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Filosofia GIOVANNI BOTTIROLI,

Interpre-tazione e strategia, Guerini e

As-sociati, Milano 1987, pp. 150, Lit. 16.500.

Come rispondere alla crisi dei grandi modelli di razionalità? Su quali sdrucciolevoli sentieri può av-venturarsi chi ha pienamente con-sumato l'esperienza delle metafisi-che occidentali? Sembrano queste le domande da cui parte Bottiroli, che ripropone il concetto greco di

me-tis. E nella metis, — che egli

tradu-ce con "pensiero strategico" —, che noi possiamo individuare la rispo-sta più praticabile di fronte alla cri-si della razionalità. In essa soltanto, infatti, è presente quella duttile fles-sibilità che consente di muoversi agilmente tra il pensiero metafisico e la sua negazione, accomunati dal-la stessa rigidità. Proprio l'edal-lasticità e la plastica adattabilità ai più acci-dentati terreni costituiscono l'inti-ma natura del pensiero strategico: la metis, allora, già presente in am-biti disciplinari e in linguaggi prati-ci o empiriprati-ci deve essere introdotta nella riflessione filosofica. Il testo si propone come uno stadio di questo più ambizioso progetto teorico. At-traverso la ricognizione dei tratti strategici in settori come la psicana-lisi, la teoria del comico, la semioti-ca e la critisemioti-ca letteraria, cersemioti-ca di costituire un lessico intellettuale che pervada la sfera filosofica adat-tandola alle esigenze contempora-nee.

M. Rostagno

E H R E N F R I E D W A L T E R V O N TSCHIRNHAUS, Medicina men-tis, sive artis inveniendi prae-cepta generalis, Guida, Napoli

1987, ed. orig. 1686, trad. dal lati-no di Lucio Pepe e Manuela San-no, pp. 409, Lit. 36.000.

Tschirnhaus (1651-1708), scienzia-to e filosofo, allievo non confesso di Spinoza e corrispondente di Leibniz, fu membro dell'Académie Royale des

Sciences ed ebbe tra i suoi

interlocuto-ri gli esponenti di maggior interlocuto-rilievo della cultura filosofica di fine Seicen-to: Oldenburg, Newton, Malebran-che, Huygens, Medicina mentis è il tentativo ai fondare la logica e il me-todo di una "ars inveniendi" autenti-ca ed effiautenti-cace, autenti-capace, cioè, di "porta-re alla luce tutto ciò che, benché sco-nosciuto, è accessibile all'intelletto". Si tratta di una pretesa, ma soprattut-to di un'esigenza, condivisa dalla cul-tura scientifica della seconda metà del secolo XVII, che alla polemica con-tro la logica scolastica e concon-tro la mancata matematizzazione del me-todo baconiano aggiunge la critica al metodo cartesiano, reo d'aver forni-to precetti senza l'indicazione di co-me essi debbano applicarsi in ambito scientifico. Dalla morte di Tschir-nhaus al 1718 i suoi scritti furono sotto sequestro. Augusto II non te-mette i poteri farmaceutici della nuo-va logica; temette invece che il segre-to della porcellana, della quale Tschirnhaus fu l'inventore europeo, potesse essere trafugato.

M. Longo

FRANCESCA BONICALZI, Il c o

-struttore di automi. Descartes e le ragioni dell'anima, Jaca

Bo-ok, Milano 1987, pp. 216, Lit. 26.000.

Il libro si compone di un agile sag-gio (pp. 15-61), dedicato ad inquadra-re la figura dell'automa nell'indagine cartesiana e a tracciarne i riferimenti tra i contemporanei, cui si affianca un'ampia scelta di passi dalle princi-pali opere citate: brani di Montaigne, di Cyrano de Bergerac, dell'ingegne-re, architetto e progettista di macchi-ne idrauliche Salomon de Caus, del padre Mersenne (testo la cui scelta appare pressoché immotivata) e dello stesso Descartes (tra i quali passi dalle lettere, dal Mondo e dall' Uomo, dalle

Passioni dell'anima, dai Principi ecc.):

si tratta in parte di testi che potranno riuscire familiari al lettore, in parte invece meno conosciuti e di non faci-le reperimento. Nell'interpretazione che l'autrice sinteticamente illustra, l'automa rappresenta per Descartes un modello ermeneutico: imitazione dell'essere biologico, ne disvela in modo grossolano e macroscopico, ma proprio perciò maggiormente vi-sibile, il carattere meccanico; l'intui-zione si rappresenta così, idealizzan-do il manufatto in una sorta di meta-fora razionale, il carattere meccanico della natura. Questo però apre uno spazio esclusivo per la sostanza spiri-tuale, del tutto eterogenea alle "mac-chine" brute: un Descartes apologeti-co anapologeti-cor prima che dualista andrebbe cercando nell'automa uno schema

scientifico, ma anche un argomento in favore dell'immortalità dell'ani-ma.

E. Pasini

BERNARDHENRY LÉVY, Q u e

-stioni di principio, Spirali,

Mila-no 1987, ed. orig. 1986, trad. dal francese di Alessandra Tamburini, pp. 250, Lit. 25.000.

Scriveva Lévy in un articolo del 1977, nel quale rispondeva alle molte critiche rivolte ai neonati nouveaux

philosophes: "Insorgo semplicemente

contro la strana idea che un intellet-tuale debba star zitto fino a che non ha passato lunghi anni di ricerche, e di pesante lavoro". Animato dunque dalla convinzione che "il filosofo par-la e così disturba l'ordine del mon-do", Lévy preferisce perorare cause che meditare, e non teme la banalità, come testimonia la decisione di pub-blicare questa raccolta di articoli giornalistici. Con grande eloquenza, prende la penna sui più svariati argo-menti: sull'Afghanistan, sulla Cam-bogia, sulla necessità di non obliare l'Olocausto, sull'Argentina di Vide-la; su Céline, Althusser, Derrida, ma anche sullo stilista Saint-Laurent, sul-la crisi dell'Occidente, sui mass me-dia. Lévy rivendica la visione del mondo coerente che unifica i testi

f

iroposti in Questioni di principio, la oro "metafisica" di fondo. La quale appare, però, estremamente povera: ciò che Lévy chiama "dissipazione dell'ottimismo storico-tradizionale",

l'idiosincrasia per ogni sogno di una "comunità piena, ideale, organica", è sovente riducibile ad un antitotalita-rismo un po' ottuso, che confonde il sistema sovietico con l'ideologia marxista che anima l'aspirazione alla libertà dei popoli oppressi del terzo mondo, e perfino con le organizza-zioni pacifiste degli anni '80.

M. Sozzi

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