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I fondi antichi nelle biblioteche di pubblica lettura: una risorsa o un problema?

La scelta di questo tema è nata in seguito al mio lavoro di tesi per la laurea triennale in Scienze dei Beni Culturali. In tale occasione ho realizzato un censimento delle edizioni piemontesi dal XV al XVIII secolo, conservate presso la biblioteca del mio paese, Galliate, in provincia di Novara. La mancanza di azioni di tutela, valorizzazione e conservazione di questi fondi, mi hanno portato a riflettere sulle azioni che si dovrebbero intraprendere per non lasciare “morire” questo grande patrimonio che molte delle biblioteche italiane possiedono.

Infatti, il presente lavoro aveva come obiettivo quello di indagare direttamente realtà bibliotecarie che presentassero in maniera evidente la duplice natura di biblioteche di conservazione e di pubblica lettura. A questo fine si è scelto un gruppo di casi appartenenti alla realtà veneta, territorio di più immediato riferimento dell’Università di Venezia Ca’ Foscari. Il mio progetto di ricerca intendeva verificare la fondatezza del presupposto che le biblioteche, come le civiche e le comunali, più vicine ai cittadini in virtù della loro stessa natura, avessero il dovere di garantire azioni di tutela, valorizzazione, conservazione e promozione delle raccolte di conservazione. Fin dall’inizio, non ho mai pensato che la soluzione potesse essere quella di affidare la funzione conservativa ad istituti nati con questo scopo, perché credevo fortemente nel valore che questo patrimonio potesse dare al territorio. La scelta del campione poteva tuttavia prestarsi ad un rischio ben preciso. Intendendo il presente lavoro offrire un contributo di natura teorica, l’affidare la raccolta degli orientamenti alle sole biblioteche esaminate rischiava di risentire in maniera eccessiva dei dati di prassi. È noto che nelle biblioteche la complessità della realtà induce troppo spesso ad evitare progetti di mutamento e aggiornamento, sotto l’incalzare di una quotidianità spesso vissuta come opprimente a causa della ristrettezza dei mezzi: sedi, risorse umane, risorse per l’incremento e la gestione delle collezioni, attrezzature insufficienti a rispondere alle esigenze del pubblico che appare non solo indifferenziato, ma altresì composto in maggioranza di studenti universitari, per i quali le biblioteche civiche assolvono a supplenze il cui valore è ignorato dall’università che non offre alcun tipo di mutualità.

A compensazione di questo rischio di parzialità del punto di vista, alle sei biblioteche indagate (Civiche di Bassano del Grappa, Belluno, Padova, Treviso e Verona e la Bertoliana di Vicenza) si son volute giustapporre le opinioni di sette bibliotecari (Monia Bottaro, Agostino Contò, Laura Desideri, Giovanni Grazioli, Giorgio Lotto, Mariella Magliani, Stefano Pagliantini) con

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caratteristiche sia personali e caratteriali che professionali diversificate; di tre docenti universitari di materie biblioteconomiche (Carlo Bianchini, Alberto Petrucciani, Riccardo Ridi); di una responsabile regionale per i beni librari (Lorena Dal Poz). A questo fine è stata a tutti loro somministrata la medesima intervista articolata in cinque quesiti. Le risposte sono pressoché unanimi.

In seguito alla mia analisi e allo studio delle diverse realtà bibliotecarie venete e grazie alle parole degli intervistati, posso concludere affermando che la convivenza delle due componenti è possibile e anzi, molto spesso, risulta vantaggiosa per le biblioteche e per la cittadinanza.

Chiaramente le difficoltà ci sono e sono molto evidenti. Sono richieste maggiori competenze, personale adeguato alle esigenze stesse del patrimonio posseduto, necessità di aver garantito un finanziamento continuo che permetta alle biblioteche di iniziare, continuare e migliorare le attività proposte.

Le parole del professor Ridi, voce fuori dal coro rispetto agli altri intervistati, fanno riflettere sui risultati che la scelta di separare le due funzioni possa avere a lungo termine. Depositare il patrimonio conservativo in istituti di conservazione, rischierebbe di far allontanare ancora di più le persone da queste raccolte e dalla storia che possono raccontare e di conseguenza renderebbe questo materiale per pochi, quasi di élite, creando in questo modo una situazione tipica del passato, dove erano solo gli studiosi a entrare in contatto con questa tipologia di materiale. Credo, invece, che siano necessari progetti di ampio respiro, che permettano alle biblioteche di far avvicinare l’utenza più generale a queste raccolte librarie. Questi progetti devono avere alla base una prima fase di inventariazione e catalogazione, seguita da uno studio approfondito del materiale, mediante il personale interno delle biblioteche, ma non solo; riprendendo le parole del professore Petrucciani, il ruolo degli studiosi, dei ricercatori e degli studenti universitari in questo lavoro iniziale potrebbe portare grandi vantaggi alle raccolte e alle biblioteche stesse. La conoscenza del patrimonio posseduto, come hanno sottolineato tutti gli intervistati, è il primo passo da compiere. Nonostante questo possa sembrare un’ovvietà, dobbiamo ricordare che molto del materiale conservato in questi istituti ancora oggi non possiede gli strumenti necessari che garantiscano una conoscenza approfondita delle raccolte possedute.

L’interesse di queste biblioteche deve essere quelle di far vivere entrambe le raccolte, che siano esse manoscritti, libri antichi a stampa, documenti di interesse locale, best sellers e così via. Lo scopo della biblioteca deve rimanere l’accesso all’informazione qualsiasi esso sia, e per fare questo la conoscenza delle raccolte risulta fondamentale.

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Ciò pone il problema della formazione e dell’aggiornamento delle risorse umane, richiedendo al bibliotecario una buona preparazione culturale di ordine generale e una adeguata preparazione tecnica, eventualmente declinata nella singola organizzazione in ragione delle specifiche necessità, che vanno da quelle ordinarie amministrative e catalografiche a quelle di formazione e coordinamento dell’utenza.

Le azioni di valorizzazione successive possono essere le più svariate, l’importante è trovare un linguaggio adeguato al target di riferimento e non limitarsi all’esposizione di mostre, spesso difficili da comprendere da parte di un pubblico generale.

È importante riuscire a coinvolgere in primo luogo la cittadinanza, in particolare per la natura di queste raccolte che spesso caratterizzano la storia di un determinato luogo e suscitando in modo eventualmente progressivo l’interesse di un’utenza più ampia.

Dopo l’analisi effettuata su alcune delle biblioteche della Regione Veneto che presentano questa duplice natura, posso rispondere alla domanda del titolo della mia tesi, e cioè I fondi antichi nelle

biblioteche di pubblica lettura: una risorsa o un problema? Questi fondi possono diventare una grande

risorsa per le biblioteche, e lo possono essere solo se questi istituti saranno in grado di attuare tutte le misure necessarie per valorizzare questo patrimonio; se al contrario, questo materiale rimarrà fermo nei depositi e non verranno attuati progetti di tutela e valorizzazione, questi fondi saranno solo un problema per le biblioteche, a cominciare dalla conservazione e dalla catalogazione. Le biblioteche italiane sono frutto della storia stessa del nostro paese e molte delle biblioteche civiche e comunali nate nei secoli scorsi – come testimoniano le biblioteche qui prese in esame – sono frutto delle soppressioni conventuali e dei molti lasciti privati che hanno portato alla fioritura di queste biblioteche, le quali nel corso del tempo, inevitabilmente, hanno arricchito il loro patrimonio e sono diventate il centro culturale e sociale di molte realtà territoriali. È la storia di queste istituzioni a rendere la loro natura duplice, articolata fra conservazione e pubblica lettura, e credo che in virtù di questo fattore distinguere in maniera netta le due realtà sia un errore e possa creare maggiori problematiche relative alla gestione stessa del patrimonio posseduto. Queste istituzioni dovrebbero ripensare la loro mission ampliando la visione di biblioteca e provando a realizzare progetti che vedano le due componenti collaborare nel migliore dei modi, cercando di valorizzare l’intero patrimonio posseduto con gli strumenti adeguati a tale scopo. Probabilmente la maggior difficoltà per le biblioteche che possiedono questo patrimonio deriva dall’ormai troppo artificiosa distinzione tra biblioteche di conservazione e biblioteche di pubblica lettura. In una stagione in cui le etichettature disciplinari e funzionali del passato vengono progressivamente sempre più superate, la stessa distinzione tra biblioteche di conservazione e di pubblica lettura

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sembra richiedere un superamento nella chiave della specializzazione non tanto delle funzioni, quanto degli strumenti, da affinare sempre più, da mutuare reciprocamente, riconoscendo alla persona dell’operatore, al suo talento, un ruolo basilare nell’organizzazione, da rafforzare a partire dalla formazione e dall’aggiornamento, per arrivare a disponibilità che siano finalmente adeguate a quelle richieste non tanto dai bibliotecari quanto da un Paese moderno e consapevolmente governato.

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BIBLIOGRAFIA