Sommario: 1. L’efficacia estintiva dell’azione penale nell’ordinamento interno come primo requisito della decisione definitiva; - 2. L’esame del merito dell’accusa: la giurisprudenza di Lussemburgo sul contenuto della decisione irrevocabile; - 3. (segue): dubbio probatorio e prescrizione del reato: un’occasione mancata per valorizzare il carattere sostanziale della decisione preclusiva; - 4. La compatibilità delle procedure transattive con il divieto di bis in idem europeo; - 5. Alcuni chiarimenti sul presupposto della condizione dell’esecuzione; - 6. L’applicazione della giurisprudenza europea ai provvedimenti conclusivi del procedimento previsti dall’ordinamento interno.
1. L’efficacia estintiva dell’azione penale nell’ordinamento interno come primo requisito della decisione definitiva.
Il secondo dei presupposti che condizionano l’insorgenza dell’effetto ne bis in idem attiene alla tipologia dei provvedimenti suscettibili di precludere nuovi giudizi sullo stesso fatto. Come emerso in più punti di questo lavoro, il divieto di doppio processo consegue alla formazione della res judicata: è il crisma dell’irrevocabilità a dotare la prima pronuncia di quella vis ostativa ai successivi accertamenti relativi alla medesima vicenda criminosa. Sarà, dunque, necessario attendere la conclusione dell’accertamento processuale in corso per poter garantire alla persona destinataria dell’accusa che l’addebito contestatole non verrà fatto oggetto di nuovi apprezzamenti da parte dello stesso o di altro giudice.
Il legame indissolubile tra principio del ne bis in idem e autorità di cosa giudicata rappresenta, nella materia in discussione, l’aspetto di maggior divergenza tra i sistemi di common law e quelli di civil law: nei Paesi ispirati alla tradizione anglosassone, invero, il divieto di double jeopardy consegue già alla pronuncia di primo grado ed è, perciò, dotato di un’efficacia temporale più ampia1.
1 Cfr. sul tema M.CHIAVARIO, Processo e garanzie della persona, vol. II, Le garanzie fondamentali, Giuffrè, Milano,
1984, p. 249; ID,La parte dei privati: alla radice (e al di là) di un sistema di garanzie, in AA.VV., Procedure penali
d’Europa, coordinato M. Delmas Marty, 2° edizione italiana a cura di M. Chiavario, Cedam, Padova, 2001, p.
537 s.; G.FLETZER, La garanzia del ne bis in idem e il divieto della double jeopardy, in Ind. pen., 1970, p. 123 ss.; N.
La principale conseguenza che deriva dalla necessità di attendere il passaggio in giudicato della decisione è, come visto, l’incapacità della preclusione de qua di fornire un rimedio ai casi di litispendenza2; circostanza, quest’ultima, che ha indotto, da un lato, la Corte di
cassazione italiana a fare applicazione analogica dell’art. 649 c.p.p., onde colmare simile lacuna nell’ordinamento interno3; dall’altro lato, parte della dottrina a suggerire
un’interpretazione ampia del ne bis in idem sul piano transnazionale, volta ad anticiparne l’operatività alle fasi precedenti la conclusione del giudizio4.
Uniformandosi all’esperienza continentale, anche l’art. 54 CAAS subordina il divieto di doppio processo all’emissione di una «sentenza definitiva» e, dunque, ad un provvedimento avverso il quale non sono più esperibili gli ordinari mezzi di impugnazione. Al pari di quanto si è potuto constatare in relazione al concetto di idem factum, il dato da cui muovere nell’approfondire questo ulteriore requisito del divieto di doppio processo è la scarsità di indicazioni fornite dalla Convenzione di Schengen.
La lettura dell’art. 54 CAAS, nelle differenti versioni linguistiche, consente, in particolare, di formulare due osservazioni. Anzitutto, il provvedimento divenuto irrevocabile non deve necessariamente presentare la veste di una sentenza. Invero, mentre la traduzione italiana ricorre all’utilizzo di tale sostantivo, altre lingue ufficiali operano un più generico riferimento alla condizione di “persona giudicata in modo definitivo”5; sicché, pare
corretto non vincolare il requisito in discussione ad aspetti formali, quali quelli terminologici6, e ritenerlo soddisfatto – come fa la Corte di Giustizia – anche qualora a
2 Si vedano le considerazioni svolte supra, capitolo I, paragrafo n. 2. Sul punto cfr. anche B.VAN BOCKEL, op.
cit., p. 154: «In general, the ne bis in idem principle (in the “proper” sense: that of the prohibition of double
prosecution) therefore only prohibits consecutive prosecutions, and not, as such, parallel proceedings (i.e. proceedings conducted at the same time)».
3 Cfr. supra, capitolo II, paragrafo n. 1.
4 In tal senso, si vedano, ad esempio, le osservazioni di N.GALANTINI, Il principio del «ne bis in idem», cit., p.
54, che suggerisce di legare l’efficacia preclusiva del ne bis in idem alle decisioni conclusive del giudizio di primo grado e S.FARINELLI, op. cit., p. 891, la quale, in relazione all’art. 1 della Convenzione di Bruxelles del
1987, il cui testo è stato riproposto nella formulazione dell’art. 54 CAAS, considera «preferibile un’interpretazione della norma che consenta di anticipare l’operatività della preclusione rispetto a quanto avverrebbe utilizzando il concetto di sentenza definitiva proprio dei sistemi di civil law: un’interpretazione tale da ritenere che l’art. 1 con sentenza definitiva faccia riferimento al provvedimento di merito che conclude il primo grado di giudizio».
5 Così nella versione francese («définitivement jugée»), inglese («finally disposed») e tedesca («rechtskräftig
abgeurteilt»). Richiama, invece, la forma di sentenza la traduzione spagnola dell’art. 54 CAAS («juzgada en sentencia firme»).
6 Un’analoga questione si è posta, in passato, anche nell’ordinamento interno, in relazione al decreto penale di
condanna. Benché caratterizzato da un differente nomen juris rispetto ai provvedimenti che normalmente concludono il processo, la dottrina, valorizzandone gli aspetti sostanziali, ritiene di poterlo equiparare ad una sentenza. Cfr., quanto al codice abrogato, G.BELLAVISTA, Il processo penale monitorio, Giuffrè, Milano, 1952, p. 138 ss., il quale osserva che «Come la sentenza, il decreto penale consiste in una decisione del giudice che applica il diritto nel caso concreto…Come la sentenza, anche il decreto penale deve essere motivato…Come la
chiudere definitivamente il procedimento siano un’ordinanza, un decreto o un qualsiasi altro atto dell’autorità giudiziaria dotato di simile efficacia7.
In secondo luogo, il divieto di doppio processo tutela il soggetto già giudicato indipendentemente dall’esito, liberatorio o di condanna, a cui è giunto il primo accertamento. A consentire una simile affermazione, oltre al canone della ragionevolezza, è la lettera dell’art. 54 CAAS, là dove subordina il divieto di bis in idem derivante dalla decisione che accerta la responsabilità dell’imputato alla più volte richiamata condizione dell’esecuzione: invero, come ha osservato il Giudice di Lussemburgo, «Qualora la regola generale enunciata nella proposizione principale fosse applicabile solo alle sentenze di condanna, sarebbe superflua la precisazione secondo cui la regola speciale è applicabile in caso di condanna»8.
sentenza, il decreto penale di condanna esaurisce la giurisdizione nel momento nel quale è pronunciato» (p. 138); G.PAOLOZZI, Il procedimento alternativo per decreto penale, Giuffrè, Milano, 1988, p. 311 ss. secondo il quale «alla luce della giurisdizionalità e della decisiorietà proprie della pronuncia resa in sede monitoria, la natura della stessa viene nettamente a distinguersi sia da quella degli ordinari decreti sia da quella delle ordinanze, chiamati a svolgere funzioni “meramente ordinatorie”, cioè “a preparare”, “promuovere” o “rendere possibile lo svolgimento ulteriore del processo”, senza mai incidere direttamente sul merito del processo stesso e, quindi, sulla pretesa punitiva» (p. 312); C.LAPICCIRELLA, voce Decreto penale di condanna (diritto processuale
penale), in Enc. dir., XI, Giuffrè, Milano, 1962, p. 880. In relazione al procedimento monitorio previsto dal
nuovo codice di rito cfr. P.VENTURA, Il procedimento per decreto penale, Ipsoa, Milano, 2008, p. 77, nota n. 1; B.
BOCCHINI, Condanna per decreto, in Aa. Vv., La giustizia penale differenziata, diretto da A. Gaito – G. Spangher, t. 1, I procedimenti speciali, coordinato da F. Giunchedi, Giappichelli, Torino, 2010, p. 577; M.M.ALMA, Decreto
penale di condanna, in Aa. Vv., Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, vol. IV, t. I, Procedimenti speciali, a cura di L. Filippi, Utet, Torino, 2008, p. 450, la quale, inoltre, dopo aver osservato che, tra i requisiti
di cui all’art. 460, non compare la dicitura “in nome del popolo italiano”, ritiene «che poiché il decreto penale, così come la sentenza, è provvedimento idoneo a definire il giudizio, tale intestazione è comunque necessaria»; S.RUGGERI, Il procedimento per decreto penale. Dalla logica dell’accertamento sommario alla dinamica del
giudizio, Giappichelli, Torino, 2008, p. 67, secondo il quale «nonostante l’assenza nella normativa monitoria di
un’espressa equiparazione con la sentenza di condanna quale quella contemplata nel secondo periodo dell’art. 445 comma 1-bis c.p.p., non pare sia lecito porre in dubbio la natura condannatoria del decreto penale».
7 Cfr. la sentenza 11 febbraio 2003, Gözütok e Brügge, C 187/01 e C-385/01, cit., punti nn. 31 e 40. Tale aspetto è
stato approfondito anche dall’Avvocato Generale nelle sue conclusioni: cfr., in particolare, il paragrafo n. 109, ove si afferma che «Quando tale disposizione si riferisce ad una persona che è stata “giudicata con sentenza definitiva” (rechtskräftig abgeurteilt, onherroepelijk vonnis, définitivement jugée, finally disposed, juzgada en senten-cia
firme o definitivamente julgado), a dispetto del tenore letterale della versione spagnola, essa non allude ad una
decisione giudiziaria che prenda forma di sentenza e venga emessa al termine di un procedimento svoltosi nel rispetto di tutte le garanzie dettate dall'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo; più genericamente, essa si riferisce ad ogni pronuncia emessa all'interno del mondo giudiziario, con la quale lo Stato esprime l'ultima parola in merito ai fatti perseguiti ed alla colpevolezza dell'autore di essi». L’Avvocato generale ricorda, inoltre, come non sia «la prima volta che la Corte di giustizia riscontra alcune difformità nelle diverse versioni linguistiche di uno stesso testo normativo. In simili situazioni essa ha indicato che si deve tener conto dell'insieme dei testi redatti nelle varie lingue (v. sentenza 5 dicembre 1967, causa 19/67, J.H. van der Vecht, Racc. pag. 407, in particolare pag. 417)» (nota n. 54 delle conclusioni). Concorda con le affermazioni della Corte e dell’Avvocato Generale anche E.SELVAGGI, Il principio del ne bis in idem, cit., p. 1695. Secondo l’autore, in particolare, «Se così non fosse, e si propendesse invece per un’interpretazione restrittiva, si perverrebbe a risultati irragionevoli: una persona assolta con ”sentenza “ definitiva in uno Stato non potrebbe essere nuovamente giudicata in un altro Stato, mentre l’imputato nei cui confronti un giudice istruttore abbia pronunciato un’ “ordinanza di non luogo a procedere“ non godrebbe dello stesso effetto preclusivo».
Ciò posto, è necessario ora interrogarsi sulle ulteriori caratteristiche che un provvedimento nazionale deve presentare per poter essere considerato decisione definitiva da cui promana il divieto di doppio processo sul piano europeo.
In presenza di un disposto normativo ridotto all’essenziale, qual è l’art. 54 CAAS, si rivela indispensabile, ancora una volta, l’attività interpretativa della Corte di Giustizia.
Rispetto al requisito dell’idem factum il Giudice dell’Unione adotta, però, un approccio diverso. Nel capitolo precedente, si è visto come la giurisprudenza di Lussemburgo si sia orientata verso l’elaborazione di una nozione autonoma del concetto di «medesimi fatti»: a fronte di una triplice alternativa esegetica – ovvero il ricorso alle categorie concettuali dell’ordinamento che ha pronunciato la decisione irrevocabile, di quello intenzionato a procedere in idem oppure, infine, di un sistema indipendente dalle visioni particolaristiche nazionali – la Corte di Giustizia ha optato per quest’ultimo percorso interpretativo, definendo il fatto rilevante ex art. 54 CAAS in autonomia rispetto alle tradizioni e agli assetti interni dei Paesi membri9.
L’esame delle pronunce relative al secondo presupposto del divieto di bis in idem svela un approccio parzialmente differente. Il Giudice europeo sembra, invero, collocarsi in una posizione intermedia, frutto di una commistione tra il rinvio alla disciplina domestica dello Stato che ha già proceduto e l’enucleazione di parametri ritenuti imprescindibili per il prodursi dell’effetto preclusivo: ne consegue una scissione del binomio «decisione definitiva» nei due elementi che lo compongono. Ed infatti, mentre il crisma dell’irrevocabilità deve essere accertato alla stregua delle disposizioni processuali del Paese che ha emesso il provvedimento, cosa possa costituire «decisione» ai sensi dell’art. 54 CAAS non è interamente lasciato alla libera disponibilità degli Stati dell’Unione. Quanto al primo profilo, nelle diverse pronunce intervenute sul tema la Corte di Giustizia ha legato il carattere definitivo della sentenza all’efficacia estintiva dell’azione penale nell’ordinamento che l’ha emessa10. Affermazione, questa, che consente di effettuare
subito una prima constatazione: per impedire l’instaurazione di giudizi de eadem re et
9 Il tema è stato trattato supra, capitolo III, paragrafo n. 4.
10 L’assunto è stato più volte ribadito dalla Corte di Lussemburgo: cfr. le sentenze 11 febbraio 2003, Gözütok e
Brügge, C 187/01 e C-385/01, cit., punto n. 30; 28 settembre 2006, Van Straaten, C-150/05, cit., punto n. 61; 22
dicembre 2008, Turansky, C-491/07, cit., punto n. 32; 16 novembre 2010, Mantello, C-261/09, cit., punto n. 45. Simile posizione della Corte di Giustizia appare conforme all’assetto proposto nell’Iniziativa della Repubblica
ellenica in vista dell'adozione della decisione quadro del Consiglio sull'applicazione del principio «ne bis in idem», cit.,
che, all’art. 1, lett. b), fornisce una dettagliata definizione di «decisione»: «ogni sentenza definitiva pronunciata da un tribunale penale di uno Stato membro a conclusione di un procedimento penale, che può essere una sentenza di condanna o di proscioglimento dell'imputato, o una sentenza che termina definitivamente l'azione penale, conformemente alla legislazione nazionale di ciascuno Stato membro, nonché la mediazione extragiudiziale in materia penale; è considerata definitiva ogni sentenza passata in giudicato ai sensi della legislazione nazionale«.
persona nello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, la decisione irrevocabile deve anzitutto porsi quale ostacolo ad analoghe iniziative all’interno del sistema da cui è promanata. In particolare e avvalendosi delle parole della Corte dell’Unione, ciò accade se la pronuncia «estingue definitivamente l’azione penale a livello nazionale»11. Quando si
produca un simile effetto non è, perciò, stabilito dal Giudice di Lussemburgo: correttamente, la questione è rimessa al diritto nazionale del Paese che ha condotto il giudizio12. E non potrebbe essere altrimenti, giacché le alternative prospettate non paiono
seriamente percorribili. Da un lato, il ricorso alle regole processuali vigenti nello Stato intenzionato a procedere in idem si palesa irragionevole là dove impone di leggere il prodotto dell’accertamento altrui secondo categorie e regole appartenenti ad un differente sistema processuale; senza contare che, anche in relazione al requisito della «decisione definitiva», si riproporrebbero quelle preoccupazioni, già manifestate nell’esame dell’idem factum, relative all’aleatorietà della tutela che, in adesione a simile prospettiva ermeneutica, il principio del ne bis in idem sarebbe in grado di offrire: uno stesso provvedimento potrebbe essere considerato irrevocabile o meno, a seconda di quale sia l’ordinamento interessato ad agire. Dall’altro lato, l’elaborazione di criteri europei alla luce dei quali vagliare la natura definitiva di una pronuncia rischierebbe di comportare alcuni effetti distorsivi qualora l’irrevocabilità eurounitaria non corrispondesse alle regole interne: la medesima decisione potrebbe impedire la reiterazione di iniziative de eadem re et persona da parte dell’autorità che ha già proceduto, ma rivelarsi insufficiente ai fini dell’art. 54 CAAS; o viceversa.
La valutazione circa il passaggio in giudicato della sentenza conclusiva del primo accertamento pertiene, dunque, correttamente al Paese che l’ha emessa. Eventuali dubbi sollevati dall’ordinamento intenzionato ad esercitare la giurisdizione in ordine allo stesso
11 Così nella sentenza 22 dicembre 2008, Turansky, C-491/07, cit., punto n. 36, ove la Corte di Giustizia
efficacemente osserva come «Una decisione che, secondo il diritto del primo Stato contraente che ha avviato un procedimento penale a carico di una persona, non estingue definitivamente l’azione penale a livello nazionale, non può infatti, in linea di principio, produrre l’effetto di costituire un ostacolo procedurale all’avvio o al proseguimento di un procedimento penale, per gli stessi fatti, a carico di tale persona in un altro Stato contraente».
12 Cfr. la sentenza 22 dicembre 2008, Turansky, C-491/07, cit., punto n. 35, ove la Corte dichiara che «Per
valutare se una decisione è “definitiva” ai sensi dell’art. 54 della CAAS, occorre verificare in via preliminare…che ai sensi del diritto nazionale dello Stato contraente cui appartengono le autorità che hanno adottato tale decisione essa sia considerata definitiva e obbligatoria ed assicurarsi che in tale Stato membro essa dia luogo alla tutela conferita dal principio ne bis in idem». Simile posizione è stata successivamente ribadita nella sentenza 16 novembre 2010, Mantello, C-261/09, cit., punto n. 47.
fatto e derivanti dalle difficoltà insite nel confrontarsi con regole processuali altrui potranno essere fugati ricorrendo alla richiesta d’informazioni di cui all’art. 57 CAAS13.
Un analogo rinvio all’assetto interno degli Stati membri non si ravvisa, invece, nell’individuazione delle ulteriori caratteristiche che una pronuncia deve presentare per poter impedire l’instaurazione di giudizi sullo stesso fatto. Nelle sentenze con cui sino ad ora ha chiarito la portata del ne bis in idem europeo, la Corte di Giustizia ha fissato alcuni presupposti considerati necessari affinché un provvedimento possa ritenersi decisione rilevante ai sensi dell’art. 54 CAAS. Ne consegue, dunque, che, in tal caso, il richiamo ai parametri domestici potrebbe non essere sufficiente ad impedire ulteriori procedimenti sullo stesso fatto. L’opera del Giudice di Lussemburgo, in particolare, è finalizzata ad individuare uno standard comune, espressione del bilanciamento tra esigenze repressive e garanzie individuali: lo scopo è quello di scongiurare che le eventuali difformità tra gli schemi procedurali previsti nei diversi ordinamenti si traducano in un’ingiusta negazione del diritto all’unicità dell’accertamento penale o, al contrario, che il principio del ne bis in idem divenga strumento d’impunità. Anche in relazione a questo secondo presupposto del divieto di doppio processo, l’ingrediente che consente di appianare le fisiologiche divergenze tra i sistemi processuali degli Stati membri è la più volte richiamata reciproca fiducia che dovrebbe permeare i loro rapporti. In particolare, l’affidamento che ciascun Paese è chiamato a riversare nel prodotto dell’altrui accertamento è tale da imporre l’accettazione di esiti processuali alieni alle proprie regole interne, anche qualora l’applicazione di queste ultime avrebbe condotto a risultati differenti.
Le pagine a seguire saranno dedicate all’approfondimento del percorso ermeneutico seguito dal Giudice dell’Unione.
2. L’esame del merito dell’accusa: la giurisprudenza di Lussemburgo sul contenuto della decisione irrevocabile.
L’individuazione delle qualità che un provvedimento deve rivestire per poter sprigionare il proprio effetto preclusivo oltre i confini nazionali è un’esigenza posta alla base di
13 La disposizione, già incontrata supra, capitolo II, paragrafo n. 4, recita come segue: «Quando una persona è
imputata di un reato in una Parte contraente e le autorità competenti di questa Parte contraente hanno motivo di ritenere che l'imputazione riguarda gli stessi fatti per i quali la persona è già stata giudicata in un'altra Parte contraente con sentenza definitiva, tali autorità, qualora lo ritengano necessario, chiederanno le informazioni rilevanti alle autorità competenti della Parte contraente sul cui territorio la sentenza è stata pronunciata. Le informazioni richieste saranno fornite al più presto possibile e saranno tenute in considerazione nel decidere se il procedimento deve continuare».
svariati ricorsi al Giudice di Lussemburgo. In diverse occasioni, infatti, ad indurre le autorità giudiziarie dei Paesi dell’Unione a richiedere chiarimenti sull’esatta portata del principio espresso dall’art. 54 CAAS sono stati proprio i dubbi relativi all’idoneità della decisione de eadem re, opposta dalla persona già giudicata, ad interrompere l’ulteriore iniziativa a suo carico.
Sebbene nelle questioni pregiudiziali di cui è stata investita la Corte di Giustizia il requisito della decisione definitiva sia stato approfondito sotto diversi profili, l’esame delle pronunce attraverso le quali il Giudice dell’Unione ha chiarito i dubbi interpretativi delle autorità rimettenti consente di individuare una trama comune.
Anzitutto, al pari di quanto già visto in relazione al concetto di «medesimi fatti», l’opera ermeneutica della Corte di Lussemburgo in questo ulteriore ambito d’intervento è finalizzata a conferire al principio del ne bis in idem la più ampia applicazione possibile. Ed infatti, sin dalla prima pronuncia intervenuta sul tema, essa manifesta a chiare lettere l’esigenza di far prevalere «l’oggetto e lo scopo» dell’art. 54 CAAS rispetto ad «aspetti procedurali o meramente formali», destinati inevitabilmente a variare a seconda dell’ordinamento considerato14. Tuttavia, rispetto a quanto visto nel capitolo precedente,