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di Franz Kafka 11 breve testo che anticipiamo in questo numero per i lettori

de "L'Indice" (con il cortese consenso dell' editore) è stralciato dal volume: Frank Kafka, I racconti (trad. e introd. di Giulio Schiavoni) che apparirà nei prossimi mesi presso l'editore Riz-zoli di Milano. Tale edizione riproduce sostanzialmente le

Sàmtliche Erzahlungen kafkiana (a cura di P. Raabe,

Franco-forte s.M. 1970), tranne che per la Descrizione di una

batta-glia, della quale (per la prima volta in Italia) vengono

presen-tate in parallelo le due stesure pervenuteci e pubblicate a cura di L. Dietz nel 1969 (Parallelausgabe nach den

Handschrif-ten).

L'interesse di questa sezione consiste nella possibilità offerta al lettore italiano di confrontarsi (o ri-confrontarsi) con questa prima opera di Kafka quale egli stesso la concepì nelle due di-verse fasi (eliminando in un secondo momento taluni praghi-smi e alcune intemperanze stilistiche), potendosi giovare ormai della ricostruzione filologica. Si sa infatti che Max Brod,

esecu-(...) Dormii, e m'immersi con tutto il mio essere nel primo sogno. Mi ci calai con tale angoscia e sofferenza che esso non riuscì a reggerle, senza tuttavia neppure obbligarmi a svegliar-mi, dato che in fondo dormivo soltanto perché il mondo attor-no a me aveva cessato di esistere. E così corsi attraverso quel so-gno frantumatosi nel profondo e tornai sano e salvo (sfuggen-do sia al sogno che al sonno) nei villaggi della mia terra.

(...) Là c'è stato un tempo in cui mi recavo in una certa chie-sa tutti i giorni perché una ragazza di cui m'ero invaghito vi ri-maneva a pregare, in ginocchio, la sera una mezz'ora, mentre [nel frattempo] intanto io potevo guardarmela in tutta calma.

Una volta che la ragazza non venne, mentre scrutavo contra-riato i fedeli rimasi colpito alla vista di un giovane che s'era ri-verso per terra bocconi con tutto il suo corpo smagrito. Ogni tanto si afferrava il cranio con quanta forza egli aveva in corpo, e lo sbatteva poi sospirando contro le palme delle sue mani che aveva intanto disteso sulle pietre del pavimento.

Nella chiesa c'eran soltanto alcune vecchie che non la smet-tevano di voltarsi [di tanto in tanto] con le loro testoline imba-cuccate per sbirciare il giovane devoto. Pareva che quell'atten-zione lo rendesse tutto contento, poiché prima di abbandonar-si ogni volta ai suoi slanci di devozione egli faceva roteare tutt'intorno lo sguardo per sincerarsi che molti lo osservassero.

Ebbene, trovai sconveniente quel suo contegno e decisi di ri-volgergli la parola appena fosse uscito di chiesa, domandando-gli per quale ragione edomandando-gli pregasse a quel modo. Infatti, da quando ero giunto in questa città, la cosa che più m'importava era di vederci chiaro, anche se in questo momento mi seccava, a dire il vero, soltanto che la mia ragazza non fosse venuta.

Quello però s'alzò soltanto dopo un'ora, si fermò a spolvera-re i pantaloni talmente a lungo che stavo già per gridargli: «Ba-sta così, ba«Ba-sta così. Tutti quanti abbiam visto che Lei ha dei pantaloni», si fece con cura il segno della croce e si avviò verso l'acquasantiera, quasi scattando come un marinaio.

Io andai a piazzarmi fra la pila dell'acquasanta e il portone, deciso in cuor mio a non lasciarlo passare senza aver prima otte-nuto una spiegazione. Storsi la bocca, perché questa è la prepa-razione migliore a un discorso, e avanzai con la gamba destra appoggiandomici, mentre al contempo reggevo la sinistra sulla punta dei piedi, dato che questo serve a conferirmi fermezza, come ho potuto constatare più volte.

Può darsi che lui mi abbia adocchiato già mentre si asperge-va il viso con l'acqua benedetta, forse il mio sguardo l'aveasperge-va in-quietato già prima, dato che tutt'a un tratto infilò l'uscita di corsa. Involontariamente cercai con un balzo di fermarlo. Ma la porta a vetri si richiuse di colpo. E quando uscii buttandomi subito sulle sue tracce non riuscii più a trovarlo, perché in quel luogo c'era un intrico di vicoli e vi scorreva un gran traffico.

Nei giorni che seguirono non si fece più vedere, mentre la ragazza venne e prese a pregare nell'angolino di una cappella laterale. Indossava un vestito nero fatto di pizzi trasparenti sul-le spalsul-le e sul collo (al di sotto sul-le si intrawedeva la scollatura a mezzaluna della canottiera) dai cui orli la seta sfumava

[scen-tore testamentario di Kafka, aveva messo a punto (nell'ambito delle Opere kafkiane) un 'edizione "inventata " della

Descrizio-ne di una battaglia, prefiggendosi (per sua esplicita

ammissio-ne) di proporre un testo "leggibile e in sé concluso ", che era di fatto il risultato dell'integrazione della stesura più recente (o stesura A, risalente all'inverno 1909-1910) e — qua eia— del-la prima stesura (o stesura B, risalente agli anni 1904-1906). Insomma: era stato un piccolo bluff perpetrato con buone in-tenzioni, ma alla faccia del rigore filologico, messo in secondo piano.

Il testo qui presentato risale alla prima stesura della

Be-schreibung eines Kampfes (dunque, agli anni 1904-1906) e si

situa pertanto negli scritti kafkiani del primo periodo (dalla

Descrizione... sino a Contemplazione, apparsa nel 1912). (Nota del traduttore) deva] in un colletto dal taglio perfetto. E dato ch'era venuta la ragazza, mi scordai volentieri di quel tizio e all'inizio non mi curai più di lui neppure quando, poco dopo, riprese a venire regolarmente e a pregare in quel suo modo curioso.

Lui però continuava sempre a passarmi davanti in gran fret-ta, con la faccia rivolta altrove. Invece, quando pregava mi guardava molto. Aveva l'aria di uno che fosse arrabbiato con me perché quella volta non gli avevo parlato e come se volesse dirmi che, con quel mio tentativo, mi fossi impegnato a farlo sul serio, una buona volta. E quando una volta, dopo una pre-dica, mentre stavo sempre seguendo quella ragazza, mi scon-trai con lui nella penombra mi parve di vederlo sorridere [mi parve che mi facesse dei cenni col capo].

Quell'impegno di parlargli, naturalmente, non esisteva, ma io non avevo più alcuna voglia di rivolgergli la parola. E esitai a farlo anche quando, una volta, arrivai di corsa sul sagrato quando stavan già battendo le sette, quando ormai cioè la ra-gazza aveva già lasciato la chiesa da un pezzo e c'era solo quel tizio a fare le sue acrobazie davanti alla balaustra intorno all'al-tare.

Alla fine scivolai in punta di piedi fino all'ingresso, diedi una moneta al mendicante cieco che si trovava colà e mi strinsi accanto a lui dietro al battente del portone spalancato, Lì, per forse una mezz'ora, fui tutto felice all'idea della sorpresa che intendevo fare al devoto. Ma non ressi. Ben presto mi limitai, molto infastidito, a lasciar che i ragni mi si arrampicassero su per i vestiti e [dovette essere] fu seccante per me dovermi fare un inchino ogni volta che qualcuno, traendo forti respiri, emergeva dall'oscurità della chiesa.

Finalmente arrivò anche lui. Lo scampanio energico ch'era iniziato un attimo prima lo contrariò, come mi parve di capire. Fu costretto, sulle prime, a tastare senza pensarci il terreno con le punte dei piedi prima di affidarvisi completamente.

Mi levai in piedi, feci un gran passo e riuscii già ad afferrar-lo. «Buona sera!», dissi spingendolo giù per i gradini fin sulla piazza illuminata e tenendolo per il bavero.

Quando fummo laggiù, egli si voltò verso di me, mentre io continuavo ancora a tenerlo ben stretto alle spalle, per cui ora eravamo petto a petto. «Le sarei molto grato se smettesse di te-nermi alle spalle!», disse, «e io non so proprio perché Lei so-spetti di me, visto che io sono innocente». Poi tornò a ripetere: «Naturalmente non so proprio perché Lei sospetti di me».

«Qui non [si tratta] si può trattare né di sospetto né di inno-cenza. La prego di non usar più tali parole. Noi siamo estranei l'uno all'altro: la nostra conoscenza risale soltanto al momento in cui abbiamo iniziato a scendere il sagrato della chiesa. Dove andremmo a finire se cominciassimo già subito a parlare della nostra innocenza?».

«E proprio quel che penso anch'io», replicò, «comunque, quando Lei ha detto "la nostra innocenza" voleva forse dire che, nel caso in cui io avessi provato la mia, Lei dovrebbe

prò-vare anche la Sua? Era questo che Lei intendeva dire?»

«Questo, oppure qualcos'altro», replicai, «ma Le ho rivolto la parola solo perché volevo domandarLe alcune cose, non lo dimentichi!».

«Vorrei andare a casa, invece», disse lui accennando a voltar-si.

«Lo credo bene. Altrimenti perché mai avrei cercato di par-larLe? Non creda che l'abbia fatto per la Sua bella faccia!».

«Non crederà mica che io dubiti della Sua sincerità!». «Occorre che io Le ripeta che qui non è questione di cose del genere? Che c'entra qui la sincerità o l'insincerità? Io Le faccio delle domande a cui Lei dovrà rispondere, tutto lì. E poi, per quel che mi riguarda, Lei può anche tornarsene a casa, magari di corsa, se vuole».

«Non sarebbe meglio se ci incontrassimo un'altra volta, in un momento più opportuno? Magari in un caffè? E poi la Sua promessa sposa è andata via solo qualche minuto fa; potrebbe ancora fare in tempo a raggiungerla; ha atteso così a lungo!».

«No!», strillai cercando di vincere il frastuono del tram che stava passando proprio in quel momento, «Lei non mi sfug-girà. Lei mi piace sempre di più. Lei è per me una pésca fortu-nata. Me ne congratulo con me stesso».

Al che lui rispose: «Oh, mio Dio! Lei ha, come si dice, un cuore sano e la testa dura come il marmo. Mi chiama una pésca fortunata. Come dev'essere fortunato Lei! Perché la mia è un'infelicità traballante, un'infelicità che oscilla sulla sua pun-ta, e basta appena sfiorarla perché piombi addosso a chi inter-roga. Perciò: Buona notte!».

«Bene», dissi cogliendolo di sorpresa e afferrandogli la mano destra, «se Lei non risponderà di Sua spontanea volontà, La co-stringerò a farlo. La seguirò, a destra e a manca, ovunque Lei vada , perfino su per le scale che conducono in camera Sua, e in camera Sua mi siederò dove troverò posto.

Può star sicuro; mi guardi finché vuole; reggerò il Suo sguar-do senza problemi. Ma come farà» (e dicensguar-do questo mi gli ac-costai vicinissimo e, siccome la sua testa sovrastava la mia, finii per parlargli ad altezza del collo), «ma come farà a trovare il co-raggio di impedirmelo?».

Allora lui, chinandosi, prese a baciarmi alternativamente entrambe le mani bagnandole delle proprie lacrime. «A Lei non si può rifiutare nulla. E come Lei sapeva che io me ne sarei andato volentieri a casa, così io sapevo già in precedenza che a Lei non è possibile rifiutare nulla. La prego soltanto di spostar-ci piuttosto in quel vicolo laggiù». Annuii, e spostar-ci avviammo. Quando fummo divisi da una vettura e io rimasi indietro, con ambo le mani lui mi fece cenno di sbrigarmi.

Laggiù non si accontentò però dell'oscurità del vicolo, dove c'erano soltanto lampioni molto radi e quasi [già] sino a rag-giungere l'altezza dei primi piani, ma volle condurmi nel bas-so androne di una vecchia casa bas-sotto una lanternina che penzo-lava sgocciolando davanti alla scala di legno. Nell'avvallamen-to di uno scalino distese il proprio fazzoletNell'avvallamen-to e m'invitò a se-dermi: «Da seduto Voi potete [Lei può] chiedere meglio, io re-sto in piedi, così potrò rispondere meglio. Ma non dovrà tor-mentarmi!».

Mi sedetti, visto che lui prendeva le cose tanto seriamente, ma dovetti aggiungere: «Lei mi porta in questo bugigattolo co-me fossimo dei congiurati, co-mentre io son legato a Lei soltanto dalla curiosità, e Lei da parte Sua è legato a me soltanto dalla paura. In fondo, non voglio domandarLe altro che il motivo per cui Lei prega a quel modo in chiesa. Che strano comporta-mento! Sembra un pazzo completo! Sapesse com'è ridicolo, com'è sgradevole per chi vede e insopportabile per le persone pie!».

Con il corpo s'era stretto al muro, e riusciva a muovere libe-ramente solo la testa: «Solo errori! I devoti ritengono infatti il mio comportamento come qualcosa di naturale, e gli altri lo ri-tengono per un gesto di devozione».

«La mia arrabbiatura intende soltanto confutare tali errori». «La Sua arrabbiatura, ammesso che sia una vera arrabbiatu-ra, dimostra soltanto che Lei non appartiene né ai devoti né agli altri».

«Ha ragione: ho un pochino esagerato quando ho detto che il Suo comportamento mi aveva fatto arrabbiare; invece, mi ha reso un po' curioso, come giustamente dicevo all'inizio. Ma Lei, a quale dei gruppi appartiene? [ai devoti o ai rimanen-ti?]».

«Oh, a me diverte soltanto esser guardato dalla gente,

allun-gare (se così posso dire) ogni tanto la mia ombra sull'altare». «La diverte?», chiesi contraendo la mia faccia.

«No, se proprio vuole saperlo. Non ce l'abbia con me se mi sono espresso male. Per me non è un divertimento, ma un bi-sogno: bisogno di vedermi martellato per una breve ora da quegli sguardi, mentre tutta la città intorno a me...».

«Ma che sta dicendo?», gridai alzando sin troppo la voce per quelle sue brevi osservazioni e per quel basso androme, senza però più osare abbassarla, «sul serio: che stavate dicendo? Per Dio!, adesso mi accorgo di aver immaginato sin dal primo mo-mento in quale stato Vi troviate. Non è quella febbre, quel mal di mare in terraferma, come una sorta di lebbra? Non ave-te la sensazione come di non poave-terVi più acconave-tentare, per l'ardore che vi sentite addosso, dei veri nomi delle cose, non ne avete mai abbastanza e, nella fretta, rovesciate su di esse dei nomi a casaccio? Purché sia in fretta, in fretta! Ma non appena siete fuggito via da loro, ecco che ne avete già di nuovo scordati i nomi. Il pioppo dei campi, che avete chiamato "torre di Ba-bele" perché non sapevate o non volevate sapere che era un pioppo, ondeggia di nuovo senza nome, e voi dovete chiamar-lo "Noè quand'era ubriaco"».

M'interruppe dicendo: «Son contento di non aver inteso quel che avete detto».

Gli replicai immediatamente, tutto agitato: «Il fatto che ne siate contento dimostra che avete inteso le mie parole».

«Non ho forse già detto che [a Lei] a Voi non si può rifiutare nulla?».

Misi le mani su un gradino più alto, mi piegai all'indietro e, in quella posizione pressocché inattaccabile che per il lottatore costituisce la difesa estrema, domandai: «Scusate, ma non è un po' scorretto il fatto che rimbalziate su di me un'osservazione fattaVi da me?».

A tali parole, l'uomo ritrovò il suo ardire. Strinse le mani, quasi a voler recuperare il proprio corpo nella sua interezza, e con qualche riluttanza disse: «Le discussioni su ciò ch'è corretto o scorretto le avete escluse subito all'inizio. E la verità: a me or-mai non interessa altro che farVi intendere pienamente il mio modo di pregare. Lo sapete, allora, come mai io prego a quel modo?».

Egli mi stava studiando. No, non lo sapevo, e non volevo neppure saperlo. Non avevo neppure voluto finir fin laggiù (mi dissi in quell'istante), ma era stato proprio quell'uomo a costringermi a starlo a sentire. Per cui era sufficiente che scuo-tessi la testa e tutto sarebbe stato a posto, ma era proprio ciò che non riuscivo a fare in quest'istante.

Di fronte a me, l'uomo sorrideva. Poi si accoccolò sulle gi-nocchia e prese a raccontarmi, facendo una smorfia tipica delle persone che abbian sonno: «Ormai posso anche finalmente ri-velarLe come mai mi sia lasciato rivolger la parola da Lei. E sta-to per curiosità e per speranza. La Sua visita mi consola già da lungo tempo. E spero di sapere da Lei come stiano effettiva-mente le cose con gli oggetti che affondano intorno a me come fiocchi di neve, mentre per altri già un semplice bicchierino di liquore troneggia solido sul tavolino come un monumento».

Dato che io restavo taciturno e che il mio viso era percorso soltanto da qualche contrazione involontaria, quello do-mandò: «Non crede che ad altre persone succede così? Davvero non lo crede? Allora stia a sentire! Una volta, quand'ero ancora bambino, dopo un breve sonno pomeridiano aprii gli occhi e, ancora un po' dubbioso se esistevo veramente o no, sentii mia madre affacciata al balcone chiedere in tono perfettamente na-turale, rivolgendosi verso il basso: "Cosa sta facendo, miacara? Con questo caldo!". E dal giardino una donna rispose: "Beh, così faccio merenda nel verde". Lo dissero senza rifletterci su, e neanche in modo particolarmente nitido, come se quella don-na si fosse aspettata la domanda, e mia madre la risposta».

Credetti di essere interpellato, perciò frugai nella tasca po-steriore dei calzoni, come per cercarvi qualcosa. Di fatto, però, non cercavo niente; volevo soltanto modificare il mio sembian-te per dimostrare di prender parsembian-te alla conservazione. Dissi perciò che quella vicenda era proprio strana e che non la capivo assolutamente. Soggiunsi inoltre che non la credevo vera, e che doveva esser stata inventata per uno scopo ben preciso che io non riuscivo proprio a penetrare. Poi chiusi gli occhi, per libe-rarmi di quella brutta luce.

«Lo vedete? Coraggio! Per esempio qui siete della mia stessa idea, e disinteressatamente mi avete fermato per dirmelo. Per-do una speranza e ne acquisisco un ' altra.

in-MNDjCF • • D E I LIBRI D E L M E S E H I

ceda impettito e al passo, non picchi il bastone sul selciato e non mi faccia largo tra la gente che passa chiassosa? Non avrei piuttosto tutte le mie buone ragioni di lagnarmi caparbiamen-te di dover balzellare come un'ombra senza precise frontiere lungo i muri delle case, eclissandomi a volte nei cristalli delle vetrine?

Che giornatacce trascorro! perché mai tutto è costruito così male che, a volte, alti palazzi crollano senza che se ne riesca a trovare una ragione esterna? Io mi arrampico allora sui mucchi delle macerie e chiedo a tutti quelli che incontro: "Com'è po-tuto succedere? Nella nostra città!... Una casa nuova!... Ed è già la quinta, oggi!... Pensi un po'!". E nessuno che sappia ri-spondermi.

Sovente nel vicolo qualcuno cade, e rimane in terra, morto. Allora tutti i negozianti aprono le porte stracolme di merci [escono] si avvicinano snelli, portano il morto in qualche casa e poi ritornano con il sorriso sulle labbra e sugli occhi, e allora cominciano i soliti discorsi: "Buon giorno!... Il cielo ^gri-gio!... Vanno molto i fazzoletti di seta... Eh già, la guerra". Io vado di corsa in quella casa e, dopo avere varie volte fatto cen-no — intimorito — con il dito ricurvo, alla fine busso alla fine-strella del portinaio. "Ehi, buon uomo!", dico, "mi è parso che poco fa sia stato portato qui da Lei un morto. Sarebbe così gen-tile da mostrarmelo?" E siccome quello scuote la testa come in-deciso sul da farsi, aggiungo: "Badi bene! Sono un agente se-greto e voglio veder subito quel morto". A questo punto, l'al-tro non è più affatto così indeciso: "Fuori!", grida, "questa gentaglia ha già preso l'abitudine di venir qui a sficcanasare

ogni giorno! Qui non c'è nessun morto; forse nella casa accan-to". Io allora saluto e me ne vado.

Poi però, quando devo attraversare una grande piazza, di-mentico ogni cosa. Quando si costruiscono piazze così vaste so-lo per presunzione, perché non si costruisce anche una balau-stra che guidi attraverso di essa? Oggi soffia un vento di sud-o-vest. La cuspide della torre municipale disegna piccoli cerchi.

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