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Formazione delle Vallate

Le valli delle Alpi Marittime sono in maggior parte trasversali. Le poche longitudinali o parallele alla catena principale, cioè quelle dell’alta Tinea, del Varo medio e inferiore, della Stura, del Tanaro e dell’Arroscia, non sono dovute, a quanto pare, esclusivamente all’azione dell’erosione, corrispondendo invece a breccie naturali, lungo il confine dei vari sistemi orografici. Esse valli—le più antiche—sono perciò più perfette in quanto concerne la loro direzione quasi uniforme e il loro «thalweg» profondo, largo e poco inclinato per lunghi tratti. Le valli più complete sotto questo riguardo sono: quella della

Stura, che presentasi larga da 1 a 2 km. sotto Demonte e più sopra fino a Vinadio, poi quella del Tanaro dalla sorgente fino ad Ormea, e quella del Gesso fin sopra Valdieri;

sul lato sud quella dell’Arroscia sino a Pieve di Teco, poi lunghi tratti delle Valli della Tinea (sotto Santo Stefano), del Varo, dell’Ubaye, ecc.

La maggior parte delle valli meridionali di queste Alpi costituiscono però tipi caratteristici di valli trasversali, scavate intieramente dalle acque, talvolta in terreno molto difficile, e non presentando il carattere di valli perfette e piane che verso il loro sbocco nel mare. Così la Valle del Roja non è che una interminabile serie di chiuse strette e talvolta meandriformi, separate tra loro da bacini più o meno larghi, il più lungo—quello della Giandola—non misurando oltre a 4 km. di lunghezza. Questi bacini, in parte letti di antichi laghi, apronsi quasi sempre là dove s’incontrano due o più rivi di qualche importanza.

Le chiuse meridionali delle Alpi Marittime, per carattere selvaggio e fantastico, sono veramente uniche in Europa. Quella della Vesubia, nel terreno orgoniano, era in gran parte affatto inaccessibile, finchè due anni fa si aprì una nuova strada strategica che da Lantosca mette nella Valle del Varo; la strada postale invece corre a 200 o 300 m. sopra il torrente, sull’asprissimo fianco sud, esposto alle valanghe d’inverno, attraversando per mezzo di una galleria la roccia a picco conosciuta sotto il nome di «Salto dei Francesi»; se qui non mancò la tragedia (i montanari esaltati vi precipitarono, a quanto si dice, molti «maraudeurs» francesi nelle guerre della prima Repubblica), almeno si deve confessare che il posto era straordinariamente adatto ad avvenimenti tragici; dalla strada per lo più non si vede il fondo del precipizio.

La gola del Ciaudan, dominata da pareti calcaree, parte con stratificazioni oblique molto ben accusate, parte liscie o strapiombanti, sopra le quali erte cime s’innalzano sino a 750 m. sopra la valle, è ora attraversata dalla nuova ferrovia da Nizza a Poggeto Teniers; il Varo vi appare molto copioso nel suo stretto alveo, e nei tempi di piena vi corre con velocità incredibile; all’ingresso, il villaggio di Baussone è letteralmente sospeso sul culmine di una roccia a picco alta 250 m.; simile posizione è, del resto, di regola per tutti i luoghi abitati di quella regione.

Le gole del Cians, del Loup e quella del Varo vicino a Daluis, che comincia per mezzo di una «porta fluviale» molto caratteristica, sono veri «cañons» cioè spaccature, per lo più colla forma della lettera U, scavate in altipiani aridi e poco ondulati, dalle stratificazioni orizzontali o quasi. Vedonsi, specialmente nella gola di Daluis, roccie dalle forme più singolari, e l’insieme di quegli stretti e tortuosi canaloni è così strano ed imponente, che in molti punti ricorda vivamente le incisioni del Dorè per l’Inferno di Dante. Si aggiunga poi la luce vivissima del sole contrastante colle ombre profonde, i colori svariati e d’ordinario molto vivaci (rossi, bianchi, gialli) delle rocce, i curiosi effetti dell’erosione e degli scoscendimenti, le numerose caverne, sorgenti e cascate, poi la flora quasi del tutto ancora mediterranea, che con ricchezza infinita di fiori e di arbusti sempreverdi ricopre le nicchie, le fenditure e le sporgenze della roccia, mentre questa in altri punti appare tutta nuda o ricoperta di piccole incisioni a mo’ di geroglifici.

Bellissima è anche la gola di Gaudarena, lunga 7 km., nella alta Val Roja, con paesaggi svariatissimi, rocce di forme molto diverse, alte sino a 300 metri, costituite in gran parte da schisti permici verdi, rossi, violacei o grigi, e popolato da molti vegetali più o meno

meridionali, quali il castagno, il pino silvestro, vari ginepri, un acero (A. opulifolium), il sommaco (Rhus cotinus), l’edera, il fico selvatico, l’erica arborea, il cistus albidus, lo spartium junceum, l’ostria carpinifoglia, l’inula viscosa, ecc.

Tutto alpestre invece è il carattere della grande fessura di Val Negrone, lunga 14 km., tra Upega e Carnino ed i Ponti di Nava, ed accessibile soltanto per mezzo di difficili sentieri, impraticabili per chi soffre di vertigini; le sue orride rocce si alzano fino a 500 m. sopra il letto del torrente, e sul lato sud nereggiano ancora boschi popolati da lupi.

Quanto ai vertici delle valli, i meno modificati dal tempo—cioè i più giovani—

sarebbero stretti burroni, poco incisi e più o meno ripidi, come riscontrasi alla testata di molte vallette secondarie. Una forma già più sviluppata è il circo, attorniato su quattro lati da ripide ed alte pareti, dalle quali sfugge l’acqua per mezzo di una stretta spaccatura; tali circhi, d’ordinario con fondo eguale e sassoso, altre volte o ancora adesso occupato da un lago, si osservano all’estremità superiore di molte valli alpestri: i più caratteristici sono quello del vallone di Gordolasca, colla bella prateria della Fous nel fondo, e quello del Lago Brocan nel vallone della Ruina.

Non meno numerosi sono gli altipiani, spesso riempiti da laghi, coronati da erte giogaie su tre lati, mentre un dorso morenico o di rocce montoni li chiude a valle; tali sono, per esempio, i bacini terminali del vallone della Miniera, gli altipiani lacustri della Valmasca, dell’Agnel, del Lago Lungo, di Fremamorta, di Valscura e molti altri. I circhi, come gli altipiani, esistevano evidentemente già nell’epoca glaciale, che lasciò la sua varia impronta nei loro dintorni.

La Gola di Gaudarena

Disegno di A. Viglino da una fotografia di F. Mader.

Più antiche e più finite sono le valli che al loro vertice salgono con pendìo dolce verso un’insenatura della cresta, che le congiunge insensibilmente con un’altra valle, formando quasi un’interruzione della catena alpestre ed una via naturale per attraversarla; tale è il fondo della Val Stura, congiunto colla Valle dell’Ubayette per mezzo dell’altipiano della Maddalena (m. 1995), e su più piccola scala il bacino terminale del vallone di Carnino, verso il Colle dei Signori; ma è ben raro che una valle fin dal suo cominciamento raggiunga in simile modo il colmo della sua escavazione.

Sotto ai circhi od agli altipiani, le valli alpestri formano tutte una serie di scaglioni più o meno lunghi, d’ordinario con davanti una barriera di rocce montoni; strette gole o ripidi pendii con cascate congiungono questi scaglioni, al cui margine superiore si presenta spesso un pianoro ovale, antico bacino lacustre, come ve ne sono due bellissimi esempi nel vallone di Vallasco. Uno dei più estesi di tali piani è quello di Casterino, alto in media 1550 m.; lungo ben 4 chilometri e largo da 300 a 800 m.: esso costituisce certamente la più grande superficie piana del territorio di Tenda.

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