L’immaginario “avvocato del diavolo”, ideato per questa riflessione, non si comporterà come l’“azzeccagarbugli” manzoniano, per cui, animato da uno spiccato afflato di onestà intellettuale, non si aggrapperà ad aspetti marginali della riforma (e anzi ignorerà del tutto una disposizione che ha ricevuto un plauso unanime, quale quella che provvede all’abolizione del CNEL), ma si misurerà con l’innovazione centrale della revisione, ovvero il mutamento della struttura e delle funzioni del Senato. Tale innovazione va riguardata sotto due profili: il primo, che definirei “minimale-negativo”, coincide evidentemente con l’eliminazione del bicameralismo paritario, il secondo, che chiamerei invece “massimale-positivo”, consiste nella annunciata trasformazione della seconda camera in una Camera delle Regioni, o meglio delle autonomie.
È appena il caso di esplicitare che, naturalmente, l’esame del primo aspetto comporta che ci si ponga, inizialmente, nella prospettiva della forma di governo italiana ed in particolare del sistema delle fonti ad essa correlato e non in quella di valutare il modello di regionalismo che sarebbe introdotto nel Paese se la riforma avesse il placet popolare (prospettiva che verrà in considerazione, invece, al momento di trattare il secondo aspetto, quello che si è definito positivo-massimale).
Non è un mistero che il bicameralismo paritario e perfetto non sia sfuggito a severe critiche, tanto sul piano teorico, quanto soprattutto su quello pratico, in quanto elemento che ha indotto una
4 V. A. SPADARO, Dalla Costituzione come “atto” (puntuale nel tempo) alla Costituzione come “processo”
(storico). Ovvero della continua evoluzione del parametro costituzionale attraverso i giudizi di costituzionalità, in Quad. cost., 3/1998, 343 ss.
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certa lentezza e farraginosità del procedimento legislativo e perciò ritenuto responsabile – almeno pro quota – del triste fenomeno della “fuga dalla legge” che ha caratterizzato da decenni la dinamica del sistema italiano delle fonti5. È un dato questo che non può negarsi, per quanto sarebbe certo impietoso nei confronti dell’istituto vedervi l’unico responsabile del fenomeno, che è in parte addebitabile anche alla difficoltà dell’accordo politico e all’ancora più grave deficit di rappresentatività che ha contrassegnato le nostre (ma non solo) assemblee legislative.
Questo fattore ha concorso, unitamente agli altri, a creare le premesse per lo sviluppo di quella “fenomenologia fantastica” di fonti governative del tutto esulanti dal modello costituzionale:
si pensi, per richiamare solo alcuni dei casi più eclatanti della tendenza massiccia, a tutti nota, di trasmigrazione di funzioni normative primarie dalla sede parlamentare verso quella governativa, al fenomeno dei regolamenti autorizzati o ancora a quello dei decreti legislativi integrativi e correttivi.
Le storpiature del testo costituzionale che ne sono derivate, precisamente al principio del monopolio o quantomeno della centralità del Parlamento nella funzione legislativa, sono state ampie e gravi, non meno a mio avviso di quelle che oggi, per effetto della riforma, potrebbero subire i principi dell’autonomia e del decentramento sanciti all’art. 5 Cost., per quanto alle seconde reagiamo indignati, mentre alle prime ci siamo probabilmente assuefatti, in quanto tratti (alle condizioni attualmente date) ormai stabili della Costituzione vivente, che sono stati sviscerati, avversati e talora anche razionalizzati dalla dottrina e che doverosamente continuiamo a spiegare agli studenti nelle aule universitarie. Ad aggravare ancor di più la situazione, com’è noto, stanno anche le difficoltà che questi atti comportano dal punto di vista dell’assoggettamento ai controlli di legittimità costituzionale: i regolamenti autorizzati, ad es., per riprenderli nuovamente – una volta scartata la tesi mortatiana di far valere la loro natura sostanzialmente (anche se non formalmente) primaria ai fini del sindacato della Corte costituzionale6 – sfuggono alle verifiche circa il rispetto delle norme costituzionali. Scardinata la centralità parlamentare, salta infatti anche la tenuta
5 Che è una tendenza – definibile come la «detronizzazione del Parlamento quale luogo principe della decisione politica» – complementare alla “crisi della legge”: su quest’ultima v. F. MODUGNO, A mo’ di introduzione.
Considerazioni sulla «crisi della legge», in AA.VV., Trasformazioni della funzione legislativa, cit., 1 ss. (le parole cit.
si leggono nella Presentazione dello stesso A. al vol., p. XI).
6 … in quanto quest’ultima ha preferito, come si sa, non allargando i confini dell’oggetto del suo sindacato, rifiutarsi, coerentemente con il suo ruolo, di avallare una tale stortura del sistema delle fonti.
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dell’edificio dei controlli, così come risultava eretto attraverso la sovrapposizione del vaglio di costituzionalità sui meccanismi di verifica della legalità ereditati dallo Stato liberale.
Si potrebbe obiettare che, per la significativa interazione tra la riforma e l’Italicum7, la paternità sostanziale della legge, ovvero degli atti aventi la forza e la forma della legge, continuerebbe ad essere solidamente imputabile all’esecutivo, data la tendenziale coincidenza tra maggioranza legislativa e maggioranza di governo che l’ampio premio in termini di seggi garantito dalla legge elettorale n. 52/2015 consente. Tuttavia, da una parte, che davvero sia così non è ancora possibile affermarlo con certezza, in quanto occorrerebbe prima aspettare la definizione della fisionomia dello Statuto delle opposizioni introdotto dal nuovo co. 2 dell’art. 64 Cost., al fine di valutarne l’incisività e l’efficacia sul piano della garanzia dell’effettiva partecipazione delle minoranze parlamentari al procedimento legislativo; mentre, dall’altra, rimane il fatto, da non sottovalutare, che, nella peggiore delle ipotesi (quella cioè in cui l’obiezione sia vera e dunque la paternità politica sostanziale della legge post riforma rimanga invariata rispetto a quella delle fonti governative), si avrebbe comunque un guadagno sul piano dei controlli, in quanto, grazie al recupero quantomeno della forma della legge, l’atto sarebbe sottoponibile al vaglio di costituzionalità, con tutte le conseguenze in termini di garanzia del rispetto dei principi costituzionali che questo dato reca con sé.
Concludendo, se l’eliminazione del bicameralismo paritario e perfetto può contribuire a recuperare la centralità del Parlamento nella funzione legislativa, voluta dal Costituente del 1948 e confacente ad una forma di governo effettivamente parlamentare e, dunque, a raddrizzare un sistema delle fonti ormai vistosamente deformato, a tutto guadagno della democraticità parlamentare e della legalità costituzionale, c’è un motivo per guardare con interesse alla revisione.
Certo, non sarebbe lecito affermare che il recupero che si guadagnerebbe su questo versante, della forma di governo e del sistema delle fonti, abbia di per sé più valore delle perdite che si soffrirebbero sul piano del modello del regionalismo (su cui v. infra), ma nemmeno lo sarebbe a mio avviso sostenere l’opposto, ovvero che tale recupero valga per principio meno (se non per la falsata valutazione in cui il torpore indotto dall’assuefazione cui si accennava può far incorrere ciascuno di noi). Semmai, è ancora una volta da notare come sia un peccato che il giudizio positivo
7 Al netto delle incertezze connesse alla questione di legittimità costituzionale pendenti sulla legge elettorale ed alle eventuali modifiche pur sempre apportabili in sede legislativa.
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sul profilo minimale della modifica del bicameralismo vigente si accompagni ad un giudizio negativo sul profilo massimale della stessa, che cioè l’avanzamento che si può attendere dalla riforma sul piano del ritorno alla legge possa essere conseguito solo a prezzo dell’arretramento sul piano della tutela dell’autonomia, costringendo a mettere sui due piatti della bilancia, da una parte, il rinsaldamento del primo valore e, dall’altra, l’indebolimento del secondo.
In ultimo e del tutto accidentalmente, aggiungo che non mi occupo qui invece, nell’ambito dei riflessi della revisione sulla forma di governo, delle preoccupazioni di un eccessivo accentramento del potere suscitate, ancora una volta, dalla congiunta operatività del testo di riforma e dell’Italicum, perché trovo più che convincenti gli argomenti spesi in questi mesi in dottrina al fine di fugare questi timori.