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Film termici

PARTE I: INTRODUZIONE

I.6 PRINCIPALI TIPOLOGIE DI FILM PLASTICI DI COPERTURA

I.6.2 Film termici

Si definiscono “termici” i film in grado di trattenere il calore all’interno della serra durante la notte. La capacità di limitare le perdite calorifiche è legata all’opacità di tali plastiche alla radiazione infrarossa ad elevata lunghezza d’onda (7000 – 13000 nm), emessa soprattutto dal terreno, ma anche dalle strutture della serra, ecc. nelle ore notturne.

Secondo la normativa europea (EN13206), i film “termici” sono quelli in cui la trasmissione dell’infrarosso è inferiore al 20% (infatti più bassa è tale trasmissione, maggiore è la termicità e quindi la capacità di mantenere il calore all’interno dell’ambiente protetto). Questo effetto barriera alla radiazione termica, noto come “effetto serra”, si può ottenere impiegando polimeri e copolimeri che posseggono caratteristiche intrinseche di opacità all’IR lungo, come il cloruro di polivinile (PVC), la poliammide (PA), l’etilenvinilacetato (EVA), l’etilenbutacrilato (EBA), l’etilenmetacrilato (EMA) e l’etilentetrafluoroetilene (ETFE) (Ferraresi et al., 2010), oppure attraverso l’aggiunta al polimero di base di specifici additivi costituiti da cariche minerali contenti silice, silicati (talco, mica, caolino), carbonati ecc. (Hancock, 1988). L’impiego di tali minerali si traduce nell’assorbimento e riemissione immediata di energia calorifica, radiante in tutte le direzioni, in quanto particelle metalliche come l’alluminio, il rame ecc. sono in grado di riflettere la radiazione infrarossa emessa dal terreno e diretta verso l’atmosfera indietro nella serra, funzionando di fatto come una superficie riflettente. Accanto a questi vantaggi, presentano tuttavia alcuni inconvenienti: possono ridurre considerevolmente la trasparenza della copertura e, qualora i metalli si trovino combinati a certi stabilizzanti alla luce, catalizzare il processo di foto-ossidazione, soprattutto se le cariche minerali non sono state precedentemente purificate dei loro elementi ferrosi (Ashkenazy, 1997). Possono inoltre influenzare negativamente le proprietà meccaniche del film, con fenomeni di irrigidimento che risultano poco graditi sia al momento della sua messa in opera, sia durante la permanenza dello stesso sulle strutture della serra o del tunnel (López, 2003). Infine hanno la tendenza a surriscaldarsi in corrispondenza delle zone di contatto con gli elementi strutturali dell’apprestamento di protezione.

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La categoria dei film termici è ben conosciuta fin dagli anni Settanta per i vantaggi che tali materiali hanno apportato e ancora apportano alle coltivazioni sotto serre non climatizzate, prive di riscaldamento. Il loro sviluppo ha segnato un passo importante nella storia della plasticoltura, contribuendo in maniera significativa al boom economico di vaste aree geografiche, come ad esempio il sud-est spagnolo, divenute poi punti di riferimento a livello mondiale dell’agricoltura ad alto rendimento sotto copertura plastica. La loro utilità non si limita tuttavia alle sole serre fredde, ma consente notevoli risparmi in termini energetici anche in strutture dotate di impianti di riscaldamento.

Le più importanti acquisizioni tecnologiche nel campo dei materiali ad effetto termico risalgono, in ogni caso, agli anni Ottanta, periodo in cui fu possibile svincolarsi, quanto al polimero di base, dal tradizionale cloruro di polivinile (PVC), che aveva costituito fino a quel momento la migliore soluzione per ottenere il già citato “effetto barriera all’IR lungo”, ma che presentava, nel contempo, difficoltà di gestione in relazione a molteplici aspetti. L’attenzione si rivolse perciò verso l’impiego del copolimero etilenvinilacetato (EVA), eventualmente combinato, soprattutto tramite il processo di coestrusione, con il polietilene (LDPE), un polimero dotato di pregevoli caratteristiche meccaniche ma di mediocri proprietà termiche, migliorabili tuttavia attraverso l’aggiunta delle cariche minerali descritte in precedenza (Magnani, 1987; Magnani e Oggiano, 1990; Falleri e Magnani, 1991; Magnani, 1993).

Dopo tali acquisizioni, il principale fine della ricerca fu quello di migliorare i film di copertura sotto il profilo merceologico. Questo complesso di soluzioni tecnologiche innovative fu completamente recepito dalla normativa europea EN13206 (Magnani, 1999), nella quale i film termici vengono distinti in “trasparenti” (con prevalente trasmissione di luce diretta) e “traslucidi” (con prevalente trasmissione di luce diffusa), senza fare nessun ulteriore riferimento né ai processi tecnologici adottati dall’industria per la loro estrusione, né alla percentuale di polimeri utilizzati, pur tenendo conto che la normativa prendeva in considerazione solo quelli di uso comune, ovviamente in tutte le loro mescole, ossia il polietilene a bassa densità (LDPE), quello lineare (LLDPE) e l’etilenvinilacetato (EVA). Ma in quegli anni prese avvio anche una tematica di ricerca volta a migliorare l’efficienza dei film di copertura destinati alle colture protette dell’ambiente mediterraneo, caratterizzato da un clima che determina, con una certa frequenza e per lunghi periodi, un eccessivo innalzamento della temperatura dell’aria all’interno dell’apprestamento di protezione, il cui effetto negativo è in grado di condizionare la crescita e la produzione delle colture. Tra le possibili soluzioni al problema vi è l’aggiunta al polimero di base di particolari additivi in

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grado di limitare l’ingresso nella serra della radiazione infrarossa corta (780 – 1500 nm), responsabile del riscaldamento dell’aria confinata sotto la copertura. Si tratta di specifiche cariche minerali e pigmenti, molti dei quali ancora in fase di studio, che permettono di contenere le escursioni termiche nell’ambiente protetto (Verlodt et al., 1995 e 1997; Benoit e Ceustermans, 1997; Schultz, 1997; Tanaka et al., 1997; Verlodt e Verschaeren, 2000; Hoffmann e Waaijemberg, 2002; Von Elsner, 2006; Poch, 2007; Lopez-Marin et al., 2008). Aberkany et al. (2008a e 2008b), hanno invece testato, con risultati positivi, una speciale schiuma che viene iniettata tra due film di LDPE (usati come copertura) ed è capace di ridurre i picchi di temperatura durante l’estate e nelle ore più calde della giornata.

Nel corso degli anni, altre soluzioni tecnologiche sono state proposte al problema del contenimento degli eccessi termici in coltura protetta. Tra queste il film che imprigiona al suo interno minutissime bolle d’aria (Magnani et al., 1997b), per creare, oltre ad una marcata diffusione della luce trasmessa, una sorta di barriera termica, con riflessi positivi sia sulla temperatura notturna, più elevata rispetto ad un film tradizionale, sia su quella diurna, di cui viene contenuto l’innalzamento, con relativo beneficio delle colture. Di acquisizione più recente è invece un materiale di copertura, riconducibile anch’esso ai film termici, caratterizzato dall’inclusione di microsfere di vetro (con diametro medio pari a 50μm) nel polimero di base. Lo scopo era quello di ottenere un film termico in grado di ridurre lo scarto tra temperature minime e massime sotto le coperture e, nel contempo, determinare un’apprezzabile diffrazione della luce trasmessa. Tale film innovativo, che è stato testato presso l’Università di Pisa, ha fatto si che all’interno dell’apprestamento di protezione si creassero condizioni ambientali più favorevoli per l’accrescimento e lo sviluppo delle ortive, che hanno portato infine a livelli produttivi più elevati (Magnani e Filippi, 2006).

I suddetti film termici, in grado di ridurre lo scarto tra temperature minime notturne e massime diurne, vengono definiti “ad effetto termico speciale” (Ferraresi et al., 2010) per distinguerli da quelli ad effetto termico tradizionale.

Tra le ultime novità nel campo dei film termici di copertura, è possibile ricordare i fluorurati (Zanon D., 1990), quali il PTFE (politetrafluoroetilene) e l’ETFE (etilene-tetrafluoroetilene), caratterizzati da eccellenti proprietà ottico-radiometriche e di durata, ma nel contempo anche da costi elevati, che ne hanno limitato la diffusione (Stefani et al., 2008).

Altri materiali innovativi sono i film ottenuti per coestrusione della poliammide (PA) con polimeri quali LDPE, LLDPE, EVA ed EBA. Si tratta di film coestrusi, multistrato, con la poliammide che può essere posta sia sullo strato più esterno che su quello più interno. Nel

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primo caso si ottiene un notevole effetto anti-sporcamento (anti-dust), grazie alle proprietà antistatiche del polimero, che riducono l’adesione del pulviscolo ambientale sulla superficie del film. Se invece la PA viene posta all’interno svolge un’azione antigoccia permanente in virtù della sua particolare formulazione. Ma questo nuovo polimero consente anche di ottenere un effetto termico molto elevato, in grado di garantire, a parità di spessore, un “effetto barriera” alla radiazione IR lunga superiore del 30% rispetto ad un film in EVA e del 10% rispetto ad uno in PVC. Prove sperimentali condotte presso il Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie dell’Università di Pisa hanno messo in evidenza le notevoli performances produttive di questa nuova tipologia di film plastici (Filippi et al., 2010; Magnani et al., 2011).

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