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della filosofia kantiana

ob nicht natur zuletzt sich doch ergründe? j. w. goethe

prefazione alla prima edizione

mi propongo di indicare, in queste pagine, come questo libro vada letto e come si può forse riuscire a comprenderlo. Quello che, per suo tramite, deve essere comunicato è un unico pensiero. e tuttavia, nonostante i miei sforzi, non sono stato capace di trova-re, per esporlo, una via piú breve di quella di questo libro nella sua interezza. ritengo che tale pensiero sia quello stesso che, sotto il nome di filosofia, è stato cercato cosí a lungo che la sua scoperta sembra agli esperti di storia impossibile quanto quella della pietra filosofale, anche se già plinio ebbe a dire: «Quam multa fieri non

posse, priusquam sint facta, judicantur?» (Hist. nat., 7, 1)1.

a seconda del punto di vista da cui lo si considera, l’unico pen-siero che voglio comunicare si mostra come ciò che è stato chiama-to metafisica, etica, estetica; in verità, però, esso dovrebbe essere tutte queste cose insieme, ammesso che esso, come ho già detto, possieda i caratteri che gli ho attribuito.

Un s i s t e m a d i p e n s i e r i deve avere sempre una struttu-ra di tipo architettonico; ogni sua parte, detto altrimenti, | deve sempre sostenere l’altra senza aver bisogno di esserne a sua vol-ta sostenuvol-ta: la pietra che svol-ta nelle fondamenvol-ta sorregge tutte le altre senza esserne sostenuta, la sommità della costruzione viene sorretta senza sorreggere alcunché. U n u n i c o p e n s i e r o , al contrario, per quanto vasto possa essere, deve mantenere la piú perfetta unità. anche se, per poter essere comunicato, esso può lasciarsi scomporre in parti, queste ultime dovranno tuttavia risul-tare organicamente concatenate l’una all’altra: ciascuna parte deve reggere il tutto tanto quanto il tutto regge la parte; nessuna è la prima e nessuna è l’ultima; il pensiero nel suo insieme guadagna in chiarezza grazie a ciascuna di esse, e anche la sua parte piú piccola

1 [«Quante cose non si ritengono impossibili, prima che accadano?» (plinio,

Natura-lis historia, vII, 1, § 6; trad. it. di G. ranucci, Storia naturale, einaudi, torino 1983, vol.

II, pp. 10-11).]

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[In occhiello: «ma la natura non fonda, da ultimo, se stessa?» (j. w. goethe, Herrn

Staats-minister von Voigt zur Feier des 27, September 1816 («al signor ministro von voigt per la

festa del 27 settembre 1816»), in «Jeanischen literaturzeitungen», 1816, ora in id.,

6 il mondo come volontà e rappresentazione prefazione alla prima edizione 7 non può essere compresa compiutamente senza che sia stato

preli-minarmente compreso l’intero. Un libro, tuttavia, deve avere una prima e un’ultima riga e per questo rimarrà sempre molto diverso da un organismo, anche se gli potrà assomigliare nel contenuto: ne segue che qui forma e contenuto si contraddiranno reciprocamente.

va da sé che, in queste circostanze, a chi voglia comprendere sino in fondo il pensiero che viene esposto in queste pagine non posso che raccomandare di l e g g e r e q u e s t o l i b r o d u e v o l t e e, in particolare, di leggerlo una prima volta con molta pa-zienza, sostenuta solamente dalla decisione di confidare nel fatto che il principio presuppone la fine quasi quanto la fine presuppo-ne il principio e che ogni parte che viepresuppo-ne prima presuppopresuppo-ne quella che viene dopo quasi quanto quest’ultima presuppone quella. dico «quasi», poiché non è cosí in tutto e per tutto: tutto quello che ho potuto fare per anticipare ciò che aveva meno bisogno di chiarimenti nel prosieguo, e soprattutto ciò che poteva contribuire a facilitare la comprensibilità e la chiarezza del discorso, l’ho fatto con onestà e con coscienza; anzi, potrei persino dire di esserci, fino a un certo punto, riuscito se il lettore, come è del tutto naturale, | invece di limitarsi a ciò che di volta in volta viene detto, non pensasse anche a ciò che se ne può dedurre, perché, in questo modo, oltre ai numerosi contrasti con le opinioni del nostro tempo, e probabilmente anche con quelle del lettore stesso, che effettivamente ci sono, rischierebbero di sorger-ne prematuramente molti altri di immaginari, che farebbero apparire come vivace condanna ciò che non è se non un mero fraintendimento. Il fraintendimento, però, non è facilmente riconoscibile, soprattutto quando la limpidezza dell’esposizione e la chiarezza dell’espressione, faticosamente conseguite, se non lasciano dubbi intorno al significa-to immediasignifica-to del tessignifica-to, non possono tuttavia esprimere nello stesso tempo le sue relazioni con l’opera nel suo complesso. perciò, dunque, la prima lettura richiede, come ho detto, una pazienza che deve na-scere dalla fiducia che, a una seconda lettura, molto o tutto possa es-sere visto sotto una luce radicalmente differente. del resto, lo sforzo serio di rendere piú completa e piú semplice la comprensibilità di un oggetto molto difficile giustificherà il fatto che il lettore possa trovare qua e là una ripetizione. la struttura stessa dell’intero, che è quella di un organismo e non di una concatenazione di elementi, ha reso ne-cessario, talvolta, toccare due volte il medesimo argomento. Inoltre, proprio questa struttura e la coesione molto stretta fra tutte le parti non hanno consentito di suddividere il libro in capitoli e in paragra-fi, come mi sarebbe piaciuto fare; ho dovuto, invece, accontentarmi

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di quattro suddivisioni fondamentali, che sono come quattro aspetti

dell’unico pensiero2. In ciascuno di questi quattro libri è necessario

soprattutto non perdere mai di vista, al di là degli argomenti specifi-ci dei quali per necessità si tratta, il pensiero fondamentale al quale essi appartengono e l’andamento dell’esposizione nel suo complesso. con questo è stata formulata la prima e, come quella che seguirà, in-dispensabile richiesta che io rivolgo al lettore riluttante (ossia al filo-sofo, poiché il lettore stesso è filosofo).

la seconda richiesta è che prima del libro se ne legga l’introduzio-ne, anche se essa non è inclusa in questo volume, in quanto è stata pubblicata cinque anni fa con il | titolo Sulla quadruplice radice del

principio di ragione sufficiente. Un saggio filosofico. senza la

conoscen-za di questa introduzione e propedeutica una comprensione autenti-ca del presente scritto è del tutto impossibile, e il contenuto di quel saggio è qui ovunque presupposto, come se facesse parte integrante del volume. d’altra parte, se esso non avesse preceduto quest’ope-ra di parecchi anni non le starebbe oquest’ope-ra dinanzi a mo’ di introduzio-ne, ma costituirebbe parte integrante del primo libro il quale, nella forma in cui si trova adesso, mostra una certa incompiutezza e non poche lacune, alle quali si è dovuto ovviare facendo di continuo ri-ferimento a quel saggio. tuttavia, mi ripugnava cosí tanto copiare me stesso o presentare faticosamente con altre parole ciò che già una volta avevo detto a sufficienza, che ho preferito questa via, anche se ora avrei potuto dare al contenuto di quel saggio un’esposizione un po’ migliore, soprattutto liberandolo di parecchie nozioni deri-vate dall’eccessiva soggezione che allora avevo nei confronti della filosofia kantiana, come le categorie, il senso esterno e il senso in-terno, e cosí via. ma questi concetti si trovano là solo perché sino a quel momento non li avevo esaminati in modo adeguatamente ap-profondito, per cui svolgono un ruolo meramente collaterale, senza alcun legame con la questione fondamentale, cosicché la rettifica di quei luoghi del saggio potrà compiersi da sé nel pensiero del lettore, grazie alla conoscenza del presente scritto. – ma soltanto quando, grazie a quel saggio, si sarà compreso compiutamente che cosa sia il principio di ragione, quale ne sia il significato e sino a dove si

esten-2 [l’attuale suddivisione del testo in 71 paragrafi numerati comparve infatti solo a par-tire dalla seconda edizione dell’opera. nella prima edizione i paragrafi non erano numera-ti e, come schopenhauer stesso ricorderà nella Prefazione alla seconda edizione, erano indi-cati solo per mezzo di linee di separazione. della prima edizione dell’opera è oggi disponi-bile un’edizione in facsimile: Die Welt als Wille und Vorstellung. Faksimiledruck der ersten

Auflage von 1819 (1818), Insel verlag, Frankfurt am main 1987.]

8 il mondo come volontà e rappresentazione prefazione alla prima edizione 9 da e dove no la sua validità, e poi che quel principio non precede

tutte le cose, come se il mondo dovesse esistere come suo effetto e in conformità ad esso, quasi ne costituisse un corollario, ma che, al contrario, esso | altro non è che la forma in cui sempre l’oggetto, di qualsiasi tipo esso sia, viene ovunque conosciuto come condizionato dal soggetto, in quanto il soggetto è un individuo conoscente: solo allora sarà possibile penetrare fino in fondo il metodo filosofico che viene qui tentato per la prima volta e che è completamente diverso da tutti quelli che lo hanno preceduto.

È stata solamente la medesima avversione a copiare me stesso pa-rola per papa-rola, o anche a dire una seconda volta con parole diverse e peggiori le medesime cose che io stesso ho già detto in modo miglio-re una prima volta, a produrmiglio-re una seconda lacuna nel primo libro di questo scritto, nel quale ho trascurato ciò che si trova nel primo capi-tolo del mio saggio Sulla vista e i colori e che, diversamente, avrebbe trovato posto qui parola per parola. perciò anche la conoscenza di questo piccolo mio scritto precedente viene qui presupposta.

la terza richiesta da fare infine al lettore potrebbe anche essere sottintesa: non è altro, infatti, che quella di conoscere il piú impor-tante fenomeno che si sia verificato da duemila anni a questa parte

in filosofia3, e che perciò si trova cosí vicino a noi: mi riferisco agli

scritti fondamentali di Kant. l’azione che questi ultimi possono esercitare sullo spirito al quale riescano a parlare io la ritengo pa-ragonabile, come forse è già stato detto, all’operazione di catarat-ta sui ciechi; e, se si vuole continuare con questo paragone, il mio obiettivo può essere descritto dicendo che io, a coloro i quali sono stati operati di cataratta con successo, ho voluto mettere in mano un paio di occhiali, per utilizzare i quali è condizione necessaria che quell’operazione sia stata eseguita. ora, per quanto io prenda le mosse da ciò che ha affermato il grande Kant, lo studio atten-to dei suoi scritti mi ha convinatten-to dell’esistenza in essi di errori di un certo rilievo che dovevo isolare dal contesto generale e respingere, | al fine di poter presupporre e utilizzare quanto nella sua dottrina c’è di vero e di eccellente. tuttavia, per non interrompere la mia esposizione e per non complicarla polemizzando di continuo con

Kant, ho raccolto le mie critiche in un’appendice separata4. ora,

cosí come il mio scritto presuppone la conoscenza della filosofia kan-tiana, come ho detto poc’anzi, allo stesso modo presuppone anche

3 [non da soli «due secoli», come si legge in Mondo 1914-16, tomo I, p. 6.]

4 [Inclusa nel presente volume con il titolo Critica della filosofia kantiana.] xi

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la conoscenza di quell’appendice; da questo punto di vista sarebbe preferibile leggerla per prima, soprattutto perché il suo contenuto ha dei rapporti precisi proprio con il primo libro del mio scritto. d’altra parte, in ragione della natura stessa della questione, non è stato possibile evitare che l’appendice facesse riferimento qua e là all’opera vera e propria, ma da ciò non segue nient’altro se non che anche l’appendice, come la parte principale dell’opera, dovrà essere letta due volte.

la filosofia di K a n t è dunque la sola della quale viene pre-supposta una conoscenza puntuale per la comprensione di ciò che qui viene esposto. ma se, oltre a ciò, il lettore avrà frequentato la scuola del divino p l a t o n e , sarà meglio preparato e meglio di-sposto ad ascoltarmi. se poi egli è divenuto anche partecipe della benedizione dei V e d a , l’accesso ai quali ci è stato aperto dalle

Upaniṣad5 e che costituisce, per come la vedo io, il privilegio piú significativo che questo secolo ancora giovane può vantare sul pre-cedente, poiché ritengo che l’influenza della letteratura sanscrita sarà non meno profonda di quella esercitata dalla riscoperta della cultura greca nel xv secolo; se dunque, dico, il lettore ha già rice-vuto e accolto la consacrazione dell’antichissima sapienza indiana, allora egli è preparato al meglio a udire quanto io intendo espor-gli. la materia, in questo caso, non gli sembrerà, come potrebbe accadere a qualcun altro, estranea o addirittura ostile; io infatti, se ciò non rischiasse di apparire troppo superbo, oserei affermare che ciascuna delle | singole sentenze isolate che costituiscono le

Upaniṣad si lascia dedurre dal pensiero che io intendo comunicare,

in quanto ne costituisce una conseguenza, anche se quest’ultimo non può in alcun modo essere rintracciato in esse.

ma già la maggior parte dei lettori si alza con impazienza e pro-rompe in un rimprovero che ha trattenuto a stento per tutto que-sto tempo: come posso osare di presentare al pubblico un libro

5 [le Upaniṣad, la cui redazione iniziò verso l’viii-vii secolo a.c., sono i testi sacri dell’induismo. costituiscono la parte finale dei Veda, una parola con la quale viene indica-ta un’ampia produzione poetico-religiosa sviluppaindica-tasi in India tra il xii e l’viii secolo a.c. si tratta di piú di trecento testi – anche se di solito se ne contano 108, «perché 108 è un numero sacro» (G. tucci, Storia della filosofia indiana, laterza, roma-Bari 1977, vol. I, p. 46) – fondamentali per la conoscenza del pensiero e della religiosità indiani e originalmen-te trasmessi oralmenoriginalmen-te. schopenhauer ha ben presenoriginalmen-te almeno dal 1816 l’importanza del-la sapienza indiana e del-la sua vicinanza con del-la propria dottrina; a dresda, per esempio, scri-ve: «non credo, lo ammetto, che la mia teoria sarebbe mai potuta nascere prima che le

Upaniṣad, platone e Kant avessero potuto gettare contemporaneamente i loro raggi nello

spirito di un uomo» (Hn, I, § 623, p. 422; sp1, p. 568).]

10 il mondo come volontà e rappresentazione prefazione alla prima edizione 11 ponendo richieste e condizioni, le prime due delle quali sono

pre-suntuose e assolutamente immodeste, e questo in un’epoca che è talmente ricca di forme di pensiero cosí singolari che in Germania soltanto ce ne sono almeno tremila che, ogni anno, diventano di pubblico dominio attraverso opere dense di contenuto, originali e assolutamente indispensabili, nonché attraverso innumerevoli pe-riodici o persino attraverso le pagine dei quotidiani? in un’epoca nella quale di sicuro non mancano filosofi assolutamente originali e profondi, tanto che nella sola Germania ne vivono piú di quanti ne seppero produrre parecchi secoli uno dopo l’altro? come si può dunque venirne a capo, chiede il lettore indignato, se è necessario darsi cosí tanto da fare per un libro solo?

dato che non ho la benché minima obiezione contro questi rim-proveri, non mi attendo alcun ringraziamento da parte dei lettori di questo genere, se non per il fatto che li ho avvisati per tempo di non sprecare nemmeno un’ora con un libro la cui lettura può rivelarsi utile soltanto se vengono soddisfatte le richieste che ho formulato e che, perciò, conviene loro di tralasciare del tutto anche perché, ci scommetterei, il libro a loro non piacerebbe, dato che esso sarà

sempre soltanto paucorum hominum6, e per questo | dovrà

attende-re con pazienza e con modestia i pochi che, grazie al loro modo di pensare fuori dell’ordinario, lo trovino leggibile. Infatti, anche a prescindere dall’ampiezza di vedute e dallo sforzo che quest’opera richiede al lettore, quale uomo colto del nostro tempo, nel quale il sapere è giunto in prossimità di quel punto grandioso dove il para-dosso e l’errore sono una cosa sola, potrebbe sopportare di trovare, quasi a ogni pagina, pensieri che, in effetti, sono in contrasto con quanto egli stesso ha stabilito una volta per tutte come vero e certo? e come rimarranno deluse quelle persone che non troveranno qui nessuno dei discorsi di cui andavano alla ricerca, poiché il loro modo

di riflettere è affine a quello di un grande filosofo vivente7, il quale

ha scritto libri davvero toccanti e che ha solo la piccola debolezza di considerare come pensieri fondamentali innati tutto ciò che la men-te umana ha appreso e accolto prima del suo quindicesimo anno di

6 [«per pochi» (orazio, Saturae, I, ix, 44).]

7 F. H. Jacobi. [Il filosofo Friedrich Heinrich Jacobi (1743-1819), autore delle cele-bri Lettere sulla dottrina di Spinoza (delle quali si veda la trad. it. di F. capra, riveduta da v. verra, La dottrina di Spinoza. Lettere al signor Moses Mendelssohn, laterza, Bari 1969), ma anche, nel 1787, del dialogo David Hume über den Glauben, oder Idealismus und

Rea-lismus (se ne veda la trad. it. a cura di n. Bobbio, Idealismo e realismo, de silva, torino

1948), ed è a quest’ultimo scritto che schopenhauer fa riferimento nelle pagine del Mondo. xiv

età. chi potrebbe sopportare tutto questo? Il mio solo consiglio, di conseguenza, è ancora una volta quello di mettere via questo libro.

ma non credo di potermela cavare cosí facilmente. Giunto al termine di una prefazione che lo respinge, il lettore ha comunque acquistato il libro con denaro sonante e chiede come poter essere risarcito. Il mio ultimo rifugio è quello di ricordargli i diversi mo-di in cui è possibile utilizzare un libro senza che ci sia bisogno mo-di leggerlo. Questo libro può, altrettanto bene come molti altri, riem-pire uno spazio vuoto nella sua biblioteca, dove esso, ben rilega-to, farà senz’altro bella mostra di sé. oppure può anche lasciarlo sulla toilette o sul tavolino da tè di una sua amica colta. o infine può anche, ed è la cosa migliore, quella che io consiglio caldamen-te, farne una recensione.

| e cosí, dopo che mi sono concesso di scherzare (non c’è pagina cosí seria da non poter lasciare spazio allo scherzo, in questa vita che ha sempre e dappertutto una doppia faccia), presento il mio libro con profonda serietà, convinto come sono che esso presto o tardi raggiungerà coloro ai quali soltanto può essere rivolto, anche se sono serenamente rassegnato al fatto che anche a questo libro toccherà lo stesso destino che è sempre toccato in sorte alla verità in ogni ambito del sapere, soprattutto in quello piú importante, ossia di conseguire soltanto una breve vittoria tra due lunghi pe-riodi di tempo nei quali essa viene condannata come paradossale o disprezzata come triviale. e il primo destino colpisce anche, insie-me alla verità, colui che l’ha trovata. ma la vita è breve e la verità opera lontano e vive a lungo: diciamo, dunque, la verità.

scritto a dresda nell’agosto del 1818 xv

| prefazione alla seconda edizione

la mia opera, che è ormai compiuta, non la consegno né ai miei contemporanei né ai miei compatrioti, ma a tutta l’umanità, convinto come sono che non sarà per essa priva di valore, anche se ciò verrà ri-conosciuto solo tardivamente, come dovunque tocca in sorte al bene. È soltanto per essa, infatti, e non certo per la generazione che passa di fretta, affaccendata com’è con le sue precarie illusioni, che è potuto accadere che la mia testa, quasi andando contro la mia volontà, si sia dedicata ininterrottamente al suo lavoro per tutta la mia lunga vita. Intorno al valore della mia opera, durante questo tempo, non mi ha potuto trarre in inganno nemmeno lo scarso interesse che essa ha su-scitato: poiché ho visto di continuo diventare oggetto di ammirazione e di venerazione ciò che è falso, ciò che è malvagio e, ultimamente,

ciò che è assurdo e insensato1, mi sono convinto che, se coloro i

qua-li sono in grado di conoscere ciò che è degno di considerazione e ciò che è giusto non fossero cosí rari che si potrebbe andarne in cerca per vent’anni senza successo, nemmeno quelli che producono il vero e il Giusto potrebbero essere cosí pochi da costituire, con le loro opere, | un’eccezione al carattere transitorio delle cose umane; con il che

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