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Fra i Tre Capitoli e il monoteletismo Un’ipotesi sull’origine del lessico cristologico di Onorio I.

Nel documento Issue 12, “Eraclio 610-641” (pagine 65-67)

DEL PERIODO di Vito Sibilio

5. Fra i Tre Capitoli e il monoteletismo Un’ipotesi sull’origine del lessico cristologico di Onorio I.

Il cuore del dibattito storico-teologico sulla cristologia monotelita è senz’altro la posizione di Onorio I, che – come abbiamo visto – invece di stroncare sul nascere la nuova dottrina, corroborando la posizione di Sofronio, andò ad alimentare la deviazione interpretativa fattane da Sergio, fornendole quindi autorevolezza e legittimazione indiretta e inconsapevole. Generalmente ci si attiene all’ipotesi del papa incauto, come ho fatto anch’io, considerandolo come una sorta di apprendista stregone che evoca forze teologiche che non riesce a tenere a bada con la sua terminologia dilettantesca. Ma l’appoggio morale di cui poté godere da parte di Massimo il Confessore – per nulla scontato a quei tempi, essendo il Dottore un orientale – induce a credere che la sua teologia, anche se insufficientemente meditata, potesse avere delle fonti autorevoli che lo stesso Massimo non poteva ignorare, visto che, in un certo senso, potevano mettere capo alla sua stessa cristologia. Nella fattispecie, è mia personale convinzione che il background teologico di papa Onorio I sia stato segnato dal maggior teologo romano dell’epoca, nemico

148 Cfr. CORSI P., Bisanzio e il Mezzogiorno d’Italia. Ricerche e problemi, Bari 1999; IDEM, Ai confini dell’impero.

Bisanzio e la Puglia dal VI all’XI sec., Bari 2002. Una parziale trattazione avevo fatto su questo scampolo di storia dei

papi in SIBILIO V., I papi meridionali d’Oriente dell’alto medioevo, tesi di perfezionamento, 1998.

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giurato del II costantinopolitano: Rustico, nipote di papa Vigilio e da lui deposto dal diaconato e scomunicato. Sebbene ascritto ad una fazione teologica di cui Onorio fu implacabile nemico, questo autore, vissuto poi a Costantinopoli nel monastero degli Acemeti per sfuggire alle persecuzioni antitricapitoline, dove redasse la raccolta latina dei canoni del concilio di Efeso, un’opera perduta sulle Definizioni e una Disputatio contra

Acephalos, che ci riguardano da vicino, in cui ripropone i

variegati colloqui teologici avuti da lui a Bisanzio, ad Alessandria e ad Antinoe della Tebaide. Tale multiforme attività non rimase certo sconosciuta o poco diffusa.

Rustico ha elaborato una dottrina teologica della Persona e delle nature che, di fatto, prelude – senza giustificarli – agli equivoci terminologici del papa. In questo caso Onorio non avrebbe avuto una povertà o imprecisione lessicale, ma avrebbe utilizzato impropriamente certi concetti rusticiani. Il nostro argomenta affermando anzitutto che una Persona o ipostasi è una sussistenza individuale razionale e non una sostanza individuale razionale, come aveva sostenuto Boezio. In ragione di ciò, essa è un soggetto, anche operante e volente, evidentemente dotato di una natura sostanziale. Ora, il Verbo è la seconda Persona o ipostasi della Trinità, ossia è una delle tre sussistenze individuali della unica e medesima sostanza razionale di Dio. In altri termini, Dio è per natura costituito da tre Persone e da una sostanza. La sussistenza razionale del Verbo è unita alla sua sostanza, per cui l’una e l’altra sono divine. La Persona divina è dunque soggetto della sua sostanza e sarebbe rimasta tale anche senza incarnarsi, in quanto non è proprio della natura divina, né della Persona del Verbo, dover divenire umana. Ma, siccome il Figlio ha scelto di farsi uomo, allora la sua Persona, rimanendo evidentemente divina – e quindi rimanendo una sussistenza e un soggetto divini – è divenuta pure umana, aggiungendo questa natura alla sua ipostasi. Tale natura umana ha dunque sempre come soggetto la Persona divina e sussiste in essa. Rustico non esita a dire che la Persona divina si serve della natura umana per

operare. Ossia Rustico, nel suo aristotelismo, fa della natura

divina una sorta di forma della natura umana, assimilata alla funzione che svolge la materia nel sinolo. Facendo della natura umana e delle sue proprietà – implicitamente quindi anche della sua energia e volontà – uno strumento della Persona divina, mediante una completa subordinazione dell’umanità alla divinità, Rustico ha preparato l’idea di Onorio I, secondo cui la volontà umana fu subordinata perfettamente a quella divina; in questo senso, l’unità di volizione e operazione insegnate dal papa sono ancor più comprensibili nell’ottica di un uso, da parte della Persona divina, delle proprietà della natura umana. Onorio avrebbe dunque maldestramente predicato un’unità di volizione in senso operativo, proprio sulla scorta dell’idea di Persona in Rustico. La difesa fattane da Massimo il Confessore, che certo conosceva Rustico (le cui opere circolavano nella Byzacena, roccaforte non solo dei dioteliti, ma anche, significativamente,

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dei fautori dei Tre Capitoli), e che ricalca questo schema – che è appunto dello stesso Massimo, anche se in lui è perfezionato – sarebbe, come dicevo all’inizio, una prova di rincalzo. L’isolamento di Rustico nel commonwealth dei teologi dell’impero, dovuto alla sua posizione filotricapitolina, oltre che la marginalizzazione della trattatistica latina in seno al dibattito cristologico bizantino, giustificherebbe il fatto che la relazione tra lui, Massimo e Onorio, sia rimasta in ombra. Papa Onorio, che si adoperò per la soluzione della crisi tricapitolina, difficilmente poteva non conoscere la produzione polemica che l’aveva accompagnata, per cui poteva benissimo utilizzarla – senza citarla per ovvie ragioni – almeno in quegli aspetti chiaramente ortodossi, magari in vista di un superamento generale – sia in Oriente che in Occidente – della controversia cristologica, attraverso una formula che potesse soddisfare sia i monofisiti che i calcedonesi radicali. Tale progetto non sarebbe stato tanto estraneo alla mentalità dell’epoca (si pensi a Giustiniano e allo stesso Eraclio) e poteva essere perseguito solo da un papa, visto che lo scisma tricapitolino travagliava essenzialmente l’Italia. La stessa difesa postuma di Onorio, fatta da Giovanni IV, ricalca lo schema rusticiano della Persona divina che opera attraverso le due nature, delle quali l’umana è ovviamente libera dalle conseguenze del peccato originale, che non ha commesso in Adamo, e quindi atta, nella sua integrità, a servire pienamente il volere della natura divina, pur avendone uno proprio. Infine, quando Leone II difese la memoria del predecessore, il comprensivo linguaggio adoperato sia in Oriente – dove sussisteva il retaggio di Massimo il Confessore e la sua difesa del papa defunto – sia in Occidente – dove si conservava l’eredità di Rustico – si comprende non solo per la volontà pontificia di non macchiare il primato petrino, ma anche con la consapevolezza che gli interlocutori potessero comprendere questi distinguo teologici perché forniti di un background intellettuale, che era lo stesso delle controverse lettere dell’illustre scomparso. Una precomprensione tanto più necessaria, se consideriamo la gelosia con cui le Chiese romano- barbariche custodivano la propria autonomia e originalità teologica (cosa di cui abbiamo avuto prova parlando di Giuliano di Toledo). Così le due più grandi controversie dell’epoca, quella sui Tre Capitoli e quella monotelita, sarebbero collegate, peraltro in modo inaspettato, ma non sorprendente.150

6. L’orlo estremo della dinastia di Eraclio: Giustiniano II e il

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