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La fine del lungo dopoguerra ed il Trattato di Osimo (pag 58)

2. Trieste ed il confine orientale italiano (pag 29)

2.6. La fine del lungo dopoguerra ed il Trattato di Osimo (pag 58)

Negli anni Cinquanta e Sessanta a Trieste si respira un clima di riassestamento perennemente insidiato da inimicizie, paure e tensioni latenti.

Se da un lato infatti la città diventa capoluogo della neonata Regione Autonoma Friuli – Venezia Giulia ed il governo italiano si impegna a fornirle adeguati strumenti di sviluppo economico, dall'altro il confine orientale permane un'area di frizione internazionale. “Trieste rimane un centro di diverse reti di spionaggio, sovietiche, americane e jugoslave”98.

Nonostante diversi provvedimenti legislativi volti all'ammortizzazione sociale ed alla creazione di posti di lavoro, il declino delle attività portuali e della cantieristica è inevitabile. Un esempio a riguardo è rappresentato dal progetto cantieristico Italcantieri, mai realmente decollato.

Il ceto politico democristiano si preoccupa inoltre di “normalizzare” la vita politica e la società triestina, ormai lontane dalle dinamiche nazionali.

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Testo del Memorandum d’Intesa, firmato a Londra il 5 ottobre 1954.

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Trieste si viene quindi a trovare, quasi all'improvviso, in un contesto nazionale caratterizzato dalla tendenza democristiana al controllo delle spinte ideologiche contrastanti e dalla subordinazione ad un sistema cui fa capo la potenza americana. Si avvicinano inoltre gli anni della distensione nella guerra fredda: le relazioni internazionali in ambito europeo sono influenzate dalla Ostpolitik di Willy Brandt, che prevede un avvicinamento alla Jugoslavia, nell’ottica di una politica di normalizzazione dei rapporti con i paesi del blocco orientale.

Nel corso degli anni Sessanta e dei primi Settanta i rapporti tra Roma e Belgrado si mantengono su una linea di “cordiale regolarità”99: il clima di distensione porta i rappresentanti dei due paesi alla firma di diversi accordi ed allo stanziamento di finanziamenti di crediti italiani alla Jugoslavia. Sulla base di tale linea politica volta all’equilibrio euro-mediterraneo, si giunge al 10 novembre 1975, data della firma del Trattato di Osimo: nella cittadina marchigiana si sancisce il carattere definitivo del confine italo-jugoslavo.

L’intento di pacificazione dei rapporti tra la Repubblica Italiana e la Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia emerge con chiarezza dal testo del Trattato, perfetto esempio del nuovo spirito di collaborazione intraeuropea. Le due parti fanno appello ai concetti di uguaglianza fra stati, di rispetto delle sovranità ed integrità territoriali, di non ingerenza e di rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali. Si richiamano in tal senso ai principi enunciati nella Carta delle Nazioni Unite, nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, nella Convenzione sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale e nei Patti Universali dei Diritti dell'Uomo.

Sulla scia di un più ampio progetto di rafforzamento della pace e della sicurezza in Europa, si delineano nove articoli dai diversi contenuti.

In primo luogo viene definita, per mezzo di testi e carte geografiche allegate, la precisa posizione della linea di frontiera.

Nel terzo articolo si tratta della questione della cittadinanza: “La cittadinanza delle persone che alla data del 10 giugno 1940 erano cittadini italiani ed avevano la loro residenza permanente sul territorio di cui all'articolo 21 del Trattato di Pace con l'Italia del 10 febbraio 1947, come pure la cittadinanza dei

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loro discendenti, nati dopo il 10 giugno 1940, è regolata rispettivamente dalla Legge dell'una o dell'altra delle Parti, a seconda che la residenza delle suddette persone al momento dell'entrata in vigore del presente Trattato si trovi nel territorio dell'una o dell'altra delle Parti”100.

Viene programmata la stesura di un accordo relativo all’indennizzo dei beni, diritti ed interessi propri delle persone fisiche e giuridiche italiane ma situati nell’area della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia e fatti oggetto di nazionalizzazione o esproprio da parte delle autorità jugoslave.

Il quinto articolo regolamenta la materia delle assicurazioni sociali e delle pensioni di vecchiaia, mentre in quello successivo si dichiara l’intento di un ulteriore sforzo in favore dello sviluppo della cooperazione economica, rimandando in tal senso ad uno specifico “Accordo sullo sviluppo della cooperazione economica”.

Il trattato si chiude con la chiarificazione degli effetti del Memorandum di Londra del ’54, che cessa di avere effetto, sebbene le due parti dovranno mantenere in vigore le misure interne adottate in applicazione dello Statuto Speciale allegato al Memorandum (in appendice il testo del Trattato, cui si accompagna, come detto, l’Accordo sullo sviluppo della cooperazione economica, il cui obiettivo principale è quello di restituire al porto la sua vecchia funzione e rilevanza internazionale – appendice 4).

Trieste appartiene a tutti gli effetti all’Italia, mentre la zona B è territorio jugoslavo (in seguito diviso fra Slovenia e Croazia).

Anche Marina Cattaruzza, enfatizzando il carattere europeo del Trattato, contestualizza Osimo nella prospettiva di un’integrazione della Jugoslavia in ambito euro mediterraneo, in linea con gli accordi presi ad Helsinki nell’estate del 1975 durante la Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa. La storica fa inoltre notare come un rafforzamento della Jugoslavia sarebbe rientrato nei piani degli Stati Uniti, che vedono il paese come possibile leader degli stati non allineati101.

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Testo del Trattato di Osimo, firmato ad Osimo (Ancona) il 10 novembre 1975.

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Inevitabilmente, a Trieste una viva protesta coinvolge alcune frange sociali e politiche. I cittadini si sentono nuovamente privati del loro diritto decisionale, appannaggio delle potenze internazionali.

Il protrarsi di una più o meno velata aria di polemica sembra rappresentare un

continuum per la città adriatica, da sempre in balia di poteri, interessi e

necessità contrastanti.