma non solo. Queste dispongono più frequentemente, altresì, di materiale informativo in lingua straniera, come cataloghi e listini o ancora company profile (il 57,0%; percentuale che scende al 16,8% per le seconde).

5. CONCLUSIONI

I dati presentati dimostrano chiaramente l’importanza economia della cultura. Ulteriori

elaborazioni di Unioncamere e Fondazione Symbola evidenziano una capacità di attivazione del sistema produttivo culturale anche al di fuori del perimetro individuato, con effetti positivi su altri settori quali il commercio, il turismo, i trasporti, ecc. Tutto questo con un ruolo della piccola e media impresa e con grandi potenzialità di crescita basate su logiche di rete, di integrazione tra imprese nei territori.

63,5%

22,2%

48,1%

21,6%

Imprese investritrici Imprese non investritrici Imprese investritrici Imprese non investritrici

ESPORTAZIONI INNOVAZIONE

FONTE | Fondazione Symbola - Unioncamere, “Io sono cultura”, Rapporto 2015

INNOVAZIONE ED ESPORTAZIONE DELLE IMPRESE CHE HANNO INVESTITO IN CREATIVITÀ NELL’ULTIMO TRIENNIO

se ne attivano 1,7 in altri settori.

Gli 84 miliardi, quindi, ne ‘stimolano’ altri 143, per arrivare a 226,9 miliardi, prodotti dall’intera filiera culturale, col turismo come principale beneficiario di questo effetto volano.

Gli investimenti nella cultura nella sua accezione più ampia non solo non rappresentano quindi denaro speso a fondo perduto, ma sono capaci di rientrare sia sul versante pubblico (entrate fiscali) creando sviluppo e occupazione nel settore privato.

Ma il valore economico della cultura e della creatività non finisce qui. La cultura e la creatività hanno inoltre la funzione di rendere più competitive le nostre imprese: infatti chi ha investito in creatività ha visto il proprio fatturato salire del 3,2% (2013-2014); mentre tra chi non lo ha fatto il fatturato è sceso dello 0,9%. Tendenza ancor più spiccata per l’export, cresciuto del 4,3% per i primi e solo dello 0,6% per i secondi.

Non si tratta solo di valutazioni economiche. Queste cifre, e le tante storie riportate nel rapporto Io sono cultura 2015, sono una bussola: mentre cerchiamo faticosamente di rialzarci e sanare le ferite inferte dalla crisi, ci indicano la direzione che deve prendere il Paese.

“Le fiabe - ha detto Chesterton - non raccontano ai bambini che i draghi esistono. I bambini sanno già che i draghi esistono. Le fiabe raccontano ai bambini che i draghi possono essere sconfitti”. La cultura non è solo il racconto di quello che siamo stati, la chiave preziosa per capire il nostro difficile presente.

La cultura è quello che ci permetterà, che permetterà all’Italia se non tradirà la sua anima, di affrontare e vincere le battaglie difficili che la aspettano, di conquistarsi un futuro alla sua altezza. Per farcela, l’Italia deve fare l’Italia.

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