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Dai consumi di frutta e verdura dipendono il 10% delle emissioni complessive del modello di dieta biologica ed il 5% della dieta convenzionale. I due modelli di diete mostrano un consumo di frutta e ortaggi piuttosto modesto, al di sotto delle cinque porzioni quotidiane consigliate dalle linee guida di una corretta nutrizione: in particolare il consumo nella dieta bio è di 112 grammi di frutta e 147 grammi di verdura al giorno, mentre nella dieta convenzionale il consumo di frutta prevalente (138g) rispetto a quello di verdura (68g) (fig. 5.9). Complessivamente, dunque, sono i consumatori bio a consumare più alimenti vegetali, che risultano per oltre i 3/4 rappresentati da prodotti biologici. Il consumo di prodotti surgelati, piuttosto modesto, è doppio per i consumatori biologici rispetto ai convenzionali, che tuttavia consumano sempre prodotti surgelati convenzionali.

L'impatto in termini di emissioni di CO2 per i prodotti vegetali mostra una grande variabilità, in funzione soprattutto della intensività delle tecniche di produzione, dell'utilizzo di apprestamenti protettivi ed in particolare di serre riscaldate, ma è soprattutto il trasporto, che spesso richiede l'utilizzo di mezzi refrigerati, ad influire sull'impatto complessivo, con un apporto all'emissione complessiva che oscilla tra il 20 ed il 50% (Stoessel et al., 2012). L'emissione di GHG dei prodotti vegetali nelle diete biologiche è complessivamente risultata superiore di circa il 40% rispetto a quello degli analoghi prodotti nelle diete convenzionali (fig. 5.10). Tale disparità è dovuta solo in parte alle maggiori quantità di prodotti vegetali sia freschi che surgelati che compongono il modello di dieta bio, infatti le emissioni unitarie di frutta e ortaggi biologici possono risultare superiori a quelle dei corrispondenti prodotti convenzionali, in virtù delle rese inferiori, tipiche della agricoltura bio, e dei maggiori consumi di carburanti necessari al controllo delle infestanti, in assenza di prodotti di sintesi. Poiché la quasi totalità dei prodotti consumati dal gruppo di consumatori coinvolti nella nostra indagine risultava di provenienza locale o regionale, in riferimento alle condizioni climatiche ed al contesto produttivo italiano sono stati calcolati impatti mediamente superiori del 35% per il prodotto biologico rispetto al convenzionale, in linea con quanto evidenziato da altri autori per contesti produttivi analoghi (Oudet, 2012). Per quanto riguarda la preparazione domestica è risultato che circa la metà degli ortaggi vengono consumati crudi ed è calcolata una emissione di CO2 pari a 400 g CO2 eq/kg del rimanente prodotto, cotto tramite bollitura.

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Figura 5.9 - Consumi di frutta e ortaggi nei due modelli di dieta

0 20 40 60 80 100 120 140 160

Frutta Ortaggi freschi Ortaggi surgelati

gr

ammi

Dieta bio Dieta convenzionale

Fonte: nostra elaborazione

Figura 5.10 - Impatti complessivi dei consumi di frutta e ortaggi

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

Frutta Ortaggi freschi Ortaggi surgelati

g C

O2

eq

Dieta bio Dieta convenzionale

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7. Conclusioni

Il consumo di prodotti biologici appare fortemente orientato verso alcune tipologie: in particolare frutta e verdura, pasta e pane, e latticini in virtù della loro maggiore reperibilità e dei prezzi più contenuti, mentre risulta scarso per le carni e per il pesce. Per i prodotti ittici in particolare, la scarsa diffusione dell'allevamento biologico e soprattutto la ancora sporadica presenza di questo tipo di prodotto nella Distribuzione Organizzata risultano determinanti nel moderare il consumo (Castellini et al., 2012; Thrane, 2003). Entrambi i modelli di dieta elaborati sono risultati accettabili sotto il profilo nutrizionale, tuttavia i consumatori biologici risultano caratterizzati da una maggiore attenzione per i contenuti nutrizionali ed una migliore rispondenza alle linee guida riconosciute di una corretta alimentazione, soprattutto per il maggior contenuto di olio di oliva, frutta e verdura, come già evidenziato da Di Cesare et al. (2014) e Duchin (2005). Dal punto di vista degli impatti ambientali, il confronto ha evidenziato una migliore performance per il modello di dieta biologica e, in definitiva, una relazione positiva tra aspetti salutistici ed ambientali dei regimi alimentari esaminati. L'impatto ambientale dei due modelli di dieta, valutato in termini di emissione di CO2 equivalente, è il risultato di caratteristiche quantitative e qualitative dei regimi dietetici. Per quanto riguarda la composizione dei diversi modelli di dieta, il confronto tra il modello di dieta bio e convenzionale mostra contributi simili dei diversi gruppi di prodotti (carboidrati, olio, latticini, frutta e verdura, carne, pesce, ecc.) all'apporto calorico complessivo, con una leggera preferenza, per i consumatori convenzionali, a privilegiare il consumo di carboidrati sotto forma di pasta e riso, piuttosto che di pane e suoi sostituti, ed un maggior contributo di prodotti proteici, quali carne, latticini e pesce. Viceversa, il modello di dieta biologica è caratterizzato da un contributo all'apporto calorico complessivo superiore rispetto al convenzionale per pane, olio e frutta e verdura. La distribuzione degli impatti ambientali tra i diversi gruppi di nutrienti ricalca in parte la distribuzione degli apporti calorici, con due importanti eccezioni: l’olio che, a causa del suo elevato valore in termini di calorie apportate alla dieta, si colloca al secondo posto per contributo all’apporto calorico ed è responsabile di meno del 5% dell’emissione di gas serra complessiva, ed il gruppo delle carni che, per il suo elevato valore di emissioni unitarie, è responsabile di oltre 1/5 dell’impatto, a fronte di un apporto calorico pari solo a circa il 5% del totale. In particolare, mentre nella dieta convenzionale carboidrati e carni hanno un ruolo pressoché analogo nel determinare l’impatto complessivo, sul totale delle emissioni della dieta bio il gruppo delle carni ha il peso più rilevante. A tal proposito bisogna considerare che la emissione complessiva di CO2 dalle carni presenti nella dieta bio risulta più contenuta rispetto a quella della dieta convenzionale nonostante i maggiori impatti unitari delle carni organiche rispetto alle convenzionali. La migliore performance in termini assoluti del gruppo delle carni nella dieta bio è dovuta al minor consumo complessivo ed alla diversa scelta dei consumatori biologici che privilegiano le carni bianche, avicole e suine, a più basso impatto rispetto alle bovine, sia che derivino da allevamenti organici che convenzionali. Nel caso dei prodotti vegetali, al maggiore impatto unitario che, nella maggior parte dei casi, caratterizza i prodotti organici, si aggiunge un consumo osservato, per il modello di dieta biologica, quantitativamente più elevato; inoltre la frutta e la verdura sono prodotti per i quali si evidenzia la maggiore tendenza al consumo biologico, tanto da essere inseriti nella dieta Bio-Strong per oltre il 70% in forma organica. In definitiva, per questo gruppo di prodotti l'impatto ambientale risulta più elevato nel modello di dieta biologica che in quello convenzionale.

Gli impatti ambientali complessivi dei due modelli di dieta sono, quindi, la risultante di aspetti qualitativi dei singoli alimenti (tipo di alimento, tecniche produttive, luogo di origine,

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confezione, preparazione, ...), che ne determinano l'impatto unitario, e di aspetti quantitativi, direttamente legati alla composizione del paniere alimentare. I risultati dell'indagine confermano lo stretto legame tra correttezza degli aspetti nutrizionali e performance ambientali dei regimi alimentari, nonché la maggiore aderenza del modello alimentare bio alle linee guida di una corretta alimentazione, tanto da suggerire la promozione dei prodotti biologici nel contesto di diete equilibrate dal punto di vista nutrizionale che di per sé hanno la capacità di implementare aspetti salutistici ed ambientali.

Evidenziare le performance ambientali dei prodotti biologici può, dunque, diventare una chiave strategica per azioni di marketing che incentivino la disponibilità a pagare sia da parte dei consumatori abituali che da parte di nuove fasce di acquirenti, più sensibili agli aspetti ambientali, oltre a quelli salutistici. La Life Cycle Assessment, pur con i limiti legati alla difficoltà di reperimento dei dati, in funzione della numerosità, diversificazione e rapida evoluzione delle tecnologie di produzione, si conferma un metodo di sicura utilità per definire chiaramente i vincoli e le ripercussioni sull’ambiente dei consumi alimentari, in modo da incentivare i consumatori a comportamenti ed acquisti responsabili. In definitiva l’applicazione dell’LCA a tutti i livelli delle diverse filiere agroalimentari può senza dubbio rappresentare un utile strumento con il quale i policy maker possono comunicare le performance ambientali di alimenti e tecnologie di produzione incentivando comportamenti alimentari, oltre che salutari, responsabili verso l’ambiente. Il vantaggio di tale metodologia, soprattutto nel caso in cui venga applicata allo scopo di determinare indicatori di immediata lettura ed interpretazione, quali la carbon footprint, è quello di rendere immediatamente apprezzabili le performance ambientali del prodotto al consumatore e configurarsi, in tal senso, come utile strumento di promozione dei prodotti il cui impatto ambientale, quantificato rispetto agli effetti sui gas climalteranti, è contenuto.

Per quanto riguarda i prodotti biologici, soprattutto se non trasformati, ai quali i consumatori attribuiscono qualità intrinseche di elevata sostenibilità ambientale (Idda et al., 2008; Gracia e de Magistris, 2008; Moser et al., 2011) la metodologia LCA (Castaldi et al., 2014) può fornire indicazioni circa la sostenibilità ambientale in confronto ad analoghi prodotti convenzionali ed in tal senso va considerato nelle politiche a sostegno della domanda. Tuttavia occorre sottolineare alcune limitazioni della metodologia che, pur consentendo una visione ampia della sostenibilità dei prodotti agricoli quantificando le emissioni nell’acqua, suolo e aria, non consente di cogliere alcuni aspetti importanti legati soprattutto all'attività di produzione primaria, quali:

 il sequestro di carbonio nel suolo e soprattutto nelle biomasse permanenti (fusto e radici), quali ad esempio quella delle piante legnose (vite, ulivo, frutta), che rappresentano un "risparmio" di emissioni e che possono bilanciare le emissioni di GHGs;

 l'emissione negativa rappresentata dagli eventuali coprodotti che può essere sottratta all'emissione del prodotto principale;

 i residui biologici della coltivazione, quantificati e riciclati come sostanza organica nel terreno, possono rappresentare un'occasione di risparmio energetico (e quindi di CO2 fossile) e di ulteriore stoccaggio di C nel terreno;

 le attività di forestazione volontaria implementate dall'azienda agricola, che possono mitigare gli impatti sull'ambiente dell'attività produttiva vera e propria;

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In sostanza gli effettivi vantaggi di una agricoltura di tipo biologico sono difficili da valutare tramite la sola metodologia LCA per la complessità delle relazioni chimico-fisiche proprie della matrice suolo e per la quantità di variabili da considerare, mentre la metodologia LCA conserva la sua maggiore validità per la valutazione degli impatti legati ai processi di trasformazione agroalimentare.

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