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Finalità politiche e dinastiche nei nuovi modelli iconografici sul finire del XV secolo

Ad avvalorare le dinamiche di profondo cambiamento delle tendenze artistiche di Siena alla fine del Quattrocento, accanto al deciso rinnovamento di stile, che già negli anni settanta appare visibile nella gran parte delle opere a carattere religioso e politico interviene, nell'ultimo decennio del secolo, in maniera altrettanto incisiva, una trasformazione dell'iconografia tradizionale che, ancora alle soglie del Cinquecento, è legata a modelli normativi del tempo della repubblica medievale. La tradizione civica della città, nel corso dei secoli, ha avuto alternativamente un ruolo di pacificazione sociale, di identità cittadina e di alterità, rispetto alle altre realtà politiche, anche regionali. L'arte, sin dall'età medievale, si è costituita come il mezzo privilegiato e più diffuso per l'espressione di questa peculiarità, tipicamente senese, ma sempre restando dominio delle élite politiche e religiose della città, all'interno di una gestione dell'immagine di Siena, come espressione del "Buon Governo". Proprio dalla privatizzazione di questo linguaggio figurativo, nascono le premesse di una rinnovata iconografia dell'arte senese a cavallo tra il Quattrocento ed il Cinquecento.71

71 Si veda per questo aspetto, Marilena Caciorgna, Roberto Guerrini, La virtù figurata. Eroi ed eroine dell'antichità nell'arte senese tra Medioevo e Rinascimento, Siena, 2003, Fondazione Monte dei Paschi di Siena.

Infatti, a partire dall'ultimo decennio del secolo XV, va diffondendosi l'idea, accanto alla tradizionale celebrazione delle virtù politiche dei condottieri e delle virtù mistiche dei soggetti religiosi, di raccontare le virtù domestiche, familiari, matrimoniali, per le quali si fa ricorso all'antichità romana e greca, ed ai personaggi che, nella letteratura classica, hanno incarnato questi valori. Uno dei primi esempi, in tutta la penisola, di rappresentazione di questi modelli con un linguaggio ormai pienamente rinascimentale nasce, proprio a Siena, da quel gruppo di artisti abbastanza circoscritto, che abbiamo già visto essere particolarmente attento ad accogliere le novità padane ed oltremontane del decennio precedente. Un insieme abbastanza omogeneo di maestri nativi di Siena o comunque fortemente legati alla tradizione figurativa della città, danno vita ad un complesso di pannelli, raffiguranti eroi ed eroine della tradizione classica e biblica, fortemente legate tra di loro da motivi cronologici, stilistici, tipologici ed iconografici: Il ciclo delle Donne e uomini virtuosi.72

72 Il ciclo eroico è anche denominato “ciclo Piccolomini” dalla committenza che, ormai è assodato, voleva con esso celebrare il matrimonio di uno dei componenti di questa nobile casata senese. E' composto da otto tavole che rappresentano le virtù private e matrimoniali, attraverso l'esempio di un eroe o di una eroina, della quale sono riportati anche episodi della vita che ne hanno consacrato la virtù. Le opere che oggi sono divise in numerosi musei europei ed americani sono: lo Scipione del Museo Nazionale del Bargello; la Claudia Quinta della National Gallery of Art di Washington; la Sulpizia della Walters Art Gallery di Baltimora; la Giuditta dell'Indiana University di Bloomington; l'Alessandro Magno del Barber Institute of Art di Birmingham; l'Artemisia del Museo Poldi Pezzoli di Milano; il Giuseppe ebreo della National Gallery of Art di Washington; il Tiberio Gracco dello Szépmuvészeti Muzeum di Budapest.

La novità, molto importante per il tempo, è rappresentata dal fatto che gli eroi e l'eroine dell'antichità greca e romana, ma anche del mondo biblico, non sono più celebrati per le loro imprese militari e civili, quanto piuttosto per le loro virtù spirituali e familiari.

La critica si è dibattuta, non senza difficoltà e dubbi, per identificare gli autori delle diverse tavole, le fonti letterarie e le singole virtù che i personaggi rappresentano, mentre non del tutto fugati restano i dubbi sulla committenza dell'opera e sulla famiglia patrizia che, con questo ciclo eroico, ha celebrato le nozze dei propri discendenti.

Da un lato si è accreditata l'ipotesi che l'opera fosse collegata al doppio matrimonio dei figli di Ambrogio Spannocchi: classica figura di mecenate rinascimentale, tesoriere del papato ai tempi di Enea Silvio Piccolomini, egli è forse il miglior rappresentante della nuova aristocrazia finanziaria e mercantile che, in seguito alle fortune accumulate nel periodo dell'esilio, poteva adesso garantirsi committenze artistiche in grado di celebrarne, al tempo stesso, l'ascesa politica e sociale.73

73 Vilmos Tatrai, Il Maestro della storia di Griselda e una famiglia senese di mecenati dimenticata, in “Acta Historiae Artium Academiae Scientiarum Hungaricae”, XXV, 1979, pagg. 27-66.

Secondo questo primo orientamento, l'opera è associata alla celebrazione del matrimonio del gennaio 1494 di Antonio e Giulio di Ambrogio Spannocchi, per il quale la famiglia aveva già commissionato l'imponente opera delle tre tavole al maestro anonimo delle Storie di Griselda74, il cui stile innovativo, nonché il

repertorio iconografico lo rendono certamente presente, con un ruolo determinante, anche nel ciclo eroico. Nelle tre tavole della National Gallery di Londra, in cui è rappresentata la vicenda di Griselda, sposa del marchese di Saluzzo, attraverso il momento delle Nozze, dell'Esilio e del Ricongiungimento, troviamo la celebrazione delle virtù matrimoniali, della pazienza e della fedeltà, ma anche di virtù personali come la pudicizia ed il dominio delle passioni. Questo evento fu festeggiato a Siena in maniera molto sfarzosa, facendo costruire un arco trionfale, che infatti compare nella tavola delle Nozze, sino a rappresentare, durante i festeggiamenti, un'altra novella del Decamerone di Boccaccio, elementi questi che legano chiaramente il matrimonio Spannocchi all'opera citata.

74 Il Maestro di Griselda, è stato un pittore attivo a Siena sul finire del quattrocento, che deve il suo nome ai tre pannelli conservati alla National Gallery di Londra, con le storie della sposa del Marchese di Saluzzo. Questo ha permesso di associare all'anonimo maestro alcune tavole del ciclo degli eroi e delle eroine dell'antichità, cui egli prese parte assieme ad altri artisti senesi del suo tempo. Ed è proprio questo artista ad avere nel ciclo il ruolo più significativo, visto che gli sono state certamente attribuite quatto delle otto tavole, ma anche una diretta partecipazione ad altre due. La cultura di questo affascinante pittore, la cui identità resta ancora misteriosa, è dichiaratamente di matrice centro-italiana; vi si legge esplicita l'influenza di Luca Signorelli, che negli anni in cui si lavorava al ciclo eroico senese, aveva probabilmente terminato la parte pittorica della pala d'altare nonché la volta e la lunetta della Cappella Bichi in Sant'Agostino, impresa condivisa con Francesco di Giorgio e la sua bottega. Biografia tratta da Luciano Bellosi, Francesco di Giorgio Martini e il Rinascimento a Siena 1450-1500, op. cit., pag. 524.

Per il "ciclo eroico" delle otto tavole, la tesi più accreditata resta quella della committenza Piccolomini, in occasione delle nozze di Silvio, pronipote di Papa Pio II, del 1493,75 con una discendente della famiglia Placidi, fatto questo che rende i

due cicli di opere sostanzialmente contemporanei.76 La celebrazione di questa

unione, attraverso l'iconografia antica degli eroi e delle virtù, costituisce un fatto di assoluta novità per Siena in grado però, di lì a poco, di divenire un esempio quasi normativo in tema di allestimento delle stanze delle residenze patrizie, a cui non si sarebbe sottratto lo stesso Pandolfo Petrucci, nel 1509, per le nozze del figlio Borghese, tra l'altro proprio con una discendente della famiglia Piccolomini.77

75 Il matrimonio fra Silvio di Bartolomeo Piccolomini e Battista di Neri d'Aldello Placidi risale al gennaio 1493 e rientra, a tutti gli effetti, nell'ambito delle alleanze politiche e matrimoniali che costituiscono uno dei fattori caratterizzanti della Siena fra Quattro e Cinquecento. In tale maniera le famiglie delle nuove aristocrazie finanziarie e mercantili univano i loro destini a quelle appartenenti alla più antica nobiltà cittadina, legittimando così la propria ascesa sociale e dimostrando, al tempo stesso, le proprie aspirazioni politiche e di governo.

76 Il personaggio è tratto dall'ultima novella del Decamerone (1348-1351) di Giovanni Boccaccio (Firenze 1313 – Certaldo 1375). Il tema è quello della generosità nelle vicende amorose e nelle relazioni matrimoniali. In questa storia il marchese di Saluzzo, Gualtieri, sposa l'umile Griselda, guardiana di pecore, la quale per la sua docilità conquista subito la simpatia dei cortigiani e dei sudditi. L'opera si propone di raccontare la storia attraverso tre tavole che rispettivamente raffigurano Le nozze, L'esilio, Il ricongiungimento (oggi si trovano a Londra, National Gallery). La prima parte della novella, riportata nella prima tavola, attraverso l'accavallarsi di diversi episodi, racconta dell'incontro, durante una battuta di caccia, fra il marchese Gualtieri e Griselda, egli annuncia che la vuole in sposa solo a patto che ella obbedisca incondizionatamente al suo volere. Ottenuto il consenso del padre della giovane, il marchese la umilia pubblicamente facendole togliere l'abito nuziale in pubblico. In seguito il matrimonio viene celebrato sotto l'arco trionfale che appare sullo sfondo. La seconda tavola, l'esilio, anche qui attraverso diversi episodi, narra delle prove cui il marchese sottopone Griselda, alla quale toglie la figlia ed il figlio in fasce, simulando di volerli uccidere, facendo credere, al tempo stesso alla giovane sventurata, la volontà di ripudiarla e di nuovo davanti ai sudditi la fa denudare. Infine nella terza tavola, in cui si celebra il ricongiungimento, il marchese fa credere alla giovane che si vuole risposare e le da l'ordine di preparare la dimora della nuova sposa. Griselda continua ad obbedire, ma quando la futura moglie fa il suo ingresso a Saluzzo, accompagnata dal fratello minore, si accorge che altri non sono che i suoi figli, ed allora il marchese le rivela che tutte le prove a cui l'ha sottoposta erano per mettere alla prova la sua obbedienza e che lei si è dimostrata perfetta come moglie. Cfr. Luke Syson, La storia della paziente Griselda, in Siena nel Rinascimento arte per la città, op. cit., pag. 230.

77 Il matrimonio di Borghese Petrucci con Vittoria Piccolomini, nipote di Pio III, avviene il 22 settembre 1509. Certamente la celebrazione dell'evento con un grande apparato decorativo nella residenza privata resta un fattore tipico delle corti rinascimentali, a Siena come nel resto della penisola, una prassi già consolidata presso gli Este a Ferrara ed i Gonzaga a Mantova.

A questo si è giunti grazie alla convergenza di diversi indizi presenti nelle tavole, come ad esempio il ricorrente motivo della mezzaluna crescente nelle mani dei putti, chiaro riferimento all'araldica del nobile casato, così come apparirà, da lì a poco, nei capolavori di Pinturicchio nella Libreria Piccolimini del Duomo di Siena.

Da un punto di vista delle fonti letterarie che hanno maggiormente ispirato il ciclo, possiamo affermare che, sia l'umanista che ha elaborato il programma iconografico, sia i singoli maestri che lo hanno realizzato, hanno tratto profonde informazioni e dettagli dai Factorum et dictorum memorabilium libri di Valerio Massimo,78 e dalle

Vite Parallele e dei Moralia di Plutarco.79 Per quanto riguarda l'opera del retore

romano, vi si trovano molti dei fattori che hanno permesso l'identificazione del personaggio centrale a figura intera, dall'atteggiamento statuario ed elegante. La conferma, da questo punto di vista, deriva dalle iscrizioni che si trovano sul piedistallo di alcune tavole, che avvalorano la storia dei personaggi e la declamazione delle loro virtù.

78 Valerio Massimo è stato uno storico e retore romano vissuto tra il I secolo A.C. Ed il 30 D.C. La sua opera più conosciuta furono proprio i Factorum et dictorum memorabilium libri, raccolta di aneddoti con finalità morali, in cui venivano elogiate le virtù dei grandi uomini del passato, romani e greci. Questa opera che certamente ha ispirato gli autori del ciclo non è stata la sola ad essere presa in considerazione. Infatti alcuni riferimenti sono riconducibili ad Ovidio ed alla sua opera Claudia Quinta, e Plutarco ed alle sue opere Moralia e Vite Parallele.

79 Marilena Caciorgna, Immagini di eroi ed eroine nell'arte del Rinascimento, in Biografia dipinta, Plutarco e l'arte del Rinascimento 1400-1550, a cura di Roberto Guerrini, La Spezia, 2001, Agorà Edizioni.

Le altre opere dello scrittore e filosofo greco, soprattutto le Vite, consentono una profonda lettura degli episodi narrativi che si trovano sullo sfondo dei ritratti, e confermano come l'opera di Plutarco fosse particolarmente apprezzata dai più illustri rappresentanti del casato senese. Ad avvalorare questa committenza, bisogna ricordare che, "la raccolta completa tradotta in latino, appare a Siena nel 1470, grazie alle cure di Giovanni Antonio Campano, già segretario di Pio II, che dedica la sua fatica editoriale al cardinale Francesco Piccolomini Todeschini, arcivescovo di Siena, il futuro Pio III e probabile committente dell'intero ciclo eroico".80

Certamente significativo è anche il contributo culturale che, opere più recenti, come i Trionfi del Petrarca, pubblicati al tempo in una nuova edizione, possono aver dato nella scelta dei personaggi e nella definizione degli episodi. Essi infatti rappresentano al meglio il Trionfo della Fama, come Scipione, Tiberio Gracco ed Alessandro Magno, il Trionfo dell'Amore, come Artemisia e Giuditta, ed infine il Trionfo della Pudicizia, come Sulpizia e Giuseppe d'Egitto.81

80 Marilena Caciorgna, Roberto Guerrini, La virtù figurata. Eroi ed eroine dell'antichità nell'arte senese tra Medioevo e Rinascimento, Siena, 2003, Fondazione Monte dei Paschi di Siena, pag. 18

81 Roberto Guerrini, Dal testo all'immagine. La pittura di storia nel Rinascimento, in Memoria dell'antico nell'arte italiana, a cura di S. Settis , II, I generi ed i temi ritrovati, Torino, 1985, pag. 61.

Iniziando dalla tavola che raffigura lo Scipione (TAV. 7), conservata al Museo Nazionale del Bargello, vi si trovano celebrate le virtù dell'abstinentia ed continentia, del controllo di sé e delle proprie passioni, confermate nell'episodio raffigurato sullo sfondo della tavola che, rimanda inequivocabilmente, alla storia della cartaginese Lucrezia, prima fatta prigioniera, fu riconsegnata ai propri genitori ed al promesso sposo, il principe Aluceio.82 Ascrivibili al Maestro di Griselda, gli

episodi narrano del condottiero seduto di fronte alla propria tenda, in Spagna dopo la conquista di Nuova Cartagine, con gli stessi abiti della figura in primo piano, la fanciulla è alle sue spalle ed il giovane principe, che porta una corona ed una veste gialla con calze nere, sta inginocchiato davanti al generale vincitore, nell'attegiamento di chi implora misericordia. Ancora il principe Aluceio, riconoscibile nell'altra scena, sembra andarsene insieme alla fanciulla, grazie alla "Continenza di Scipione",83 che resta nella letteratura e quindi anche nell'iconografia

classica, medievale e rinascimentale, l'esempio del vincitore che unisce, alle eccezionali doti militari e strategiche, le non meno importanti, virtù morali.

82 L'opera che raffigura Scipione l'Africano (TAV. 7) è del 1493 circa (Firenze, Museo Nazionale del Bargello). Nasce dalla collaborazione fra la bottega di Francesco di Giorgio Martini ed il Maestro delle Storie di Griselda. Sul suo significato ci è d'aiuto l'iscrizione riportata sul piedistallo: “VICTA MIHI CARTHAGO NOVA EST ULTURA PUELLAM CUI FIEREM VICTUS PRAEDA SUPERBA DEDIT SED QUI BELLO HOSTES, MEMET RATIONE SUBEGI UT VIDEAR MERITUS BINA TROPHAEA SIMUL.” “La nuova Cartagine, che sconfissi, stava per vendicarsi. Mi diede una fanciulla affinché io, sconfitto a mia volta, diventassi la sua superba preda. Ma io che sottomisi il nemico in guerra ho sottomesso me con la ragione, sicché può sembrare che abbia meritato a un tempo entrambi i trofei.” Nell'opera di Valerio Massimo Factorum et dictorum memorabilium libri,sopra indicata ed esattamente nel libro quarto, 1, 2, vi si narra un episodio dal titolo De moderatione, il cui insegnamento è legato alla massima “perché è assai più difficile vincere se stesso che i nemici”.

83 L'iconografia di Scipione come simbolo di abstinentia ed continentia, attraversa l'età antica, medievale e rinascimentale. Alla fine del XV secolo, ad esempio, dobbiamo a Donato Acciauoli la Vita di Scipione ed a Silio Italico i Punica. Cfr. Marilena Caciorgna, Immagini di eroi ed eroine nell'arte del Rinascimento, in Biografia dipinta, Plutarco e l'arte del Rinascimento 1400-1550, op.cit. Pag. 316.

Gli autori della tavola sono stati identificati, grazie anche al confronto con le opere contemporanee, con un "fiduciario" di Francesco di Giorgio Martini che in quegli anni stava affrescando la Cappella Bichi in Sant'Agostino a Siena, per quanto attiene il primo piano dell'eroe a figura intera, e con il Maestro di Griselda, a cui si deve il paesaggio sullo sfondo e gli episodi della vita del condottiero, accostabili per stile, definizione dei personaggi e movimento alle tavole delle Nozze e del Ricongiungimento della National Gallery di Londra.

E' possibile attribuire il completamento della tavola a questo anonimo artista anche grazie al confronto con gli altri dipinti del ciclo a lui certamente riconducibili e, nonostante che la sua personalità rimanga avvolta nel mistero riguardo le origini e la formazione, il ruolo che possiamo attribuirgli, in questa fase di profonda evoluzione del linguaggio artistico senese, è sicuramente di primo ordine. Si ritiene che l'artista abbia conosciuto, durante gli anni del "ciclo eroico" una rapida evoluzione pittorica, "acquistando sicurezza nel disegno delle figure, delle loro anatomie e delle ambientazioni architettoniche e naturali in cui erano inserite e raffinando sempre più il suo approccio narrativo".84

Proprio, ad esempio, la tavola raffigurante Alessandro Magno (TAV. 8)85, ha

permesso grazie all'identità dello sfondo ed alla diversità del personaggio in primo piano, di giungere alle corrette attribuzioni delle opere, anche se qui l'anonimo maestro sembra soffermarsi più a lungo sull'enfasi narrativa degli episodi. Ancora una volta l'iscrizione aiuta ad individuare la celebrazione della virtù del controllo delle passioni e della magnanimità di Alessandro che, sconfitto Dario ne risparmia la famiglia. L'effetto decorativo della spada e del costume del condottiero, così come l'aspetto sontuoso e regale della figura, sono rese al meglio da un uso diffuso delle decorazioni in oro, che trasmettono la sensazione che questa tavola, fra le varie del ciclo eroico, sia la più affine per stile e periodo a quelle della National Gallery, con le storie di Griselda.

Ma al tempo stesso il grande condottiero è rappresentato nella sua giovane età, in una posa che sembra rifiutare una enfasi tipicamente politica, e che bene si sposa con gli episodi della sua vita raffigurati sullo sfondo, il cui contenuto resta precipuamente morale e personale.

85 La tavola che raffigura Alessandro Magno (TAV. 8) oggi è a Birmingham, The Barber Institute of fine Arts, è del 1494 circa ed è opera dell'anonimo Maestro di Griselda. L'iscrizione cita testualmente “ALEXANDER QUI PROPRIIS TOTUM SUPERAVI VIRIBUS ORBEM EXCUSSI FLAMMAS CORDE CUPIDINEAS. NIL IUVAT EXTERNIS BELLI GAUDERE TRIUMPHIS SI MENS AEGRA IACET INTERIUSQUE FURIT”. “Alessandro, che con la mia forza ho conquistato il mondo intero, ho bandito dal mio cuore le fiamme di Cupido. A nulla giova godere dei trionfi esteriori della guerra, se la mente giace malata e infuria nell'intimo.” In Valerio Massimo Factorum et dictorum memorabilium libri, libro quarto, 7, ext. 2, si narra di come, dopo la battaglia di Isso la madre, la moglie e le due figlie del re persiano Dario furono catturate fra i prigionieri di guerra del re macedone. Alessandro trattò le donne con estremo riguardo, dando prova della sua clemenza, comparabile a quella di Scipione.

Da una parte le donne della famiglia di Dario dinanzi ad Alessandro, riprodotto in maniera identica rispetto alla figura intera, sia per l'acconciatura, la corona, l'armatura e la spada, che le rassicura sul riguardo del loro trattamento. Dall'altra un luogotenente di Alessandro, Leonnato, dinanzi alla tenda delle quattro donne persiane, le conforta sulle sorti di Dario, che loro credevano morto in battaglia e che invece è ancora in vita.86

Da un punto di vista iconografico, la scelta di inserire Alessandro Magno nel ciclo Piccolomini, è un'assoluta novità per Siena, dove "la committenza pubblica, nel rapporto esclusivo con Roma antica, privilegiava di fatto i soli personaggi domestici nazionali."87 Si costituisce, da questo momento in poi, come soggetto ricorrente,

soprattutto nelle decorazioni delle residenze private, infatti troviamo rappresentato il