A L B U M B I A N C O DIARI MUSICALI 1965-2011 pp. 321, €19,50, Il Saggiatore, Milano 2011
E
un libro che fin dal titolo ri-manda a un mondo che non c'è più, questo Album bianco di Franco Fabbri. Al passato, infat-ti, appartengono ormai non solo i Beatles e il loro straordinarioWhite album (1968), ma proprio
l'album in sé: sia come album fo-tografico ("Un album di fotogra-fie... ma senza le fotografie", si leggeva nella pagina iniziale del-la prima edizione, apparsa nel 2001), sia come album musicale ("Un disco con la copertina che si apre, e dentro si vede e si leg-ge"). Oggi, nell'era di Facebook e delle foto digitali, dei down-load e delle playlist,
l'i-dea stessa di album tende a diventare un ricordo. Tanto che, quando racconta l'e-mozione del primo 33 giri pubblicato dai suoi Stormy Six, Fab-bri scrive: "Un lp è una cosa che odora di carta e d'inchiostro, come un libro". ("In quei colori / io vedrò il
dolce tuo viso / ed ancora tu sa-rai davanti a me / io cerco il tuo amore / è un fiore perduto per sempre", Fiori per sempre, 1969). Tra quel primo disco e le canzoni ascoltate dall'iPod subi-to dopo aver subisubi-to un'operazio-ne a cuore aperto passano meno di cinquant'anni, ma nel frat-tempo il mondo della musica è diventato un altro, e anche il mondo che sta fuori.
Questi Diari musicali
1965-2011 raccontano in prima
perso-na la trasformazione del Suono
in cui viviamo (titolo di un altro
bel libro di Fabbri) rievocando non solo gli accordi, gli strumen-ti, le canzoni, ma anche facce, luoghi, odori, nomi, atmosfere, parole. Nel racconto appassio-nato e ironico di questi anni, le parole delle canzoni si mescola-no a quelle della storia; i punti di vista del ragazzo e dell'uomo, del musicista e dello studioso di
popular music si sovrappongono
e al tempo stesso sovrappongo-no, creando continui cortocir-cuiti. "Allora", nel 1965, "la
mu-sica leggera era ciò che noi non
eravamo: era, con estrema chia-rezza e senza sfumature, la musi-ca contro la quale si stava co-struendo quella che noi ascolta-vamo e suonaascolta-vamo". Poi, nel 2005, lo stesso Fabbri si trova "nella posizione di capofila di una lotta per far accettare lo stu-dio della popular music nelle università italiane": "della gente che pretende di studiare la
musi-ca leggerai".
All'inizio di questa esperienza c'erano i "complessini" (chi par-lerebbe oggi di "complesso" per un gruppo musicale, anzi, per una band? solo un gruppo de-menziale come "Edipo e il suo
complesso") e c'era la "congiun-tura": "l'Italia aveva cominciato a trovarsi in una congiuntura sfavorevole, negativa. Ma i poli-tici, e i loro suggeritori/interpre-ti, dicevano congiuntura e ba-sta" (oggi, come ben sappiamo, c'è lo spread). Quando scrive la sua prima canzone, il giovane Franco ignora "del tutto il signi-ficato politico della parola
com-pagno"-, qualche anno più tardi,
persino il padre - "fiero conser-vatore" - "si è abituato a nego-ziare con attivisti e funzionari di partito di tutta Italia che chia-mano per scritturare gli Stormy Six, e lo salutano con un: 'Gra-zie, compagno!'". ("La radio al buio e sette operai / sette bic-chieri che brindano a Lenin",
Stalingrado, 1975). Nel 2011,
"compagno" in quel senso non si usa quasi più: lo critica persi-no Nichi Vendola, nella cui lista Franco Fabbri è candidato alle amministrative per il comune di Milano. Non viene eletto, ma raccoglie "il doppio dei voti ri-spetto a Ornella Vanoni: un suc-cesso enorme!".
Certo, in qualche caso a cambiare sono state solo o quasi -le paro-le: "Nel 1967 non si fa il sound
check, si fanno le pro-ve"-, Un biglietto del tram, inciso nel 1975,
è un disco acustico, anche se "oggi ci sa-rebbe un termine ger-gale molto convenien-te e riconoscibile per definire quella condi-zione: unplugged". Ma davvero il mondo in cui viviamo è diventato un altro. ("Niente resta uguale a sé stesso / la contraddizione muove tut-to", L'orchestra dei fischietti, 1977). In mezzo c'è il Movimen-to studentesco, con la sua Com-missione musicale che organizza concerti e produce dischi, men-tre "fuori (non solo metaforica-mente, visto dove si trova lo stu-dio) lo scontro politico è duris-simo".
C
9è il Muro di Berlino, che dieci anni prima della ca-duta gli Stormy Six attraversano alle due di notte sotto una tem-pesta di neve, "invitati al Festival della canzone politica, ospiti del-la Fdj, l'organizzazione giovanile del partito che governa la Re-pubblica Democratica Tedesca". ("La piega del tempo complica le pieghe del continente / ma al centro del nostro atlante / ogni nome è comunque una pietra parlante", Macchinamaccheroni-ca, 1980). C'è il riflusso, "proprio
mentre da noi si celebra
l'edoni-smo reaganiano" e poi D'Italia di
Berlusconi e di Bossi", nella qua-le domina un linguaggio molto diverso rispetto ai tempi "in cui era proibito pronunciare in tele-visione la parola coscia"-, gli stes-si in cui Fabbri e gli Stormy Six cominciavano la loro avventura musicale ("Ma dovrò partir / ti dovrò lasciar / anche se oggi piango", Oggi piango, 1965). Tutto è cambiato da allora: tutto tranne Gianni Morandi, che è ancora lì - con i suoi capelli tinti - a presentare l'intramontabile
Festival di Sanremo. •
[email protected] G. Antonelli è ricercatore di storia della lingua italiana contemporanea all'Università di Cassino