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1.3 Pompa di calore

1.3.3 Fluidi frigorigeni

I metodi per eseguire lo sbrinamento sono [11]:

Self defrosting: attuabile quando la temperatura esterna e maggiore di 0°C, si blocca la

macchina e si fa lavorare solo il ventilatore che mi permette la circolazione di aria e scioglie il ghiaccio.

Elettric defrosting: si compie con delle resistenze elettriche installate nell’evaporatore

che sono in grado, con una botta di calore, di staccare il ghiaccio dalla batteria. Si deve fare attenzione che nemmeno nel gocciolatoio ci sia presenza di ghiaccio altrimenti la pompa di calore va in arresto.

Hot gas defrost by reversing operation: si utilizza una valvola 4 vie che permette di

invertire il ciclo inviando il gas caldo in uscita dal compressore all’evaporatore, e non al condensatore, consentendo lo scioglimento dello strato di ghiaccio. Operando in tal modo si compie lo stesso lavoro al compressore ma senza effetto utile, rischiando di raffreddare l’ambiente da riscaldare. Pertanto, durante questa fase, si devono limitare al massimo gli scambi termici tra la pompa di calore e l’ambiente interno.

Dal punto di vista del risparmio energetico la soluzione migliore è il self defrosting perché si ha solo la spesa elettrica del ventilatore che opera per un tempo maggiore, ma quando ciò non è sufficiente è indispensabile controllare le sequenze di sbrinamento in modo da ottenere una soluzione ottimale. Questo comporta che deve essere presente un controllo (sensori di temperatura, di pressione, di assorbimento di potenza del ventilatore, microprocessore) che individui il tempo corretto per terminare lo sbrinamento appena tutto il ghiaccio è stato rimosso e che gli intervalli di defrosting siano adeguati.

1.3.3 Fluidi frigorigeni

I fluidi di lavoro sono un argomento fondamentale per le pompe di calore e per qualsiasi macchina che lavori secondo ciclo inverso dato che essi percorrono gli organi che compongono ogni apparecchio e ne influenzano l’efficienza e l’impatto ambientale. Tradizionalmente questi tipi di fluidi sono suddivisi in due macro categorie:

 fluidi di sintesi: CFC, HCFC, HFC, miscele, HFO;

 fluidi naturali: ammoniaca(NH3), acqua, anidride carbonica(CO2).

Fluidi di sintesi

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CFC (cloro-fluoro-carburi): composti chimici contenenti cloro, fluoro e carbonio,

ottenuti dalla sintesi di idrocarburi nei quali sono stati sostituiti tutti gli atomi di idrogeno con atomi di cloro e fluoro. Furono inventati negli anni ’30 da Thomas Midgley e sono molto performanti perché caratterizzati da: elevata stabilità chimica, non infiammabilità, basso punto di ebollizione alla pressione atmosferica e ridotta tossicità. Grazie alle loro formidabili qualità trovarono largo impiego come fluidi refrigeranti, propellenti per aerosol, agenti schiumogeni e per la preparazione di materie plastiche, visto anche il costo contenuto.

HCFC (idro-cloro-fluoro-carburi): composti chimici contenenti idrogeno, cloro,

fluoro, carbonio ottenuti, dalla sintesi di idrocarburi nei quali sono stati sostituiti solo una parte degli atomi di idrogeno con quelli di cloro e fluoro. Tali tipi di fluidi rappresentano il passo evolutivo dei CFC dato che è presente una parte di idrogeno per renderli più instabili nel momento in cui entrano a contatto con l’atmosfera terrestre, in modo che abbiano la capacità di non rimanere per lungo tempo in sospensione e si decompongano velocemente. Tale trasformazione, dai fluidi precedenti, non implica una diminuzione di stabilità chimica e fisica quando il fluido opera all’interno dell’impianto.

HFC (idro-fluoro-carburi): composti chimici nei quali sono presenti idrogeno, fluoro e

carbonio, ottenuti dalla completa eliminazione degli atomi di cloro dai fluidi precedentemente descritti. Questi composti sintetici purtroppo non sono performanti come i loro predecessori, infatti presentano una elevata instabilità chimica e fisica che da un lato è un vantaggio perché quando entrano a contatto con l’atmosfera si decompongono prima, dall’altro lato, invece, non possono essere comparati ai CFC e HCFC dal punto di vista dell’efficienza durante la fase operativa. Con questi fluidi di lavoro non è, comunque, stato risolto il problema dell’inquinamento ambientale visto sono uno dei principali protagonisti dell’aumento dell’effetto serra, anche se sono stati fatti passi in avanti per quanto riguarda la riduzione del buco dell’ozono.

Miscele: si riconosce che un fluido è una miscela se nella denominazione (per

esempio R410A) è presente una lettera maiuscola alla fine. Possono esserci miscele binarie (composta da due fluidi) o ternarie (composte da tre fluidi) e possono essere miscele azeotropiche o zeotropiche. Le prime si comportano come i fluidi puri e cioè ad un aumento della pressione corrisponde un aumento della temperatura e viceversa; le seconde, invece, presentano un certo glide di temperatura e pertanto il comportamento dipende dalla composizione e da quanto è solubile un fluido rispetto all’altro. Per tale famiglia di fluidi il ciclo di riferimento ideale non è più il ciclo di

PRINCIPALI COMPONENTI E SOLUZIONI IMPIANTISTICHE

21 Carnot, ma il ciclo di Lorenz il quale è un ciclo reversibile in cui variano le temperature di condensazione e di evaporazione, le quali dipendono dalla pressione e dalla composizione della miscela, e la formula generale dell’indice COP rimane inalterata, salvo sostituire le temperature con delle temperature medie logaritmiche. Tali fluidi sono stati introdotti per rientrare nei vincoli imposti dall’Unione Europea sui temi dell’effetto serra e buco dell’ozono.

HFO (idrofluoroolefine): sono dei fluidi basati sul propilene al quale è stato rimosso il

cloro ed è stato aggiunto il fluoro. A causa della alta presenza di idrogeno e fluoro sono più infiammabili rispetto a quelli descritti precedentemente, ma sono caratterizzati da un ridotto valore di GWP (Global Warming Potential).

Fluidi naturali

Prima dell’avvento delle sostanze ottenute per via sintetica e soprattutto in questi ultimi anni in cui è diventato sempre più importante l’aspetto ambientale, è sempre maggiore lo studio delle sostanze presenti in natura come fluidi termovettori, le quali sono perlopiù ancora in via sperimentale a parte qualche applicazione in particolari tecniche di raffreddamento (come la congelazione) o riscaldamento.

I principali fluidi presi in considerazione sono:  acqua (H2O);

 ammoniaca (NH3);  anidride carbonica (CO2).

L’acqua è una risorsa reperibile a basso costo, abbondantemente disponibile in natura, non è né esplosiva, né tossica, ed è un fluido di lavoro eccellente per le pompe di calore industriali per via delle sue proprietà termodinamiche poiché lavorano ad alte temperature. Presenta, però, molti svantaggi i quali sono: una temperatura di fusione molto bassa (0°C) e un elevato valore di volume specifico a vapor saturo. Quest’ultimo particolare comporta dimensioni dell’impianto molto grandi e perciò assolutamente non economiche.

L’ammoniaca fu il primo fluido frigorigeno a essere utilizzato tra il 1870-1874 dallo scienziato tedesco Linde. Tale sostanza presenta un’ottima efficacia termodinamica perché caratterizzata da: un ridotto volume specifico, un elevato calore di evaporizzazione e buone proprietà di trasmissione del calore. Inoltre, dal punto di vista economico, ha un costo contenuto anche per quanto riguarda la costruzione dell’impianto e delle sue dimensioni. Queste proprietà ne fanno una delle migliori sostanze che si possano utilizzare, ma ha il problema di essere fortemente tossica e infiammabile, anche se possiede un odore talmente pungente il quale rende relativamente semplice la localizzazione del punto di fuga prima che

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tale fluido raggiunga il punto di infiammabilità. A causa di tale inconveniente e per l’avvento delle sostanze di sintesi nel mercato dei fluidi frigorigeni, l’ammoniaca fu all’inizio abbandonata ma, ai giorni nostri, per merito dello sviluppo tecnologico, riguardo la sicurezza nella costruzione di sistemi di rilevamento di fughe di gas e il bloccaggio delle stesse, essa viene impiegata per grandi impianti di raffreddamento, come per esempio nei supermercati. L’anidride carbonica è una sostanza presente in grande quantità in natura, ma ha il grave problema di essere caratterizzata da una temperatura critica molto bassa (31°C) che ne ostacola l’uso comune negli impianti per il raffreddamento civili e industriali. L’unico modo per far avvenire il ciclo è di renderlo trans-critico, comportando l’utilizzo di particolari materiali e sistemi di sicurezza che fanno lievitare il prezzo rendendolo, al giorno d’oggi, non vantaggioso.