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Gli anni in cui Pedro de León svolse la sua attività missionaria furono caratterizzati da una progressiva intolleranza nei confronti dei moriscos. Questi costituivano una minoranza etnica e religiosa di origine islamica che, agli inizi del cinquecento, fu obbligata a convertirsi al cristianesimo. Le conversioni di massa si rivelarono però inefficaci, poiché molti continuavano a praticare i loro riti religiosi in segreto. Per impedire ciò, nel 1567 furono stabilite severe misure restrittive che imponevano l’abbandono della lingua e degli usi e costumi islamici. I più piccoli avrebbero dovuto essere educati da sacerdoti alla religione cattolica.

I nuovi decreti avevano aggravato la già precaria situazione di tale minoranza. Così, nel 1568 i moriscos di Granada decisero di ribellarsi al sovrano spagnolo. La rivolta fu domata solo nel 1571, e in quell’anno essi furono deportati in diverse parti della Spagna, tra cui anche l’Andalusia occidentale.

Sin dagli inizi della sua carriera di gesuita, Pedro de León ebbe dunque modo di constatare i problemi che la convivenza con i moriscos poneva alla società cristiana, nonché di osservare i loro usi e costumi.

Come sappiamo, proprio uno dei suoi maestri, il padre Albotodo, era di origini morische. Costui, dopo essersi convertito al cristianesimo, era entrato a far parte dell’ordine gesuita, divenendone un esponente di punta. Inoltre, nonostante le difficoltà incontrate a causa della sua ascendenza, riuscì a far apprezzare la propria personalità, guadagnandosi la fiducia dell’arcivescovo di Granada, don Pedro Guerrero, del quale era stato collaboratore, specie per quanto riguardava le relazioni con i moriscos. La sua conversione costituiva un esempio significativo, perché dimostrava che non tutti erano stati obbligati a convertirsi, ma c’era anche chi, come Albotodo, era disposto ad accogliere la dottrina cattolica in modo profondo e sincero. Infatti, grazie al costante impegno religioso che egli aveva dimostrato nel corso della sua carriera, fu elogiato e paragonato da Pedro de León ad una rosa tra le spine:

“A este grande obrero sucedió otro tal, que fue el Padre Juan de Albotodo, de los naturales del reino de Granada, verdaderamente hijo de la Compañía y de quien con mucha razón tiene de qué

honrarse, porque aunque de casta de moriscos fue rosa entre espinas y estimado de todos los caballeros y titulados de Granada y de Sevilla; y en esta ciudad floreció muchos años, y se ejercitó en este santo ministerio con gran fama”211.

Possiamo scorgere in tale affermazione il tentativo del padre de León di mettere in evidenza il buon esempio che derivava dalle azioni del maestro, in radicale contrasto con la falsità e l’immoralità comunemente attribuita alla maggior parte della minoranza morisca. I moriscos, dunque, non sempre erano persone da evitare e di cui diffidare, ma tra di loro potevano esserci individui apprezzabili. Proprio per questo, il gesuita, riteneva che non si dovesse fare di tutta l’erba un fascio perché, come dimostrava l’esempio di Albotodo, le spine non costituivano un impedimento per le rose che riuscivano comunque a sbocciare212. In mezzo alla

massa indistinta dei moriscos, Albotodo aveva saputo dimostrare le sue capacità e la sua eccezionalità.

Non bisogna, però, sottovalutare l’affermazione del gesuita, che all’epoca non era poi così scontata, poiché l’opinione negativa indiscriminata dei cristianos viejos allora era di gran lunga prevalente. È importante sottolineare, quindi, l’influenza che l’esempio di Albotodo aveva esercitato su Pedro de León, grazie al quale aveva iniziato ad osservare attentamente una realtà umana completamente diversa dalla sua, non esitando a riconoscere i meriti di alcuni dei suoi esponenti.

In un primo momento, il suo atteggiamento non era privo di ambiguità. Infatti, in lui sembravano agire due diverse impostazioni: quella del cristiano vecchio che, come i suoi omologhi, si mostrava intransigente nei confronti dei moriscos e delle eresie di cui erano colpevoli, e quella del sacerdote cristiano comunque disposto a capire e, talvolta, a riconoscere i loro meriti.

I vecchi cristiani diffidavano dei moriscos perché, secondo loro, non si erano mai integrati e avevano sempre cercato di mantenere le proprie tradizioni, anche dopo che erano stati eseguiti i battesimi di massa. Essi, inoltre, tendevano a relegarli agli strati più umili della gerarchia sociale tentando di escluderli da qualsiasi attività lavorativa che non fosse l’agricoltura o l’artigianato. Come se non bastasse, la

limpieza de sangre, tanto cara ai cristianos viejos, impediva loro, salvo eccezioni,

                                                                                                                         

211 Cit. da Pedro de León, Grandeza y miseria…, pag. 198.

l’accesso alle cariche dell’amministrazione statale e cittadina. Simili discriminazioni li rilegavano ai margini di quella società al cui sostentamento contribuivano in misura non trascurabile.

L’opinione prevalente, però, non impedì al gesuita di osservare i fatti con occhio critico, riconoscendo sia i pregi che i difetti dei moriscos. Analizzando, così, le varie fasi del percorso da lui intrapreso, possiamo notare come il suo giudizio col tempo si fosse sensibilmente modificato.

L’approccio iniziale era stato conforme a quello più diffuso fra i cristianos

viejos per la sua avversione a taluni comportamenti e credenze che si

contrapponevano radicalmente alla religione cattolica. Così, Pedro de León fu particolarmente colpito da ciò che un giudice aveva affermato riguardo a un gruppo di moriscos che avevano accettato di collaborare con un criminale poi condannato a morte:

“El alcalde me dijo varias veces que si como hizo este hombre el concierto con dieciséis o dieciocho moriscos en tres cuadrillas lo hiciera con dieciséis mil, ninguno dijera de no. Tanto era el odio que tenían a los cristianos viejos y las ganas de quitarles las vidas y las haciendas”213.

Queste parole riflettevano una convinzione molto comune fra i cristianos

viejos: la maggior parte della minoranza di origine islamica provava per loro odio e

avversione. Da simili sentimenti, come vedremo, si erano poi sviluppati numerosi falsi stereotipi che avrebbero contribuito a motivare l’editto di espulsione: ma, come già ho ricordato, simili sentimenti nel gesuita non erano destinati a permanere immutabili o, quanto meno, non del tutto.

Un primo mutamento si ebbe quando nel 1590 egli fu incaricato dai superiori dell’ordine di dirigersi nelle Alpujarras, i territori dove aveva avuto luogo la sollevazione morisca la sera di Natale del 1568 e che erano stati poi ripopolati da

“una gente medio forajida y de mal vivir, gentes que no las habían podido sufrir en sus tierras, adonde habían nacido, matadores, facinerosos y de fieras e incultas costumbre, que ni tenían en sus tierras viñas, ni hacer en compañía, ni llovía Dios sobre palmo de tierra suyo, holgazanes y de mala mañas, que no dejaban aún madurar los frutos de sus vecinos, porque en agraz se los hurtaban y había hombres que decían: yo cavé mi viña, y la podé y beneficié

                                                                                                                         

y cuando la fui a ver cómo estaba la hallé toda vendimiada, que ni aun rebusca cogí de ella”214.

Dopo aver elencato le caratteristiche dei nuovi abitanti delle Alpujarras, che si distinguevano soprattutto per la pigrizia e l’immoralità, Pedro de León mise in risalto le qualità dei moriscos, di cui era venuto a conoscenza attraverso il racconto dei contadini originari di quei luoghi. Questi glieli avevano descritti come lavoratori onesti e instancabili, a differenza dei vecchi cristiani a cui, dopo la deportazione, erano state assegnate le loro terre:

“…éstos morían de hambre con lo que diez moriscos estaban ricos. Y la causa de esto era porque no trabajaban como ellos que aún eran de mucho trabajar, el hacer esto con continuación sin faltar día y como ellos solían decir; no prisa, prisa, unos días y otros holgar, sino: [52v] cuando salir por allí el sol dará mi en la cara saliendo de mi casa para el campo, y cuando venir de allá dará mi en el colodrillo, y no como los cristianos viejos que trabajan a avenadas”215.

Le missioni svolte a Granada costituirono così per il gesuita un evento decisivo. Il contatto diretto con gli ex compaesani dei moriscos lo aiutò a capire che essi erano tutt’altro che immorali e inaffidabili. Pedro de León da quel momento si convinse della loro grande laboriosità e della loro moralità, che li rendevano ben diversi dai repobladores provenienti dalla Galizia che, molto spesso, lavoravano se e quando ne avevano voglia.

È evidente, quindi, che non sempre prevalse in lui l’atteggiamento intollerante tipico della maggior parte degli spagnoli dell’epoca: egli era disposto a riconoscere i loro meriti. Tale disponibilità derivava dall’importanza che Pedro de León attribuiva alla verità, anche se a volte questa poteva apparire scomoda come la superiorità morale dei moriscos sui vecchi cristiani. Egli non si limitava a pronunciare elogi a favore dei primi e critiche nei confronti dei secondi, ma assumeva apertamente le difese di chi riteneva migliore. Che un gesuita agisse in questo modo non era poi così scontato all’epoca, soprattutto se si trattava d’individui così fortemente discriminati. La sua scelta di difendere la minoranza islamica, infatti, era dettata innanzi tutto dal

                                                                                                                          214 Ibid. pag. 104.

rispetto della verità a cui, sin dal prologo, aveva promesso di attenersi, nonostante le conseguenze spiacevoli che ciò avrebbe potuto comportare.

Le precedenti affermazioni sembrano attestare quanto gli autoctoni preferissero i laboriosi moriscos e rimpiangessero i vecchi tempi andati: i nuovi abitanti non erano solo dei vagabondi, ma rubavano e bevevano troppo vino, provocando loro non pochi danni. I moriscos non avevano solo fornito una dimostrazione della loro particolare dedizione al pesante lavoro dell’agricoltura, ma anche della loro capacità di costruire la tranquilla convivenza che si era instaurata tra essi e gli abitanti del luogo prima dell’insurrezione del 1568. Infatti, nessuno di questi si era lamentato o li aveva criticati.

Anche nel marchesato di Cenete, nel territorio di Granada, i contadini non avevano una buona opinione degli abitanti che avevano preso il posto dei moriscos, di cui invece veniva elogiata la grande onestà:

“… pues en lo moral no les faltaba a los moriscos casi nada, porque lo uno ellos eran fieles, que no tomarían ni una castaña de su vecino por todo el mundo…”216.

La lealtà e l’onestà dei moriscos erano tali che paradossalmente essi costituivano un esempio da seguire per molti cristiani. Erano addirittura migliori di questi ultimi perché non negavano mai il proprio aiuto in caso di bisogno, prodigandosi in opere di misericordia e carità verso il prossimo:

“Pues en lo que es ser misericordiosos y compasivos, es cosa de

admiración cómo se compadecían de los menesterosos y necesitados, saliendo por los caminos con la caldera de las gachas y el pan para darles a los que venían hambrientos; y así no se veían entre ellos demandadores pordioseros. Y si enviudaba la otra que era su vecina, le decía el vecino morisco: Señora, aquí estar yo que hacer los mandatos; y les llevaban el pan al horno y les traían de la plaza lo que habían menester”. 217

I moriscos, dunque, si differenziavano dai vecchi cristiani anche per il loro modo di concepire la vita, il lavoro e il prossimo. Non a caso, lo stesso Pedro de León affermava: “Pues todo lo contrario tienen nuestros cristianos pobladores de

estos lugares218”. A suo avviso, infatti, ciò che mancava ai nuovi abitanti erano

                                                                                                                          216 Ibid. pag. 118.

217 Ibid. pag. 118. 218 Ibid. pag. 119.

proprio quelle doti per cui i moriscos venivano elogiati. Tuttavia, la religione costituiva il loro limite più grande. Infatti, Pedro de León riteneva che i repobladores avrebbero dovuto prendere esempio dalle abitudini dei moriscos che, a loro volta, avrebbero dovuto avere la stessa fede dei cristianos viejos. Infatti, le qualità positive che possedevano i primi erano assenti nei secondi, mentre la fede di quest’ultimi era un elemento discriminante che i primi non possedevano. Secondo Pedro de León, dello stesso parere era una personalità di spicco come l’Arcivescovo di Granada, don Pedro Guerrero, il quale aveva dedicato ai moriscos le seguenti parole:

“Dadnos de vuestras costumbres y tomad de nuestra fe, porque a

vosotros no os falta más que ésta y a nosotros no nos falta más que vuestras buenas costumbres para que nosotros y vosotros fuésemos santos”219.

Il gesuita, però, aveva commesso un errore: tali affermazioni appartenevano al padre Hernando de Talavera e non all’Arcivescovo Guerrero. Si trattava, forse, di un tentativo del padre de León di evitare possibili censure per la condivisione delle convinzioni di un religioso che a suo tempo era stato condannato dall’Inquisizione220.

Ciò che veniva rimproverato ai moriscos era anche uno stile di vita diverso da quello della maggioranza degli spagnoli. Ma alcune di tali peculiarità, nella Spagna del ‘500, contribuivano notevolmente alla prosperità economica del paese.

Il padre de León ricordava, infatti, che essi erano soliti accontentarsi di poco cibo, contrariamente alle accuse d’ingordigia a loro rivolte dai cristiani, e di abiti di scarsa qualità. Essi non davano importanza al superfluo, e proprio per questo erano ricchi:

“En la templanza también hacían grandes ventajas a nuestros cristianos viejos, contentándose con muy poca comida y así vivían muchos años y muy sanos; y en los vestidos siempre de una manera , no con invenciones ni trajes costosos; y así estaban ricos y sus casas llenas y atestadas de todo lo necesario”221.

Così il duro lavoro e l’impegno costante avevano procurato ad alcuni moriscos cospicue ricchezze, oggetto dell’invidia di molti. Tra questi, occorre ricordare él que

se hizo inquisidor de España y que se fue con toda su gente a la ciudad de Ecija,

                                                                                                                          219 Ibid. pag. 119.

220 A proposito di questa apparente confusione cfr. M. Olivari, Avisos, pasquines y rumores, Madrid, 2014, pag. 375.

adónde halló a un morisco muy rico, que es, lo que él andaba a buscar para meter las manos en su hacienda y bienes, secretándoselos todos…222”. Quest’uomo si era

fatto passare per un inquisitore, agli occhi di uno dei più facoltosi moriscos della città, impossessandosi sia delle sue terre che dei suoi soldi. Non contento, aveva usato il suo potere fittizio per fare rinchiudere in cella l’innocente, e il denaro estorto per mettere a tacere coloro che avrebbero avuto da ridire su un’incarcerazione ingiustificata come questa. Il prigioniero, però, conscio della sua innocenza e dell’ingiustizia da lui subita, riuscì ad informare gli inquisitori veri invocando tutti gli accertamenti che il caso richiedeva, affermando di essere sempre stato “un buen

cristiano y temeroso de Dios”223.

I veri inquisitori, così, si resero conto che nessun membro del tribunale aveva visitato il paese dell’imputato e che l’autore dell’arresto era dunque un falsario che aveva compiuto gli stessi soprusi anche in altre città della zona. Dopo svariate ricerche, il vero colpevole, che si era rifugiato nelle Indie Occidentali insieme ai suoi complici, fu ricondotto a Siviglia per essere incarcerato e sottoposto ad una severa punizione. I falsi inquisitori non badavano a spese nemmeno in carcere, e in pochi giorni avevano dissipato una quantità notevole di denaro, in cibi e in abiti:

“…en pocos días se les acabó lo que traían y como estaban acostumbrados a gastar largo y comer y beber como unos príncipes, y echar un vestido y otro, un terno hoy y otro mañana (como suelen decir ellos), parecióles que era fuerza usar de sus buenas habilidades y trazas para sacar dineros: que quien malas mañas ha, tarde o nunca las perderá”224.

Emerge dalle parole del gesuita una chiara analogia tra le caratteristiche di questi impostori e quelle dei repobladores cristianos viejos del regno di Granada. Come abbiamo visto, essi erano caratterizzati da una forte propensione al furto e a vivere a spese del loro prossimo. Una simile condotta era da lui ritenuta non consona a coloro che si professavano veri cristiani. È dunque evidente la presa di distanza del padre de León dall’atteggiamento di chi accusava i moriscos di essere ladri e ingordi: non era certo tra loro che quei difetti si manifestavano più di frequente. Era come se egli invitasse i cristiani vecchi a rendersi conto delle proprie mancanze prima di

                                                                                                                          222 Ibid. pag. 354.

223 Ibid. pag. 355. 224 Ibid. pag. 355.

giudicare i connazionali di origine islamica perché questo, a suo avviso, sarebbe stato un passo importante verso una pacifica convivenza.

Dalla ricostruzione di Pedro de León emergeva la sua viva compassione per una minoranza che in diverse località non dava luogo a particolari problemi di convivenza. La vittima dei falsi inquisitori, infatti, era un uomo che passava i suoi giorni lavorando e che, di punto in bianco, si era visto togliere tutto, persino la libertà. I moriscos dunque erano spesso sottoposti a numerose vessazioni senza alcun valido motivo. In una simile situazione, il gesuita era pronto a denunciare gli abusi che i cristianos viejos compivano a danno di questa minoranza, e che lui disapprovava totalmente.

Nel corso delle missioni rurali, Pedro de León giunse anche nel paese di Chite, dove tutti erano a conoscenza della relazione amorosa che un hidalgo intratteneva da ventiquattro anni con una schiava morisca, dalla quale aveva avuto anche dei figli. Il gesuita fu ospitato proprio nella casa del nobile che, dopo aver ascoltato alcune delle sue prediche, gli chiese consiglio per uscire da quella situazione peccaminosa. Le possibilità suggeritegli dal padre de León erano due: cacciare la donna o sposarla, in modo da legittimare la loro relazione. Il nobile era più propenso al matrimonio, anche per l’amore che egli provava per i figli. Data l’ascendenza della ragazza, temeva la reazione della famiglia: era una schiava e apparteneva ad una minoranza che i cristiani vecchi ritenevano ostile e infida. Nonostante tali difficoltà, il nobile chiese a Pedro de León di ottenere dall’arcivescovo di Granada il permesso di celebrare le nozze in gran segreto.

È interessante constatare come, dopo che tanti ostacoli erano stati superati, la giovane manifestasse la propria perplessità perché, secondo lei, una schiava non avrebbe mai potuto diventare una signora: “no era razón que la que había sido

esclava fuese ahora señora225”. Forse ella non era interessata al matrimonio e

avrebbe preferito continuare la sua relazione illegittima con il nobile, magari per timore di essere rimproverata dai sui omologhi, che avrebbero probabilmente interpretato la sua unione con l’aristocratico cristiano come un ripudio delle sue origini. Ella, dunque, non voleva rinunciare alla propria condizione contrariamente a quanto avrebbero fatto molte donne spagnole, desiderose di elevarsi socialmente,

                                                                                                                          225 Ibid. pag. 112.

come ad esempio le figlie dei mercanti226. Un simile comportamento smentiva, ancora una volta, il giudizio sbagliato dei cristiani che non riuscivano a vedere nei

moriscos nessun aspetto positivo. In questo caso, però, il gesuita non dedicava alcuna

attenzione alla personalità della donna o alle ragioni del suo comportamento. Ciò che egli non poteva accettare era la relazione immorale che i due intrattenevano da diversi anni, a causa della quale aveva più volte rimproverato il nobile, cercando di farlo ravvedere. Colpisce, infine, l’indifferenza di Pedro de León di fronte al radicale divario fra il rango sociale dei due, che non gli impedì di farsi fautore del loro matrimonio.

Nelle carceri sivigliane non mancavano criminali e delinquenti di origine morisca a cui il gesuita aveva assicurato l’assistenza spirituale sul patibolo. Infatti, nella lista dei condannati a morte da lui stilata non sono pochi i giustiziati appartenenti alla minoranza di origine islamica227. Le sue annotazioni spesso indicano solo il nome del condannato e il crimine commesso. A volte, esse sono seguite da commenti del tipo “murió con mucha muestra de su salvación228”, “murió como muy buen cristiano que no es poco para morisco229”. Tali affermazioni

sono significative perché, nonostante l’evidente avversione per il cripto islamismo frequente fra i moriscos, il padre de León, probabilmente coinvolto dall’emotività