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di Franca D'Agostini

al di fuori della Germania; d) un ampio capitolo (87 pagine) dedica-to alla scuola marginalista austria-ca (Menger, von Mises, von Hayek), di Antiseri. Da segnalare in ultimo il capitolo sul percorso (fino agli esiti più recenti) di Karl Otto Apel, un autore dallo stile

di indiscutibile rilievo (anche) filo-sofico? All'opposto, Vattimo (su "Tuttolibri") ha notato che forse ci si è spinti troppo oltre, che mol-te parti del mol-testo potrebbero essere utilmente espunte, che per esem-pio il capitolo di Antiseri sul Ra-zionalismo pancritico di W. W.

Bar-(all'opposto: ampliamenti indebiti e omissioni preterintenzionali pos-sono essere spacciate per decisioni epistemologiche comunque legitti-me).

Due casi opposti documentano questo tipo di difficoltà storiogra-fica: Filosofi del XX secolo, a cura

mettere paura, anche se non si può presenta-re come un'alternativa cpresenta-redibile. Sendero ri-f l e t t e la nuova ari-fri-flizione della Latinamerica:

l'angosciosa povertà delle immense cinture di disperazione che circondano le sue città".

Lo "scoppio sociale incombe sul destino di questi paesi; diventa quasi inevitabile, se non in tutte le parti, in alcune; se non immedia-tamente, in qualche momento". Per Castarie-da l'insurrezione zapatista nel Chiapas non è nulla più che una sorta di "riformismo arma-to" che vuole portare tutto il Messico, incap-sulato da oltre sessant'anni in quella che il romanziere peruviano Mario Vargas Llosa ha definito "la dittatura perfetta" del Partido re-volucionario institucional, a una democrazia funzionante e a elezioni davvero libere e

one-ste: obiettivi classicamente riformisti. Le prime righe di La utopia desarmada so-no secche e — per il momento — incontro-vertibili: "La guerra fredda è finita e il blocco socialista è crollato. Gli Stati Uniti e il capita-lismo hanno trionfato. E forse in nessun'altra parte questo trionfo si è avvertito così chiaro e netto come in America latina... L'impegno statunitense nel combattere una sinistra atti-va, influente e minacciosa è terminato con un successo indiscutibile: la sinistra è stata sconfitta senza quartiere e senza clemenza". Dopo l'avvincente esercizio della memoria storica su grandezza e miserie della sinistra latino-americana, Castaneda giunge a una conclusione che richiama quella di Norberto Bobbio: la sinistra è sopravvissuta al massa-cro fisico-politico "perché la fine della guerra fredda e la caduta del socialismo non hanno sradicato le cause della sua irruzione sulla scena politica e sociale". Nonostante i succes-si macroeconomici (ma attenzione al crack

fi-nanziario di Natale in Messico) anche la nuo-va destra di democrazia liheral-liherista ha fallito: in America latina l'economia, forse,

va meglio, ma i latino-americani, con le debi-te eccezioni, stanno peggio.

Gli spazi che si aprono per una "sinistra la-tino-americana rinnovata" in una società ci-vile dinamizzata dalla crisi sono a suo parere enormi. Di questa sinistra d i f f u s a e trasversa-le fanno parte un'infinità di soggetti sociali e politici: le associazioni urbane, le comunità

ecclesiali di base, gli ambientalisti, i movi-menti delle donne, le attività politiche a li-vello municipale, le organizzazioni non go-vernative, ecc. La proposta di Castaneda, che è un liberal, è quella del "male minore" (spetto ai disastri del neoliberalismo e ai ri-schi della violenza incombente): un "riformi-smo radicale", fondato su un nuovo patto so-ciale, che coinvolga "almeno i due terzi della società", fra i ceti produttivi (sindacati dei la-voratori, classi medie, "almeno una parte" del padronato) e che non continui a esclude-re le immense sacche ribollenti dei "poveri marginalizzati" delle metropoli e delle cam-pagne. Il tutto condito dal rilancio di uno sta-to sociale onessta-to ed e f f i c i e n t e , presente nell'organizzazione dell'economia e nella re-distribuzione della ricchezza (soprattutto at-traverso la riforma fiscale); e sostenuto da elezioni vere che consentano l'alternanza.

Una proposta definibile in senso lato di stampo socialdemocratico e che pecca di un certo ottimismo nella sua "radicalità" mode-rata, rivolta com'è ad apparati statali fra i più corrotti e i n e f f i c i e n t i , a un padronato fra ipiù selvaggi e ottusi e anche, inevitabilmente, a strappare l'essenziale e improbabile "consen-so di Washington" dove l'equazione libero-scambio-uguale-democrazia è ancora van-gelo.

complesso, che è difficile affronta-re senza strumenti introduttivi e opportuni incoraggiamenti.

Il gioco, come è ovvio, può esse-re infinito: non si è mai adeguata-mente esaustivi, e anche per que-sto secondo tomo sono state se-gnalate omissioni di rilievo. Perché nessun accenno al pensiero tragi-co? si è domandato Givone su "Repubblica". Perché diffondersi su Menger e von Hayek (l'obiezio-ne è di Vozza, sul "Piccolo" di Trieste) e non una parola su Sraf-fa? Possiamo aggiungere: perché non si parla di un pensatore inte-ressante, "analitico", ma con sen-sibilità "hegeliane" (fatto piutto-sto raro), come Nicholas Rescher? Perché nessun accenno ad Alonzo Church, uno dei pionieri della ricorsività, teorico del "plausibile -non dimostrabile" e della possibile (non dimostrata) identificazione di "computabile" e "ricorsivo": tesi

tley III poteva più equilibratamen-te ridursi a paragrafo.

La questione quantitativa (quan-ti nomi, quante fon(quan-ti, quanta lette-ratura critica citare...) è certamen-te essenziale, in questo genere di opere. Lo storico della filosofia contemporanea, oltre a non di-sporre di un'opportuna Zeitenab-stand ("tutti conoscono l'impoten-za del nostro giudizio quando non ci sia la distanza temporale a for-nirci di criteri sicuri", dice H.G. Gadamer nella seconda parte di Verità e metodo), deve fronteggia-re l'evento post-hegeliano della fi-ne della filosofia (realizzata fi-nella prassi, smembrata nelle scienze umane e nella logica matematica, "compiuta" nella tecnica). Ogni ampliamento di prospettiva, ogni omissione, tendono facilmente a tradursi in una presa di posizione epistemologica, su compiti, limiti, definizione e statuto della filosofia

di C.P. Bertels e E. Petersma (trad. it. Armando, 1980), che obbeden-do a un presunto rigore disciplina-re riduce il pensiero contempora-neo a quattro "tendenze" fonda-mentali (filosofia del linguaggio, fenomenologia e filosofia dell'esi-stenza, neomarxismo, strutturali-smo) per una ventina di nomi in tutto; la grande raccolta di ritratti Novecento filosofico e scientifico, curata da A. Negri (Marzorati, 1991), che in base a un'idea am-pliata di storiografia filosofica, ai confini della storia delle idee o del-la cultura, include o cita, accanto ai filosofi e agli scienziati, un con-gruo numero di artisti, letterati, musicisti.

Sullo sfondo del lavoro di For-nero, Antiseri, Restaino si avverte, ovviamente, l'incerta autocompren-sione della filosofia in questo

seco-Giovanni ARIANO

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