GLI INIZI
3.1 Fotografia e Alpinismo: Vittorio Sella
Proprio di luoghi inesplorati si occupa Vittorio Sella, il padre della fotografia d’alpinismo. Alla base del suo lavoro c’è, senza dubbio, la volontà di analizzare il territorio e di riprodurre in maniera fedele i luoghi scarsamente esplorati delle alte vette, ma, d’altra parte, si riconosce, in queste, una poetica ed un’attenzione estetica che evade dalla mera documentazione per sfociare in un ambito più propriamente artistico. La passione per la fotografia è di casa nella famiglia Sella; il padre, al ritorno da un suo viaggio a Parigi, dove frequenta i maggiori fotografi del tempo, pubblica nel 1856 Il plico
del fotografo[…]107, in assoluto il primo manuale tecnico di fotografia in italiano; e lo zio, Quintino, futuro ministro del regno, associa la passione per la fotografia108 a quella per
la montagna, che lo porterà a fondare il CAI (Club Alpino Italiano), nel 1863, durante l’ascensione alla vetta del Monviso ad opera dello stesso Quintino, assieme a Paolo e Giacinto di Saint-‐Robert e Giovanni Baracco.109
Vittorio Sella era un alpinista prima che un fotografo, basti pensare all’ascesa del Monte Bianco o alla scalata del Cervino del 1882110 (Foto. 71-‐73), dove non si portò dietro la
107 G.V. SELLA, il plico del fotografo ovvero Arte pratica e teorica di disegnare uomini e cose sopravetro: carta, metallo, ecc. col mezzo dell’azione della luce, Paravia, Torino 1856.
108 In una lettera al fratello Venanzio egli esprime la volontà di imparare la tecnica del dagherrotipo, per la
quale è rimasto profondamente affascinato : “avevo infatti deciso di impararla prima di tornare a casa e mi
è graditissimo di poter pigliare quest’autunno lezioni da te” (cit.) lettera presente in P.RACANICCHI, Vittorio Sella: fotografo, alpinista, esploratore, in Dal Caucaso all’Himalaya 1889-‐1909, Touring Club Italiano e Club
Alpino Italiano, Milano 1981, p. 15.
109 http://www.cai.it/index.php?id=1376.
110 G. GARIMOLDI, Fotografia e alpinismo: storie parallele, la fotografia di montagna dai pionieri all’arrampicata sportiva, con una appendice di Angelo Schwarz, Priula & Verlucca editori, Torino, 1995, p.
macchina fotografica, segno che la passione per l’alpinismo rimane al primo posto nella sua vita.
Questa grande passione non sarà un impedimento, anzi sarà uno stimolo, per la realizzazione del progetto che portò avanti con grandi sforzi e sacrifici, soprattutto a causa della scelta di utilizzare lastre con un formato 30x40, quindi molto più grandi rispetto a quelle comunemente usate (con formato 24x30) in quell’epoca.111 La
motivazione di tale scelta è chiara sin dalla prima occhiata: il grande formato, seppure molto più scomodo da trasportare, perché più ingombrante e pesante, permette di fare delle fotografie che possiedono una maggiore quantità di dettagli, ed anche la qualità della foto stessa è migliore (in fatto di nitidezza) rispetto ai formati più piccoli. Inoltre, per accentuare quella visione artistica descritta sopra, il formato quasi quadrato, rende l’immagine più simile ad una pittura piuttosto che ad una fotografia, inserendo, nel lavoro ottenuto, un’estetica che non è tanto comune nelle altre fotografie di quegli anni112. La migliore espressione di queste tecniche e il miglior lavoro, dal punto di vista
organico e di completezza, lo si trova nella raccolta dedicata alla catena del Caucaso (Foto. 74-‐75), per la quale fece tre spedizioni, e di cui ci rimangono, oltre alle fotografie di paesaggio, anche alcune dove vengono ritratti gli alpinisti della missione (ovviamente in posizione statica perché l’utilizzo di lastre al collodio presupponeva un tempo di esposizione lungo).
Perfino il famoso fotografo americano, Ansel Adams, rimase affascinato dalle fotografie di Sella, in cui riconosce una perfetta fusione fra uomo e natura propria delle prime fotografie dell’Ottocento (anche americane):
Sella non ci ha descritto solo i fatti e le forme di splendori irraggiungibili del mondo, ma ci ha dato l’essenza dell’esperienza che trova un responso nei recessi interiori della nostra mente e del nostro cuore (cit.)113
L’era del collodio determina la fine della sottomissione della fotografia alla sfera di solo sostegno per le arti tradizionali, contribuendo a creare una netta divisione fra coloro che ricercano le competenze tecniche e coloro i quali, invece, ricercano quelle più creative.
111 Ibidem. 112 Ivi, p. 81.
L’Italia di questi ultimi anni dell’Ottocento è caratterizzata da una situazione politica e sociale estremamente disgregata. La nuova invenzione fotografica compare e si diffonde nel momento in cui il nostro paese era alle prese con i tentativi di unificare un territorio che, da Nord a Sud, presentava delle grosse problematiche derivanti, sia da una cultura sociale molto diversa, sia dal divario di ricchezze (in termini di sfruttamento e produttività del territorio ma anche e, soprattutto, fra classi abbienti e popolo).
Fin qui la pratica della disciplina sportiva non entra nell’ambito della fotografia se non in alcune immagini, rigorosamente statiche e con i soggetti in posa, che si limitano a ritrarre l’accenno di un movimento, come si può vedere da una fotografia di Calo Wulz,
Ritratto di un giovane ginnasta (Foto. 76), nella quale, il soggetto e la composizione sono
trattate alla stessa maniera dei suoi, sicuramente più famosi, ritratti. Egli aderì al pittoricismo nel momento in cui, a seguito dell’invettiva lanciata da Boudelaire al Salons del 1859, anche in Italia cominciarono ad affiancarsi ai fotografi professionisti, che lavoravano negli atelier, i fotografi amatori che non risentivano delle regole imposte ai primi in fatto di nitidezza dei particolari o di completezza della panoramica, ma che lavoravano utilizzando molto spesso il flou (lo sfuocato) il viraggio cromatico, o l’accentuazione del ritocco.