• Non ci sono risultati.

Il «vero» tra finzione e realtà: l’uso delle fonti antiche e moderne nelle opere di Traiano Boccalin

Le influenze di Luciano da Samosata nella composizione dei Ragguagli di Parnaso.

Per impreziosire le sue opere, Boccalini fece ricorso ad una trama di fonti di origine classica ma anche umanistica e rinascimentale. Tra le fonti privilegiate per la redazione dei Ragguagli di Parnaso si rifece particolarmente al pensiero dello scrittore e retore greco autore di diversi scritti satirici: Luciano da Samosata.

Naturalmente, Boccalini riprendeva una tradizione lunga che si era già confrontata con Luciano. Recuperato dalla scuola di Bisanzio a partire dal XII secolo, cominciò ad essere tradotto dal greco al latino dai discepoli di Crisolora, insegnante di greco alla scuola delle Arti di Firenze a partire dal 1397, tra XIV e XV secolo1. Fu poi Guarino, maestro di Leon

Battista Alberti a curare l’edizione di altri tre trattati del samosatense, la Clumnia, la Musca e il Parasitus probabilmente nella prima metà del XV secolo. Lo scrupoloso filologo, desideroso di scrivere in un latino elegante, oscurò il valore umoristico di quelle opere, negando alla scrittura di Luciano una delle sue più peculiari caratteristiche ossia la scorrevolezza discorsiva2. Altri umanisti si dedicarono alla traduzione di Luciano come, ad

esempio, l’Aurispa e ancora Rinuccio Aretino, Cristoforo Persona, Lapo da Castiglione il Giovane, quest’ultimo strettamente legato, nella scelta che fece fra le opere di Luciano, ad

un’interpretazione «retorica» del samosatense, Niccolò Leoniceo ed altri3. L’insieme di

queste traduzioni permise il fiorire di un fenomeno, quello del lucianesimo, ma nell’insieme fecero «dello scrittore antico, […], un fenomeno di propaganda» che ne impediva di cogliere la vera personalità e la portata critica del suo pensiero4. I migliori successi

nell’assimilazione di Luciano e nella sua rivisitazione furono dettati dall’Alberti con le Intercoenales, che trascendevano la sistematicità di un trattato vero e proprio, e il Momus, come anche dal Pontano con il suo Charon e dal Collenuccio5. Una differenza determinante

emerge tra il samosatense e i suoi imitatori umanisti: il primo era animato da un forte scetticismo che si traduceva in una scrittura umoristica e satirica non interessata ad agire per modificare lo stato di cose esistenti, ma che voleva essere espressione di una libertas

1 E. Mattioli, Luciano e l’umanesimo, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, 1980, pp. 39-44. 2 Ivi, pp. 44-50.

3 Ivi, pp. 59-70.

4 Ivi, parte III, pp. 71-198. 5 Ivi, p. 76.

philosophandi6; negli umanisti, invece, soprattutto nell’Alberti, il principio da cui prendeva le

mosse la scrittura era la necessità di operare sul mondo per risanarne la corruzione morale. Nel De ierarchia questi condannò l’estraneazione contemplativa del saggio dalla società sostenendo, al contrario, la necessità di contribuire alla realizzazione del bene comune. L’Alberti intese la virtù come operosità terrena, antitetica all’ozio, che nasce, si alimenta e produce i suoi effetti nel consorzio civile aiutando l’uomo a raggiungere la felicità7. Dalla

libera scrittura del samosatense l’umanista trovava ispirazione per operare, nel dialogo Religio, una critica alla religione tradizionale che «portata alla sue estreme conseguenze doveva condurre allo spirito preriformistico di Erasmo», lo stesso che animava l’ Eremita del Galateo pubblicato nel 1496. Quest’ultima opera è ascrivibile al lucianesimo italiano perché presenta, in parte, il ricorso nella narrazione ad una situazione tipica di questo stile

letterario che è quella del dialogo dei morti8. Su di essi Bompaire, rifacendosi ad una

considerazione d’insieme del «petit dialogue» e ai suoi rapporti con il «mime», registra che la loro ideazione «s’expliquait dans la plupart de cas par transposition ou extrait de la tragédie, du drame satyrique, de la Comédie nouvelle, et aussi de l’épopée homerique et de l’idylle hellénistique»9. Ma erano da catalogarsi specialmente all’interno dei dialoghi filosofici,

quindi non recitati, e perciò distinti in maniera ancora più evidente dal mimo stesso e normalmente recitato. Escludendo l’individuazione di Luciano come mimografo e autore di pantomime Bompaire conclude: «nous ne disons pas qu’il ne lui [au mime] doit rien, car il est toujours délicat de délimiter des influences de genre, surtout dans la perspective syncrétique qui s’impose peu à peu à l’antiquité. Au reste si le dialogue lucianesque, dans ses essais de transposition des divers genres, n’aboutit pas réellement à la forme du mime,

c’est parfois le mime lui-même qu’il transpose»10. Luciano fu dunque artefice di una

creazione poiché rifacendosi a differenti generi letterari (lo scenico, l’epico, l’idilliaco) e

6 J. Bompaire, Lucien écrivain. Imitation et création, Les Belles Lettres, Paris, 2000, pp. 491-499: p. 496: «La satire

religieuse de Lucien est d’abord une attaque contre les bouffonneries de l’Olympe. Ici le problème d’actualité se résout facilement, trop facilement même: «Lucien se livre à un petit jeu de massacre bien inutile et sans intérêt d’actualité» (p. 491-492). […] Lucien est muet sur la croyance capitale, d’origine pythagoricienne, qui place le séjour des âmes dans l’espace sublunaire. D’une façon générale on a prêté une grande attention aux silences de notre auteur: partiel sur la théorie de la Providence ou sur le dieux à la mode et étrangères, à peu près total sur la démonologie, l’astrologie, sur le syncrétisme, sur le culte impérial (des raison de prudence pouvaient agir dans ce dernier cas) (p. 493). […] Bref, à quelques exceptions près, les développements religieux sont une illustration privilégiée de l’inactualité de Lucien. […] Si sa critique ou sa fantaisie prennent leur point de départ dans la réalité, il nous est impossible de le vérifier» (p. 495).

7 E. Garin, L’umanesimo italiano, cit., pp. 74-80.

8 E. Mattioli, Luciano e l’Umanesimo, cit., p. 77 e p. 142: « Non tutta l’opera, però, rispecchia questa situazione;

giustamente Francesco Tateo ha osservato che nell’Eremita « si combina il ‘contrasto’ medievale ( Cacodaemon e Calodaemon, il diavolo e l’angelo, si contendono l’anima di un eremita) e il vero e proprio dialogo, in cui vediamo avvicendarsi i personaggi del Vecchio e Nuovo Testamento (venuti a giudicare se l’eremita sia degno di entrare in cielo), ridimensionati e costretti dall’eremita stesso a confessare la loro colpevole natura umana».

9J. Bompaire, Lucien ècrivain, cit., p. 579. 10 Ivi, pp. 583-584.

ricomponendo in un nuovo sincretismo strutturale lo spirito e gli elementi della tradizione, creò una nuova forma letteraria strumentale alla sua libertas philosophandi11.

Luciano conosceva gli scrittori satirici latini, soprattutto Giovenale, ma anche Marziale e Seneca come è verificabile attraverso alcune analogie tra questi e lo scrittore attico12. Si

dedicò alla satira religiosa riferendosi anche a Roma e al mondo latino. Bompaire, nel suo erudito lavoro su Luciano, riferiva che «C’est dans deux ouvrages, le Nigrinos et le traité Sur les salariés des grands, que l’on trouve le plus de reinsegnements: ils relèvent de la polémique pure. D’autre part, on s’accorde à reconnaître une couleur romaine dans un passage de Nécyomancie (sur la salutatio matinale des clients) et, ce qui est plus douteux, dans le Timon (§ 21-23) ou les Dialogues des morts traitant le thème de l’héritage. […] Bref, au second siècle le problème des rapports de l’écrivain avec Rome se pose en termes fixés depuis longtemps. Les prises de position sont aussi livresques qu’«engagées». Et, le quel que soit le degré d’agressivité contre Rome prêté à l’oeuvre de Lucien, on n’y verra pas a priori une marque d’actualité»13. Come osservato da Giovanni Piras, nella sua rilettura di uno degli scritti più

intensi ed affascinanti del samosatense, Come si deve scrivere la storia, nonostante Luciano non riproducesse con le lettere un’immagine esattamente corrispondente alla realtà «difficilmente la sua polemica avrebbe potuto essere totalmente priva di un fondamento reale»14.

Come accennato in principio, durante il XV secolo gli scritti dello scrittore attico furono tradotti principalmente dal Greco al latino e la sua conoscenza rimase confinata nell’alta cultura italiana. In recenti studi Letizia Panizza ha registrato, in realtà, un’abbondante fortuna delle traduzioni volgari di Luciano nel cinquecento italiano a partire dal prima tentativo compiuto da Niccolò Leoniceno. Cortigiano ferrarese al servizio di Ercole d’Este aveva già tradotto per conto del suo mecenate i testi di Galeno. A pubblicare l’ editio princeps di Leoniceno del 1525 fu Niccolò Zoppino con un breve di approvazione di Leone X, datato 1521, in cui il Papa auspicava la traduzione in volgare di diversi autori. Inoltre nell’avviso al lettore l’editore specificava l’utilità della pubblicazione affermando che Luciano «da huomini valorosi, da gioventù leggiadri, da donne gentili, da vecchi annosi, &

11 Ivi, p. 584: «Sous ses deux formes les plus caractéristiques, la forme dite ménippée et la miniature, le

dialogue lucianesque est vraiment une création. Beaucoup plus libre qu’on ne l’a dit à l’égard de la satire ménippée, et ne pouvent nullement se confondre avec le mime, il est une mise au point personelle de donne préexistantes». Giovanni Piras riconosce in Luciano un innovatore che creò lo stile letterario del dialogo comico, «frutto d’innesto di modi e motivi comici nella struttura e negli stilemi del dialogo filosofico. Luciano spiegò e difese la invenzione letteraria in diversi scritti, dai quali risulta una particolare attenzione per le reazioni del pubblico», come ad esempio nel A chi gli disse: «Tu sei il Prometeo della parola», Zeusi, la doppia accusa, Dionisio :cfr. Luciano di Samosata, Come si deve scrivere la storia, a cura di G. Piras con Introduzione di L. Canfora, Napoli, Liguori, 2005 (I ed 2001), pp. 19-21: p. 20.

12 Ivi., pp. 502-509.

13 J. Bompaire, Lucien ècrivain, cit., pp. 500-502.

parimenti da teneri fanciulli può essere letto e studiato»15. La Panizza registrando le

numerose edizioni dei dialoghi del teorizzatore del serio ludere afferma, quindi, : «for the volgare, there is little to match, although the translations and version and vast repertoire of works of moral, political and religious satire, explicitly or tacitly indebted to Luciano, constitute an exceptionally rich terra incognita well into the seventeenth century». Prosegue riconoscendo il suo ruolo di redivivus all’interno del periodo storico contrassegnato dalla Riforma e dalla Controriforma, ma soprattutto come «the leader of an entire school of ‘Lucianists’ ranging from the polemicist Pietro Aretino to the ironic political satirist, Traiano Boccalini, and the libertine beyond redemption condemned to death in Avignon by a Papal court for lèse-majesté and apostasy, Ferrante Pallavicino»16.

Traiano Boccalini, come già accennato, ricorse nell’elaborazione dei suoi Ragguagli di Parnaso alla tradizione del viaggio oltremondo o della visione-trionfo che si sviluppò in Italia tra XIV e XV secolo e vide tra i suoi illustri ed eccezionali rappresentanti il Dante con la Commedia, il Petrarca con il Trionfo e il Boccaccio con l’Amorosa visione17. Essi non si

limitarono ad una canonica imitazione del mondo antico, ma tentarono di dialogare con un ideale passato ordinando i suoi frutti in modo da renderli funzionali ad una loro applicazione al tempo moderno. Si distaccarono da un’idea dell’antico come ‘Età dell’oro’, o inteso come il momento-modello della civiltà e cultura europea, che avendo espresso i contenuti più alti del sapere poteva solo essere fedelmente imitata ma non migliorata. Luigi Firpo descrive questa letteratura precedente a Boccalini come «statica e frigida»: «la crisalide del Ragguaglio di Parnaso è l’arido elenco encomiastico dei panegeristi, l’enumerazione stucchevole degli autori dei «trionfi» »18. La letteratura oltremondo risale ai poemi epici

classici, fu recuperata da quella cortigiana e cavalleresca, e si rinnovò di spirito nuovo con l’intensificarsi dell’altra sul viaggio d’oltretomba in cui i viventi godevano dell’opportunità,

15 L. Panizza, Vernacular Lucian in Renaissance Italy: Translations and Transformations, in Lucian of Samosata Vivus et

Redivivus a cura di C. Ligota e L. Panizza, The Warburg Institut-Nino Aragno, London-Turin, 2007, pp. 71-114: pp. 78-104: p. 84.

16Ibidem: p.72.

17 M. Lavagna, Voyager jusq’au diable. La vision de Tondale et la transformation du voyage en enfer au moyan âge, in

Voyager avec le diable. Voyages réels, voyages imaginaires et discours démonologiques (XV-XVII siècle), direction de G. Holtz & T. Maus de Rolley, Presse Universitarire Paris Sorbonne, Paris, 2008: il quale parla di un’influenza della tradizione visionaria medievale e soprattutto della Vision de Tondal (1149) nella Commedia dantesca: p. 43: «Le portrait de Lucifer offert par la Vision de Tondal a eu un impact fondamental sur l’imaginaire eschatologique chrétien, un impact qui intéresse tant le domaine de l’iconographie que celui de la littérature et qui peut être apprécié, avant tout, à partir de son influence sur la Divine Comédie de Dante: le deux sont immobilisé au fond de l’enfer (par de chaînes dans la Vision, par de la glace dans la Divine Comédie); le deux sont immenses; le deux ont un corps humain monstrueusement déformé; le deux sont noirs; le deux provoquent une tempête infernale ( avec le souffle, pour le Lucifer de la Vision de Tondale, avec les ailes, pour celui de Dante); les deux tourmentent les pécheurs tant avec leur bouche qu’avec leur mains».

18 L. Firpo, Allegoria e satira in Parnaso, cit., pp. 674-676: «specie nel Trionfo d’Amore e nel Trionfo della Fama folta

è la rassegna dei personaggi antichi, rievocati per reminiscenze classiche e specialmente romane, ma non mancano figure più recenti di poeti e di condottieri; il magistero dell’arte, lo sfoggio erudito, il gusto per il simbolo e l’allegoria, l’artifizio didascalico insieme concorsero a fare dello scritto petrarchesco un modello largamente ammirato ed imitato» (p.675).

attraverso l’ausilio della fantasia, di dialogare con personaggi defunti. Solo dopo il brillante quanto mai riuscito tentativo del lauretano di aggiungervi l’animo ed un afflato poetico, secondo Firpo, l’invenzione parnassica raggiungerà la sua espressione più matura e la sua

forma definitiva, divenendo oggetto di attenta imitazione19. Se le origini del viaggio

oltretomba sono, a detta di Firpo, da ricondurre a Platone e al suo mito di Er di Panfilia, questo stesso tema o instrumento letterario fu adottato anche da un altro scrittore satirico, Aristofane, recuperato dall’Aurispa nelle Rane attraverso il rinvenimento di un Codice a Costantinopoli nel 1424 e pubblicato per la prima volta in italiano a Venezia solo nel 1568. L’Aurispa appesantì, però, l’opera di sottili allusioni che ne resero più complessa l’interpretazione20. Tra le opere di Luciano, Firpo riconosce un’influenza determinante nella

creazione del Parnaso soprattutto nel Charon, piuttosto che nei Dialoghi lucianeschi pubblicati dal Pontano, perché -spiega- «riprende il motivo del viaggio nell’oltretomba pagano spesso rinnovato nella posteriore letteratura satirica, offre conversazioni argute svolte in riva all’Acheronte o sulla barca di Caronte» tra insigni personaggi occupati a discutere di vizi umani e a schernire i più pedanti colleghi, «ma con varietà di movenze e di spunti, ora contro la Chiesa, ora contri i Francesi, o gli Ebrei, o i signorotti, o i leghisti»21.

Nel suo regno immaginario Boccalini inscenò il dialogo che gli autori moderni aprirono con quelli antichi a partire dall’umanesimo. Lo fece riportando, al pari di un moderno giornalista, le opinioni degli intellettuali e dei cortigiani della Repubblica letteraria traendole dai loro scritti o dalla fama che li circondava, ma arricchendole di sottigliezze argomentative e di ingegnose allusioni. Boccalini si ispirò nella costruzione del suo stile alla prosa che adottavano i menanti per scrivere i loro avvisi utilizzati, inizialmente, dagli ambasciatori per comporre i dispacci da inviare alle rispettive corti. Gli avvisi erano uno strumento che permetteva al lettore di contestualizzare le negoziazioni diplomatiche e di arrivare a una migliore cognizione dei negozi politici. Si trattava, quindi, di un mezzo di comunicazione degli affari pubblici che ne XVII secolo uscì definitivamente dallo spazio riservato delle corti e della diplomazia per diffondersi nella società come espediente per animare la «prima opinione pubblica». In ogni ragguaglio di Boccalini è sempre presente l’indicazione del ‘quando’ e del ‘dove’ ed egli è ben cosciente dell’importanza del suo ruolo, quello di

19Ibidem: p. 676. 20Ibidem: p. 680-681. 21 Ibidem: p. 681.

«portavoce», all’interno della repubblica europea delle Lettere, delle decisioni del giudizio apolinneo22.

Apollo nel Seicento abbandonato dai poeti fu adottato dai prosatori a cui Boccalini suggerì come il Parnaso potesse trasformarsi nel nuovo palco dei dibattiti e delle schermaglie politiche. A lui va, come sostiene Firpo, il merito di aver non solo inaugurato lo stile del ragguaglio in prosa, ma anche, il passaggio da un contenuto strettamente letterario ad un altro più propriamente politico23.

Prima di passare all’analisi di questi differenti contenuti è necessario fare un passo indietro e ritornare sulla traduzione e il recupero di Luciano soprattutto nel Cinquecento ed in particolare in Erasmo. In questo modo si può far luce sul ruolo del samosatense nel dibattito politico della Controriforma. Evitando letture forzate, alcune analogie possono riscontrarsi tra i due, Erasmo e Boccalini, per quanto riguarda l’adozione di uno stile dissimulatorio: Erasmo tiene insieme, come Boccalini nei suoi Ragguagli, attraverso lo strumento del paradosso il positivo e il negativo, rimettendosi all’ingegno del lettore per

procedere all’individuazione del significato velato24. Come già accennato in precedenza

Erasmo aveva compiuto un recupero filologico-letterario, quello appunto di Luciano e, come sottolineato dalla Panizza, che affianca al «Batavo» anche Tommaso Moro e la sua Utopia, riecheggerà e influenzerà il suo Elogio della follia e i successivi Colloqui25. Proprio

l’Elogio presenta una struttura paradossica e si mostra come un tentativo di libera espressione stilistica non più vincolata alle regole compositive della prosa ciceroniana26. La

22 M. Infelise, Gli Avvisi di Roma. Informazione e politica nel secolo XVII, in La Corte di Roma tra Cinque e Seicento.

“Teatro” della politica europea, a cura di G. Signorotto e M.A Visceglia, Roma, Bulzoni, 1998, pp. 189-205: p. 189. Cfr.M. Fumaroli, Le Api e i ragni. La disputa degli Antichi e dei Moderni, Milano, Adelphi, 2005, pp. 33-58: p. 48: il quale si limita a riconoscere in Boccalini «Un’estetica della discordanza e del capriccio -una forma superiore di giornalismo, si potrebbe persino dire- [che] presiede alla composizione del testo, molto libera. Mercurio, messaggero, interprete, diplomatico di Apollo, è sempre in missione per suo conto. Questo ruolo da lui recitato nei Ragguagli suggerirà di dare il suo nome ai primi «periodici» della nascente stampa letteraria: «Mercure français», «Mercure galant» ».

23 L. Firpo, Allegoria e satira in Parnaso, cit., p. 698-699.

24 Scrive Erasmo: «Anzitutto è noto come i Sileni di Alcibiade, tutte le cose umane hanno due facce,

completamente diverse l’una dall’altra, talché ciò che a prima vista è morte, a ben riguardare più addentro, si presenta come vita, e all’opposto la vita si rivela morte, il bello brutto, l’opulenza non è che miseria, la mala fama diventa gloria, la cultura si scopre ignoranza, la robustezza debolezza, la nobiltà ignobiltà, la gioia tristezza, le buone condizioni celano la sventura, l’amicizia l’inimicizia, un rimedio salutare vi reca danno; in una parola, se apri la scatola vi troverai di colpo tutto l’opposto dell’esterno» in Elogio della Pazzia, a cura di T. Fiore, introduzione di D. Cantimori, Torino 1964, p. 45; cfr. S. Seidel Menchi, Alcuni atteggiamenti della cultura italiana di fronte a Erasmo (1520-1536), in Eresia e Riforma nell’Italia del Cinquecento. Miscellanea I, Santoni, Firenze, 1974, p. 82.

25 L. Panizza, Vernacular Lucian, cit., p.74

26 S. Seidel Menchi, Alcuni atteggiamenti della cultura italiana di fronte a Erasmo, cit., pp. 72-128: p. 72. Sul rapporto

tra la normativizzante oratoria ciceroniana e il problema dello stile come del linguaggio narrativo nello scrivere storico in Luciano durante la Controriforma cfr. G. Spini, Barocco e Puritani, Vallecchi, Firenze, 1991, pp. 38-40; ma ora cfr. C. Ginzburg, Il vecchio e il nuovo visti da Utopia, in Id., Nessuna isola è un’isola, Milano, Feltrinelli, 2000, pp. 17-44.

lettura dell’impius Luciano avrebbe causato ad Erasmo la condanna di Lutero, nel De servo arbitriodel 1524, che lo vedrà «lubricus et flexiloquus» ma soprattutto:

Blasphemus est in Deum, nihil omnino credit, sed Epicurum et Lucianicum atheon celat in pectore, dicens in corde suo: Non est Deus, aut si est non curat res mortalium27.

Ed ancora, oltre che ad Epicuro e Luciano, l’accusa si aggrava quando Lutero tacciava Erasmo di scetticismo affermando:

Aliud nihil facis, quam quod significas te in corde Lucianum aut alium quondam de grege Epicuri porcum alere, qui, cum ipse, nihil credat esse Deum, rideat occulte omnes qui credunt et confitentur. Sine non esse assertore sit assertionibus studere et delectari, tu sceptis tuis et Academicis fave. Spiritus sanctus non est Scepticus28.

Documenti correlati