eminentemente strategica..” (pag. 6)
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Romeo Martinez scrive nella prefazione del catalogo della seconda Biennale Internazionale di Fotografia che “Gli scopi che, in materia di esposizione, ci si può prefiggere sono molti: la manifestazione veneziana intende mostrare, in sintesi, gli aspetti e le funzioni della fotografia contemporanea, adottando una formula che escluda ogni competizione, lasciando questo compito alle migliaia di mostre legate o meno a dei concorsi, che riempiono il calendario fotografico mondiale. Così pure, per ora, non intende interferire nel campo dei dilettanti.”, Edizioni Biennale Fotografica, Venezia, 1959.
Conclude mettendo in evidenza un aspetto molto importante: “Tutte queste osservazioni, non le ho fatte, ovviamente, in un primo momento. I miei primi dieci rullini non contenevano altro che la sorpresa e il piacere di una nuova forma di visione, di un nuovo dispositivo tecnico. Ero meravigliato da ciò che vedevo, scattavo, e mi trovavo generalmente abbastanza deluso dal risultato: infatti erano le foto fatte dal teleobiettivo che ottenevo, e non le mie! E’ stato solo con il tempo e i rullini buttati che ho imparato a utilizzare i mezzi di deformazione del teleobiettivo come un mezzo di espressione.”
Questa sensazione di fronte alle possibilità della macchina fotografica sarà codificata molto efficacemente da Vilém Flusser alcuni anni più tardi.5 Il mezzo di espressione, infatti, deve essere completamente dominato perché possa emergere il linguaggio dell’autore: in caso contrario, si afferma il programma della macchina, e con esso, del sistema che l’ha prodotta.
Lo svedese Rolf Winquist, che parteciperà anche alla Biennale di Venezia, pubblica in questo numero dei ritratti femminili.
La copertina di febbraio è una fotografia di Brian Brake scattata in Nigeria a dei capi tribù in abiti cerimoniali. Romeo Martinez gli dedica un articolo nel quale plaude al suo talento senza riserve.6 Questo autore neozelandese dalle belle qualità umane,
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Flusser, Vilém, Per una filosofia della fotografia, Agorà Editrice, Torino, 1987.Pag.47:“Ridotta al suo nucleo, l’intenzione del fotografo è di codificare il suo concetto del mondo, volgendo questi concetti in immagini. Poi, usare la macchina fotografica a questo scopo. Terzo, mostrare le immagini così prodotte agli altri, affinché divengano modelli di esperienza, conoscenza, valori e azione degli altri. Quarto, preservare quei modelli il più a lungo possibile. In breve: l’intenzione del fotografo è di diventare immortale nella memoria degli altri, informando questa gente tramite il medium della fotografia. Dal punto di vista del fotografo, ciò che conta nella fotografia sono i suoi concetti (e l’immaginazione derivante da questi concetti); il programma della macchina fotografica è destinato a servire a questo fine. D’altra parte, ridotto al suo nucleo, il programma della macchina fotografica è questo: primo, è sua intenzione codificare le sue virtualità in immagini. Secondo, usare un fotografo per questo scopo – a meno che la macchina non sia completamente automatica, come i satelliti fotografici. Terzo, distribuire le immagini così prodotte in modo tale che la società possa funzionare da feedback per l’apparato stesso, permettendogli così di perfezionare progressivamente le sue funzioni. Quarto, produrre sempre fotografie migliori. In breve, il programma della macchina fotografica intende realizzare le sue virtualità e usare la società come feedback per un continuo perfezionamento dei programmi. Nel background del programma della macchina ci sono ulteriori programmi: quello dell’industria fotografica, quello industriale più ampio, quello socioeconomico, e così via. Attraverso questa completa gerarchia di programmi passa la tendenza preponderante a programmare il comportamento della società così da servire per il perfezionamento automatico dei programmi dei futuri apparati.” Pag.48: “Confrontare l’intenzione del fotografo con il programma della macchina fotografica mette in evidenza dove i due convergono così come dove divergono. (…) Ogni singola fotografia mostra i risultati tanto della collaborazione che della lotta. Il compito della decifrazione, allora, è di mostrare come le collaborazioni e le lotte si mettano in relazione tra di loro.” “[…] Allora, la domanda che la critica deve porre ad ogni fotografia è: fino a che punto il fotografo è riuscito a sottomettere il programma della macchina fotografica alle proprie intenzioni e con che metodi? E: fino a che punto è riuscita la macchina fotografica a far deviare le intenzioni del fotografo e con che metodi? Secondo tali criteri, le fotografie “migliori” sono quelle in cui il fotografo ha sopraffatto il programma della macchina fotografica per soddisfare le proprie mire, cioè quelle fotografie in cui l’apparato è stato assoggettato al disegno umano.”
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Romeo Martinez, Brian Brake, in “Camera”, 36. Anno, n.2, febbraio 1957, pag. 70. “C’est toujours une tâche agréable et aisée de présenter des aspects de l’oeuvre d’un photographe qui “monte”, tant nous croyons qu’en photographie comme en toute autre activité de nature artistique, le talent finit par se faire reconnaître et la là même à se frayer la voie de la réussite. C’est dans cette perspective que nous voudrions placer la rapide carrière de Bian Brake. Et, avant toute chose, nous devons admettre que la progression de son talent dans le temps a anticipé les pronostiques les plus favorables et contredit les appréciations quelque
trasferitosi a Londra, passato dal cinema alla fotografia documentaria e al reportage, è in una fase di rapida ascesa nel suo lavoro. Molte testate europee e americane pubblicano le sue fotografie. E’ diventato membro di Magnum, e come tale “può contare su un servizio di diffusione e retribuzione che lo mette al riparo dagli abusi dello sfruttamento ai quali sono soggetti un gran numero dei suoi colleghi.” Ernst Scheidegger nel 1953 aveva già parlato di quest’agenzia e della particolarità di essere una cooperativa di fotografi. Ciò dà loro una situazione economica meno instabile e, come ha evidenziato Martinez, maggiori garanzie che il loro lavoro venga rispettato.
In questo stesso mese di febbraio, Martinez pubblica il regolamento della I Biennale Internazionale della Fotografia di Venezia, che si terrà dal 20 aprile al 19 maggio 1957. “Un’Esposizione Biennale Internazionale di Fotografia è stata istituita nell’ambito delle manifestazioni internazionali artistiche e culturali che si tengono periodicamente a Venezia. Il comitato di organizzazione che include, tra gli altri organismi interessati: l’Ufficio Comunale e l’Ente Provinciale del Turismo, La Rivista Internazionale della Fotografia e del Film “Camera” e il circolo fotografico “La Gondola”, ha deciso di dedicare questa prima manifestazione alla Fotografia Europea. Pubblichiamo degli estratti degli articoli principali del regolamento, al fine di rispondere alle numerose domande di informazione che continuano ad arrivare. Art.2 “…parteciperanno solo i fotografi invitati dal Comitato di organizzazione.” Art.3 “…la manifestazione ha un carattere esclusivamente artistico e culturale.” Art.4 “…a partire dal 24x30 tutti i formati saranno accettati.”
Art.7 “…E’ possibile che si proceda a degli acquisti delle fotografie a scopi non commerciali. Gli espositori interessati sono pregati di menzionare le loro condizioni