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Ciò che si riscontra dalla letteratura è il binomio MBO-miglioramento, un binomio scontato se pensiamo che questo processo viene introdotto in un’azienda non certo per ridurre le performance ma per farla meglio funzionare. Esempi del ‘mantra’

del miglioramento si ritrovano sia nel manuale di Costa e Gia-necchini che negli scritti di Odiorne. I primi affermano che “la valutazione di qualunque fenomeno aziendale non è mai una mi-surazione fine a sé stessa ma è strettamente collegata al miglio-ramento dei risultati”19. Sono invece di George Odiorne le se-guenti parole: “Chi si pone validi obiettivi non si limita ad anno-tare cose ovvie, ma stabilisce miglioramenti significativi e obietti-vi innovatiobietti-vi. È quindi necessaria una mentalità nuova, un’ottica diversa nell’affrontare la realtà lavorativa, una continua tensione al miglioramento”20.

Interessante è citare anche fonti che criticano questo tipo di vi-sione e che ben argomentano il loro punto di vista. Charles Prin-gle e Justin Longenecker, in un saggio dal significativo titolo ‘The Ethics of MBO’21, sottolineano che la fissazione di obiettivi sempre più alti, di anno in anno, può portare eccessivo stress sui lavora-tori, fino a farli cadere in stati emotivi negativi quale il burnout.

Questo accade quando si esasperano eccessivamente obiettivi di natura quantitativa e di performance su individui che vogliono

“migliorare il mondo e arricchire le vite degli altri”. Lavoratori che hanno sviluppato valori alti potrebbero sentirsi utilizzati dall’organizzazione per raggiungere i propri obiettivi, a scapito

19 G. COSTA, M. GIANECCHINI, op. cit., 443.

20 G. ODIORNE, MBO: lo stile manageriale più efficace per la direzione d’impresa, Sperling & Kupfer, 1985, 140.

21 C. PRINGLE, J. LONGENECKER, The Ethics of MBO, in Academy of Man-agement Review, 1982, vol. 7.

dei nobili fini che essi si erano prefissati. Si pensi al caso degli ospedali o di enti no profit. Notiamo comunque che anche Prin-gle e Longenecker, nell’analizzare l’MBO, adottano un approccio contingente. Puntare al continuo ed irreversibile miglioramento se in alcune organizzazioni può funzionare -come suggerisce Odiorne- in altre può non essere efficace. Dipende dalle circo-stanze in cui l’MBO viene implementato, come si avrà modo di spiegare anche in seguito. Ciò che sicuramente è innegabile è la strumentalità dell’MBO, strumentalità finalizzata al raggiungi-mento di determinati risultati individuali e collettivi. Il sistema MBO è sia un processo premiante che incentivante. Per arrivare al raggiungimento dell’obiettivo il collaboratore è portato a mi-gliorare la propria performance e così, in modo più o meno diretto, anche quella dell’azienda. Dall’esito della prestazione possono scaturire fabbisogni formativi su cui investire per migliorare la performance. Inoltre, la strumentalità dell’MBO si evince dal fatto che, a seguito delle valutazioni emerse, si possono prendere deci-sioni fondamentali per l’azienda. Ad esempio, si possono com-prendere quali sono i lavoratori più performanti e/o con maggior potenziale e proporli per interventi retributivi meritocratici e svi-luppi di carriera in senso orizzontale -spostandoli da un’unità or-ganizzativa ad un’altra- e verticale -facendoli salire nella gerarchia aziendale. Ancora, se caratterizzato dal coinvolgimento del colla-boratore, l’MBO sarebbe strumentale a mobilitarne l’intelligenza e valorizzarne le competenze, costituendo “un fattore motivazio-nale e di empowerment”22. I dati sembrano purtroppo dimostrare che non tutte le aziende utilizzano i sistemi di performance manage-ment con finalità migliorative e strumanage-mentali. Secondo la ricerca di

22 E. NARDINI, MBO: tragedia semiseria in due puntate, in Direzione del personale, 2010, n. 3, prima parte, 2-3.

Job Pricing già citata23, i dipendenti lamentano la mancanza di piani di miglioramento dopo la valutazione e i ricercatori hanno constatato che spesso questi sistemi vengono utilizzati per con-trollare i comportamenti dei dipendenti piuttosto che per far svi-luppar loro maggiori competenze e professionalità, in chiave in-novativa.

Al di là dei risultati empirici, a pensare che legare una parte della retribuzione alla prestazione sia strumentale al miglioramento di quest’ultima non sono soltanto autori di Human Resources Mana-gement ma anche studiosi italiani di diritto del lavoro e delle rela-zioni industriali. Fra i primi a dare una definizione degli incentivi retributivi si ritrova infatti Giugni secondo il quale, esse possono essere intese come “ogni elemento della retribuzione direttamen-te finalizzato a un miglioramento quantitativo e qualitativo della prestazione di lavoro”24. E in effetti, il Protocollo del 1993 che porta il nome proprio del fu Ministro del Lavoro, nel tentativo di dare impulso alla contrattazione decentrata, aveva previsto che essa si desse come obiettivo un miglioramento delle performance aziendali, riferendosi a “incrementi di produttività, di qualità ed altri elementi di competitività di cui le imprese dispongano”25, che si sono tradotti nei premi di risultato regolamentati dalla con-trattazione di secondo livello. Questi premi, si differenziano ri-spetto all’MBO in quanto vengono erogati a tutto il personale al fine di premiare una performance collettiva, mentre l’importo ero-gato con l’MBO è ‘cucito’ sul singolo dipendente, essendo leero-gato

23 JOB PRICING, FONDAZIONE MARCO BIAGI, UNIMORE, op. cit.

24 G. GIUGNI, Organizzazione dell’impresa e evoluzione dei rapporti giuridici, in La retribuzione a contratto, RDL, 1968, I, 9 ss.

25 GOVERNO ITALIANO, CONFINDUSTRIA, CGIL, CISL, UIL, Protocollo 23 luglio 1993 tra governo e parti sociali - politica dei redditi e dell’occupazione, assetti con-trattuali, politiche del lavoro e sostegno al sistema produttivo, Roma, 23 luglio 1993, 3.

al raggiungimento dei risultati dato un portafoglio iniziale di obiettivi. Nonostante queste diversità tra le due fattispecie, in al-cuni casi si prevede che i premi di risultato siano redistribuiti al singolo dipendente attraverso l’utilizzo di parametri individuali che, se realmente in grado di misurare il contributo del singolo lavoratore al risultato collettivo, avvicinerebbero il premio di ri-sultato alla logica incentivante e premiante insita nell’MBO. Ciò che invece si riscontra nella realtà è che, al fine di calcolare il premio ad personam, nei contratti collettivi si prevede l’utilizzo di parametri quali il livello di inquadramento, la presenza e l’anzianità aziendale, ritenuti obsoleti da alcuni autori26 oltre che alimentatori di fenomeni di free riding27. Anche su questo aspetto le parti sociali potrebbero essere chiamate a collaborare, al fine di ridefinire congiuntamente i parametri su cui basare la suddivisio-ne dei premi erogati. A parere di chi scrive, infatti, se l’intento di flessibilizzare parte della retribuzione attraverso la contrattazione decentrata è funzionale ad incrementare la performance, è ineludibi-le una rivisitazione del sistema che assicuri un chiaro ineludibi-legame tra prestazione e ricompensa28. Solo così i premi di risultato possono configurarsi concretamente incentivanti e possono scongiurare comportamenti opportunistici di soggetti che, consapevoli che indipendentemente dal loro sforzo beneficeranno del premio, non tenteranno di migliorare la propria performance e così, più o meno direttamente, nemmeno quella dell’intera impresa.

26 P. PINI, Partecipazione, flessibilità delle retribuzioni ed innovazioni contrattuali do-po il 1993, in Tecnologia e società. Tecnologia, produttività, svilupdo-po, 2001, 169-198.

27 R. LEONI, L. TIRABOSCHI, G. VALIETTI, Contrattazione a livello di impresa:

partecipazione allo sviluppo delle competenze versus partecipazione ai risultati finanzia-ri, in Lavoro e Relazioni Industriali, 1999, n. 2, 115-152.

28 Si veda più avanti il modello di Porter & Lawler.

Giova in questo caso citare Benjamin Coriat29, non solo per la sua idea sul miglioramento ma anche per la conclusione a cui ar-riva relativamente alla collaborazione tra management e lavorato-ri. Egli fa partire la sua analisi dai cambiamenti delle dinamiche di mercato che si sono verificati tra gli anni Ottanta e Novanta: le necessità di far fronte alla maggiore competitività, alla differen-ziazione dei prodotti, alla velocità con cui muta la domanda dei consumatori, impongono alle aziende di puntare ad un “miglio-ramento continuo”30. Al fine di realizzare questo miglioramento, secondo l’autore è fondamentale “un alto livello di cooperazione formale e informale [..] non solo tra i lavoratori stessi ma anche tra i colletti blu e i colletti bianchi”31. La cooperazione di cui par-la Coriat dovrebbe tradursi in un intenso scambio di informazio-ni e feedback tra, appunto, i vertici e la base aziendale. La conclu-sione dello studioso è chiara: “Senza coinvolgimento e fiducia nelle reti umane l’impresa è in un reale pericolo di non essere in grado di far fronte alla nuova richiesta di competitività”. Tre so-no i modelli in grado di stimolare il coinvolgimento e la fiducia delineati da Coriat: quello basato sul controllo, quello che si basa sugli incentivi impliciti e quello della contrattazione esplicita.

Nonostante l’autore ritenga che tutti e tre presentino profili di ef-ficienza e che la scelta del modello migliore dipenda anche dal contesto culturale in cui l’impresa è inserita, dalla sua analisi risul-ta che il sistema basato sulla contratrisul-tazione sia quello che presen-ta meno punti di debolezza.

Da notare che la visione di Coriat conferma la ratio del Protocol-lo del 1993 che si proponeva di avvicinare le parti sociali attra-verso comportamenti cooperativi e responsabili da tenersi

29 B. CORIAT, Incentives, bargaining and trust: alternative scenarios for the future of work, in International Contribution to Labour Studies, 1995, vol. 5, 135-151.

30 Ivi, 139.

31 Ivi, 139.

prattutto a livello di contrattazione decentrata al fine di definire obiettivi congiunti da raggiungere attraverso lo sforzo di tutte le parti in causa, verso cui verrebbe poi distribuito il maggior valore generato32. Inoltre, anche il Protocollo partiva dagli stessi pre-supposti di Coriat, ossia dalla presa di coscienza di un contesto economico profondamente mutato, a causa del quale “la struttu-ra industriale italiana necessita di maggiore adattabilità ai processi di globalizzazione”33 per rimanere competitiva a livello interna-zionale.

1.4. L’MBO come mix tra valutazione e incentivazione