• Non ci sono risultati.

Fitodepurazione per il trattamento delle acque reflue

3. Riuso agricolo delle acque reflue

3.4 Fitodepurazione per il trattamento delle acque reflue

A fronte del crescente interesse nel riutilizzo delle acque reflue è emersa a livello internazionale la necessità di mettere a punto sistemi di trattamento efficienti, affidabili e di semplice ed economica gestione e manutenzione. I sistemi di fitodepurazione rispondono a tutte queste caratteristiche e risultano oramai in forte diffusione anche nel territorio italiano.

In particolare, tali sistemi pur richiedendo per la loro realizzazione superfici relativamente ampie, presentano un basso costo di esercizio, assenza di consumi energetici e notevole semplicità nelle fasi di esercizio e manutenzione (Kadlec et al., 2008). Tali caratteristiche li rendono particolarmente indicati per il trattamento secondario dei liquami urbani di piccole comunità, in quanto sono in grado di ridurre in modo significativo le sostanze inquinanti contenute nelle acque reflue, ovvero per il trattamento terziario dei liquami urbani di medie comunità ai fini della rimozione di patogeni e parassiti.

Tra le tecniche di fitodepurazione vengono distinti i sistemi a flusso superficiale e quelli a flusso sub-superficiale.

I sistemi di fitodepurazione a flusso superficiale (FWS) trattano i liquami in bacini o canali a superficie libera su suolo permanentemente saturo. In tali sistemi possono essere utilizzate macrofite galleggianti, macrofite radicate sommerse, macrofite radicate emergenti o, in sistemi a carattere sperimentale, anche microfite .

Nei sistemi a flusso sub-superficiale, invece, le acque reflue scorrono attraverso un letto filtrante che costituisce il supporto per le radici delle macrofite radicate emergenti. Il livello idrico viene mantenuto al di sotto della superficie del substrato nel quale si vengono a creare condizioni sature e/o insature. Tali sistemi possono essere a flusso orizzontale o verticale.

Nei sistemi a flusso sub-superficiale orizzontale (H-SSF) il flusso idrico è continuo e scorre in senso orizzontale attraverso il medium di riempimento, nel quale si crea un ambiente prevalentemente anaerobico. Nei sistemi a flusso sub-superficiale verticale (V-SSF) le acque reflue da trattare, immesse sulla superficie del letto in modo discontinuo, percolano lentamente in senso verticale attraverso il medium di riempimento nel quale si crea un ambiente prevalentemente aerobico.

Le tipologie di sistemi di fitodepurazione possono essere diversamente combinate in un unico impianto, definito ibrido o multistadio, allo scopo di ottenere una riduzione delle aree superficiali necessarie al raggiungimento degli obiettivi depurativi o per migliorare alcuni processi come l’abbattimento dell’azoto e del fosforo (Brix, 1993).

Le combinazioni impiantistiche maggiormente utilizzate sono:

– H-SSF + V-SSF: lo stadio a flusso sommerso orizzontale rimuove gran parte dei solidi sospesi e del carico organico mentre lo stadio a flusso verticale effettua una rilevante ossidazione e un’efficace nitrificazione. Può essere previsto un ricircolo dell’effluente in testa all’impianto per incrementare la rimozione dei nitrati tramite i processi di denitrificazione che si verificano nell’H-SSF;

– V-SSF + H-SSF: lo stadio a flusso sommerso orizzontale assolve alla funzione di denitrificazione dell’effluente in uscita dal sistema verticale; – H-SSF + V-SSF + FWS: lo stadio a flusso libero finale oltre a completare la

rimozione delle sostanze azotate, affina ulteriormente l’abbattimento della carica microbiologica.

Infine, è necessario sottolineare che prima del trattamento di fitodepurazione le acque reflue devono essere sottoposte ad un pretrattamento di grigliatura e sedimentazione primaria (per piccoli sistemi può essere adottata una vasca Imhoff) allo scopo di eliminare le particelle di dimensioni maggiori e ridurre la concentrazione di solidi sedimentabili e sospesi in ingresso.

Un ruolo non solo estetico viene svolto dalla vegetazione nei sistemi di fitodepurazione. Infatti, numerose ricerche hanno dimostrato che le macrofite hanno un ruolo attivo, e non puramente estetico, nei processi depurativi delle acque reflue (Tabella 3.7). Studi comparativi tra impianti a flusso sub-superficiale vegetati e non vegetati, hanno evidenziato che le più elevate percentuali di rimozione dei principali

inquinanti si verificano in presenza della vegetazione (Tanner e Sukias, 1995; Tanner, 1996; Matheson et al., 2002).

Tabella 3.7 – Effetti delle macrofite nei sistemi di fitodepurazione

EFFETTI FISICI

Riduzione della velocità del flusso idrico

Riduzione della velocità del vento sulla superficie dell’acqua (FWS) Attenuazione della luce

Filtrazione

Prevenzione della formazione di canali di erosione

Riduzione dei fenomeni di intasamento del medium poroso Disponibilità di superfici per la formazione del biofilm Isolamento termico

EFFETTI BIOLOGICI

Assimilazione di nutrienti e metalli pesanti Rilascio di ossigeno dalle radici e rizomi Incremento dell’evapotraspirazione

Formazione e rilascio di carbonio organico Rilascio di sostanze antibiotiche dalle radici ALTRI

EFFETTI

Conferimento di un aspetto esteticamente apprezzabile al sistema Formazione di habitat favorevoli all’insediamento della fauna Formazione di biomasse

Inoltre, è stato dimostrato che la maggior parte delle piante che si sviluppano in impianti di fitodepurazione sono in grado di raggiungere un’elevata produzione di biomassa per effetto della costante presenza di acque reflue contenenti elevate concentrazioni di elementi nutritivi (Ennabili et al., 1998; Maddison et al., 2005). Tali elevate produttività producono, tuttavia un problema legato alla possibile destinazione della stessa. Tale problema risulta ancora poco indagato anche se sta assumendo sempre maggiore rilievo a causa della crescente diffusione dei sistemi di fitodepurazione per il trattamento di acque reflue di diversa origine. Una soluzione potrebbe essere rappresentata da un impiego di tale biomassa a fini energetici ma esistono ancora poche esperienze documentate in tale settore.

A tale elevato sviluppo vegetativo risulta associato un’elevata domanda evapotraspirativa che costituisce un aspetto di rilevante importanza nel caso di sistemi di fitodepurazione finalizza mento al trattamento delle acque reflue per un loro successivo riuso irriguo. Tuttavia il fenomeno risulta ancora scarsamente indagato seppure risultano presenti numerosi metodi per la sua stima.

In generale, sono state sviluppate diverse tecniche per misurare i tassi di evapotraspirazione: lisimetro, metodo del Bowen Ratio – Bilancio Energetico (BR-BE) e la tecnica di Eddy Covariance. I lisimetri sono in assoluto gli strumenti più affidabili per la misura dell’evapotraspirazione ma hanno lunghi tempi di installazione ed una gestione impegnativa (Hassan et al., 2008). Il BR-BE misura l’evapotraspirazione in

qualsiasi condizione atmosferica, tuttavia una misura poco accurata di uno strumento influenza direttamente tutti i flussi energetici misurati. Inoltre, il metodo non fornisce risultati attendibili quando i flussi di calore latente e sensibile presentano un valore approssimativamente identico ed opposto; tale condizione potrebbe verificarsi all’alba ed al tramonto (Unland et al., 1996). La tecnica di Eddy Covariance, risulta imprecisa quando gli strumenti di misura si bagnano in occasione di eventi piovosi o per la formazione di rugiada nelle prime ore del mattino (Twine et al., 2000; Burba e Anderson, 2007).

I tassi di evapotraspirazione delle colture possono essere anche stimati utilizzando le misure delle variabili meteorologiche effettuate in situ. I metodi più comunemente utilizzati per questo scopo sono: Penman-Monteith, Turc, Priestley-Taylor, Blaney- Criddle e FAO 56 (Zhao et al., 2005). Il metodo FAO 56 (Allen et al., 1998) trova un’ampia applicazione nel calcolo dell’evapotraspirazione negli ecosistemi agricoli (Smith, 2000; Paco et al., 2006; Singh et al., 2007) ed è in grado di fornire validi risultati nella stima dell’evapotraspirazione di monocolture o nei casi di ridotta densità della vegetazione (Allen et al., 1998; Drexler et al., 2004). In tale metodologia l’evapotraspirazione di una coltura è determinata dal prodotto tra l’evapotraspirazione di riferimento (ET0), facilmente calcolabile con l'equazione di Penman-Monteith, ed il coefficiente colturale (Kc). I valori di Kc risultano notevolmente variabili in funzione della posizione geografica, della stagione e delle caratteristiche della vegetazione (Garatuza-Payan et al., 1998; Fermor et al., 2001; Peacock e Hess, 2004; Drexler et al., 2008). Tuttavia, la metodologia FAO 56 è scarsamente applicata nella stima dell’evapotraspirazione dei sistemi di fitodepurazione a causa della carenza, in letteratura, di validi valori di Kc per queste ultime (Fermor et al., 2001; Drexler et al. , 2008).

4. Impianto sperimentale e metodologia adottata