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Metodi di analisi della sinestesia

3.2.6 fMRI e sinestesia

Negli anni ’80 e ’90 il principale metodo di neuroimaging impiegato nella sinestesia era la Tomografia ad Emissione di Positroni (PET), basata sul decadimento di isotopi radioattivi instabili. Anch’essa, come la fMRI è in grado di fornire dettagliate informazioni spaziali riguardo alle differenze di flusso sanguigno tra le regioni e produce un’immagine tomografica (a fette) del cervello.

Lo studio PET più importante sulla sinestesia è quello di Paulesu et al. (1995). Essi testarono sei sinesteti parola-colore sia mentre ascoltavano parole (che quindi suscitavano la visione di colori), sia mentre ascoltavano dei toni (che invece non suscitavano colori). Durante l’ascolto di parole, e non di toni, si attivarono nei sinesteti le aree della corteccia temporale infero-posteriore e della giunzione parieto-occipitale, mentre non venne osservata un’attivazione delle prime aree visive V1, V2 o V4. Questo fallimento nel trovare attività nelle prime aree visive potrebbe però essere dovuto ad una sensibilità limitata dello strumento, piuttosto che ad una reale assenza di attività.

Dopo questi studi iniziali di neuroimaging trascorsero sette anni prima che fossero effettuati altri studi di imaging sulla sinestesia, e in questi anni i metodi di neuroimaging migliorarono ancora, soprattutto con la scoperta del segnale fMRI BOLD. Da quel momento la risonanza magnetica funzionale diventò il principale metodo di studio in ambito sinestetico, in quanto presentava alcuni vantaggi rispetto alla PET, primo fra tutti la non invasività dell’esame. Infatti, diversamente dalla PET, che necessita dell’uso di traccianti radioattivi iniettati, indubbiamente dannosi per la salute del paziente, il segnale BOLD dipende dalle naturali proprietà magnetiche delle molecole di emoglobina nel sangue.

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Gli studi effettuati tramite fMRI erano e sono tutt’ora volti a provare i modelli neurali proposti riguardo la sinestesia. Si è interessati a scoprire quali aree cerebrali si attivano mentre un soggetto prova un’esperienza sinestetica, e come l’attività cerebrale varia tra sinesteti e non sinesteti in risposta ad uno stesso stimolo.

I primi studi fMRI si concentrarono sulla sinestesia parola-colore.

Nunn et al. (2002) eseguirono una ricerca simile a quella di Palesu et al. Testarono sei sinesteti parola-colore e sei corrispondenti non sinesteti. Riportarono che le regioni del cervello coinvolte nell’elaborazione dei colori (tra cui i centri del colore V4 e V8) erano più attive quando i sinesteti ascoltavano parole rispetto a quando ascoltavano toni, ma non erano attive le precedenti aree visive, come V1 o V2. Questa differenza non era stata osservata nei non sinesteti.

Tuttavia, in un altro caso di studio di un sinesteta parola-colore, Aleman et al. (2001) riportarono attivazione della corteccia visiva primaria, mentre non furono in grado di determinare se l’area V4 fosse attiva.

Mentre le indagini di neuroimaging erano rivolte alla sinestesia parola-colore, nel frattempo gli studi comportamentali si focalizzavano sulla sinestesia grafema-colore. Si cominciò quindi ad utilizzare la sinestesia grafema-colore come sistema modello anche per quanto riguardava le indagini fMRI. Questa forma di sinestesia, infatti, si adatta perfettamente ai limiti degli ambienti di risonanza magnetica. Questi ambienti sono tipicamente molto rumorosi, il che complica gli studi effettivi dei meccanismi neurali dell’elaborazione del linguaggio parlato; inoltre, a causa del campo magnetico intenso, tutti gli oggetti metallici dovrebbero essere tenuti al di fuori dello scanner, rendendo difficile, ad esempio, creare dispositivi meccanici utili a presentare sapori, odori o stimolazioni tattili ai partecipanti all’interno dello scanner. La presentazione di immagini, invece, necessita semplicemente di un computer e di un proiettore posizionati al di fuori dell’ambiente in cui è posto lo scanner, e di un sistema di specchi per riflettere l’immagine agli occhi dei partecipanti mentre sono stesi sul lettino.

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I primi studi cercarono di capire unicamente se le aree selettive per il colore fossero attive o meno durante l’esperienza sinestetica, fino al punto di raccogliere dati di brain imaging funzionale solo da specifiche regioni che si ipotizzava fossero coinvolte nella generazione delle esperienze sinestetiche (regioni di interesse, ROI). Più recentemente, poi, le indagini si sono estese oltre alle regioni selettive per il colore, per investigare più a fondo le proprietà di connessione della sinestesia.

Vediamo ora qualche esempio, alcuni dei quali erano stati già affrontati nel capitolo 2. Tra i primi studi ricordiamo Hubbard, Arman et al. (2005) e Sperling et al. (2006) che misurarono le risposte nelle regioni di interesse dei colori e dei grafemi. Entrambi i gruppi di studiosi osservarono maggiore attivazione di queste aree, in particolare V4, in risposta a grafemi che suscitavano colori sinestetici.

Tuttavia non tutti gli studi riconobbero attività nella regione V4. Rich et al. (2006) eseguirono un’indagine fMRI del cervello intero su sette sinesteti e sette soggetti di controllo. Essi non trovarono maggiore attivazione in V4 nei sinesteti, trovarono invece attivazione nelle aree del colore più anteriori, legate alla categorizzazione e all’attribuzione di nomi ai colori. Inoltre osservarono che l’immaginazione di colori provocava attivazione in V4 sia nei sinesteti che nei soggetti di controllo.

Anche Weiss et al. (2005) esaminarono segnali fMRI in 9 sinesteti grafema-colore. Non osservarono attivazione significativa delle aree visive, ma piuttosto nel solco intraparietale sinistro.

Queste discrepanze, oltre ad essere dovute probabilmente a differenze individuali tra i sinesteti, potrebbero derivare anche dal fatto che, fino a poco tempo fa, molti studi sulla sinestesia erano poco sviluppati a livello statistico. Analisi fMRI del cervello intero richiedono un minimo di 20 partecipanti per consentire deduzioni più specifiche. Per le analisi che utilizzano ROI ridotte, invece, il ristretto numero di voxel presi in considerazione riduce l’impatto statistico sfavorevole.

Coerentemente a ciò, gli studi che esaminarono un numero più ampio di partecipanti sinestetici, trovarono attivazione delle regioni selettive per il colore nei pressi delle coordinate di V4 (Rouw and Scholte 2007; van Leeuwen et al. 2010).

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