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6.5 – IL FINALISMO GADDIANO: ∞

Il tempo è dunque uno dei mezzi con cui questa autodeformazione si manifesta; e nel tempo non sembra di scorgere alcun lume o fine.

Carlo Emilio Gadda

Ma il critico della Meditazione ha ancora dei dubbi riguardo l’evoluzione del sistema da n a n + 1 e perciò si domanda se il filosofo Gadda non abbia in mente un fine verso cui il sistema tende. Gadda specifica che il sistema n + 1 non è il punto d’arrivo. È un momento storico di passaggio in cui la deformazione si manifesta. Il momento evolutivo è solo un sentimento che il sistema percepisce in sé e che non deve essere confuso con un fine già prefissato, predeterminato nel sistema: «Considerate, e ciò come ultimo avvertimento, che questa superordinazione deve esser veduta come groviglio estremamente complesso e direi confuso, e non con facile e banale schematismo. Ma in realtà si tratta di innumeri n + 1 seguenti a innumeri n, e ogni n può appartenere a diversi n + 1, come un uomo può essere cittadino e membro d’una società sportiva e…».281 Gadda, anche in questo

frangente, è consapevole che il suo concetto di groviglio non esime da una complessità difficile da gestire e sceglie di scostarsi dal fisso determinismo leibniziano, in cui il miglior mondo possibile è già stato scelto, affidando al molteplice del reale la possibilità di incappare in un sistema n + 1 o in un qualsiasi altro n + 1. Non esiste in Gadda una linea di tempo predefinita che ha come punto di arrivo un determinato sviluppo: Gadda non ha nulla a che fare

con la preveggenza. Se una persona - una qualunque, anche l’«uomo normale» gaddiano - avesse cognizione del proprio destino, della propria evoluzione + 1, si dovrebbe parlare di preveggenza: quella persona saprebbe come finisce la sua storia. Non può esistere un sistema conoscitivo che anteponga i fatti evolutivi a quelli storici, ancora da vivere. Solo in un sistema totalitario, tendente all’uno, si può avere cognizione del destino finale, lo scioglimento del groviglio in un unico filo irrelato, ovvero la morte. Per Gadda è assurdo pensare a dei sistemi n che evolvano verso dei sistemi n + 1 per principio: «alcuni saltano dei posti, altri insistono, altri ritardano, altri vaniscono, ecc. La realtà si presenta come il fiume eracliteo pieno di gorghi e di forze aggrovigliate e intersecantesi».282

La domanda fondamentale che Gadda pone ai suoi lettori è dunque se esistono i fini. Esiste qualcosa che attira verso di sé e invariabilmente l’evoluzione di un sistema? Da un punto di vista strettamente pratico Gadda non esclude che ci possano essere, «rispetto al bene fisiologico o di 1° grado»,283 dei fini: se il fine è

avere un’asse di legno, scrive Gadda, allora si può concedere che il falegname troverà nel tronco d’albero da lavorare il finalismo ‘asse di legno’. Gadda ricorda che ciò non dovrebbe essere definito finalismo, ma quel tendere, quell’approssimazione al fine del falegname, deve essere pensato come un modo spinoziano. È solo un’espressione del sistema reale che «chiama»284 la soluzione

migliore per l’esigenza ‘asse di legno’, o per meglio dire n +1:

282 Ibidem. 283 Ivi, 779. 284 Ivi, 780.

tutti coloro che da n cavano n + 1, cioè come tutti i sistemi in preda a un processo di autoorganizzazione (deformazione del reale, mediante le gentes di consimili processi) non hanno davanti un tema o modello finale, ché, se ciò fosse, il motore asincrono sarebbe già inventato.285

La tendenza verso un miglior sistema + 1, la «chiamata», è un processo euristico di sintesi del reale. Solo in un sistema relato, il gomitolo gaddiano, si possono trovare i punti di contatto e di relazione che producono una evoluzione, o una involuzione, autodeformante del sistema stesso.

Gadda conclude il paragrafo diciannovesimo della

Meditazione con un lungo elenco ragionato di esempi che meglio

definiscono l’evoluzione dal permanere n al divenire n +1. Lo scibile umano è suddiviso in categorie ed analizzato per quel che concerne il divenire + 1: la biologia e la funzione che crea l’organo;286 la tecnica e la costruzione di una migliore nave

corazzata;287 l’arte, o tecnica dell’espressione, con i «colossi

euristici» che sanno innovare un’arte e gli artisti «persistenti» che vivacchiano di arte imprestata;288 la politica e la formazione

euristica di uno stato sovrano;289 la ragione che allaccia nuove

relazioni inventando così la realtà,290 ed infine la storia che

presenta per sua stessa struttura il processo evolutivo + 1.291

L’idea di Gadda è che il sistema può evolvere verso lo sconosciuto e non finalistico n + 1, oppure, ed egli non prende in considerazione quest’evenienza n + 1 è un fine che può arrestare il

285 Ivi, 782. 286 Ivi, 785. 287 Ivi, 787.

288 Ivi, 787-88: «Quanti petrarchisti in Italia! Ma un solo Petrarca». 289 Ivi, 788.

290 Ivi, 789. 291 Ivi, 790.

continuo flusso di deformazione del sistema stesso. L’evoluzione di un sistema per Gadda è una scoperta da fare, il risultato temporaneo di una ricerca. Il fine, invece, è qualcosa che si conosce e che si vuole raggiungere per sbrigare delle faccende pratiche: ad esempio l’asse di legno che il falegname intravede nel tronco dell’albero. Il fine è la totale mancanza di novità, è saper come finirà la storia, il romanzo, un giallo.292 Il “non essere novità”

nel sistema + 1 creerebbe dei seri problemi di preveggenza, l’impreveduto sarebbe in realtà qualcosa che la mente può già conoscere, anzi dovrebbe già conoscere per evolvere, per deformarsi. Gadda oppone a questa rassicurante dinamica un’instabile e continua evoluzione del sistema. Per Gadda non si può conoscere qualcosa che si sta cercando fino a che non la si è trovata: conoscere già ciò che si dovrà scoprire in un indeterminato futuro è una barocca fandonia che Gadda non può accettare; meglio allora una dotta ignoranza. Conoscere i fini, vivere in una vita moralmente finalistica, non fa per Gadda come non fa per Gonzalo Pirobutirro.

292 I, 149: «Il rifiuto del finito, nel caso del giallo, traînant per riprovevoli divagazioni e

per alcuni eccessi verbali, è dovuto al consapevole desiderio di chiudere in apocope drammatica il racconto che tendeva a deformarsi». L’intervistatore è Alberto Moravia.