Le funzioni rappresentative del banchetto nel testo
2.1.6 La funzione stilistica
Il momento conviviale proprio perché costituisce una dimensione fondamentale della vita umana, entra potentemente anche nella formazione della lingua, non tanto relativamente agli aspetti più concreti del pasto ma soprattutto nel linguaggio figurato. Infinite sono le frasi idiomatiche, le espressioni metaforiche, le figure retoriche in genere, che si formano attingendo al campo semantico conviviale.
Se questo vale per la lingua in uso, a maggior ragione vale per la lingua dell’espressione artistica e, dunque, per la letteratura. Si comprende allora quanto importante sia la funzione che possono svolgere i riferimenti al convivio relativamente alla dimensione più specificamente formale del testo letterario227.
L’analisi delle espressioni che rientrano nel campo semantico della convivialità può fornire infatti utili strumenti per l’interpretazione del testo, sia ad un livello più specificamente linguistico-‐lessicale sia, più in generale, rispetto alle strutture narrative. Contribuisce notevolmente, per esempio, all’individuazione del punto di vista narrativo. Particolarmente interessante si rivela, poi, il procedimento che fa rivivere le metafore morte e le catacresi.
La funzione stilistica si esplica innanzi tutto a livello lessicale e riguarda le scelte operate dallo scrittore all’interno di vocaboli ed espressioni appartenenti al sottocodice della convivialità e della comunione del cibo.
Abbiamo già accennato qualcosa al riguardo nell’analisi dei termini convivio, convito e banchetto fatta nel capitolo introduttivo, ma ben più rilevante sul piano letterario, è la presenza di locuzioni, frasi idiomatiche, proverbi, in cui compaiono riferimenti al convivio, considerato in senso lato come pratica alimentare e non inteso nel suo significato letterale, bensì metaforico.
Spesso si tratta di forme invalse nella lingua d’uso, che si arricchiscono nel contesto letterario di nuove, intense risonanze: emblematico è il caso delle innumerevoli ricorrenze poetiche dell’attributo conviviale di dantesca e plutoniana memoria228.
227
Vd. La funzione stilistica in Le funzioni del cibo nel testo letterario di Ghiazza Silvana, Wip Edizioni, Bari, 2011.
228
78 Molti esempi sono già stati dati nei capitoli precedenti ma aggiungeremo qualche altra annotazione che ci sembra rilevante, soprattutto relativamente all’uso di alcune figure retoriche.
Le similitudini conviviali per esempio sono frequenti. La similitudine si presta particolarmente a rendere con efficacia l’immediatezza dell’immagine. Si pensi alla straordinaria potenza descrittiva della similitudine dantesca mediante la quale la cultura è paragonata al pane bianco:
«beati pochi che seggono a quella mensa dove. lo pane degli angeli (sapienza) si manuca », ma perché, «fuggito de la pastura del vulgo, a'piedi di coloro che seggono» raccoglie «di quello che a loro cade», e ne assapora la dolcezza, conoscendo la misera vita di coloro che ne sono rimasti digiuni a cagione delle loro occupazioni «familiari e civili».
Anche nel linguaggio comune la similitudine è figura dalla notevole carica connotativa. Quando si dice ‘come un convivio’ si intende un luogo di incontro, come un piccola piazza del baratto e della condivisione delle idee.
Similitudini significative sono presenti nella letteratura di tutti i tempi. Ne Il Gattopardo per esempio con grande asciuttezza di dettato e densità allusiva, si svolge la similitudine che chiarisce con vivida corposità il suo pensiero quando, sul letto di morte, cerca di resistere alla tentazione del sonno:
«Aveva sonno davvero; ma trovò che cedere adesso al sopore era altrettanto assurdo quanto mangiare una fetta di torta subito prima di un desiderato banchetto. Sorrise. "Sono sempre stato un goloso saggio"»229
Come acutamente osserva Biasin, «queste immagini» in cui una fetta di torta è paragonata a un sonnellino e un banchetto alla morte «capovolgono il cliché del banchetto della vita230»
Altra importantissima figura retorica è quella della metafora conviviale. Sulla straordinaria potenza di condensazione semantica delle metafore alimentari e sulla ricchezza e varietà di sfumature che questa figura retorica consente, non solo a livello descrittivo ma anche concettuale e perfino ontologico, ci siamo soffermati nel capitolo riguardante la funzione metaforica. Qui si vuole aggiungere qualche
229
G. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Feltrinelli, Milano, 1974
230
79 precisazione, più specificatamente legata alla dimensione lessicale, senza aver la pretesa di fare una campionatura significativa.
L’effetto di straniamento operato dalla metafora può essere messo in risalto mettendo l’uno accanto all’altro i due livelli comunicativi: il significato letterale e il significato metaforico. Tale giustapposizione di piani semantici produce effetti di grande efficacia stilistica. In Pirandello per esempio il gioco dell’intreccio fra significato letterale e significato metaforico che si traduce in espressioni gravitanti nel campo semantico alimentare è largamente presente. In un passo particolarmente significativo che compare nell’ Enrico IV, interessante perché la ripresa e amplificazione dell’immagine si sommano a quella della contemporanea presenza del significato letterale e figurato, il protagonista, alla domanda se sapesse chi lo aveva fatto cadere da cavallo rispose:
«Non importa saperlo! Tutti quelli che seguitarono a banchettare e che ormai mi avrebbero fatto trovare i loro avanzi, Marchesa, di magra e molle pietà, o nel piatto insudiciato qualche liscia di rimorso, attaccata. Grazie!231 »
E ritornato in sé dopo dodici anni, preferisce continuare a vivere in una lucida pazzia, in una realtà tutta sua con persone pagate per servirlo, piuttosto che tornare alla dura realtà rendendosi conto di essere «come uno che arriva con una fame da lupo a un banchetto già beli 'e sparecchiato; la mia parte, presa, divorata dagli altri; eh, quanto più tenera la carne, tanto più presto si fa inghiottire232».
L’immagine metaforica di partenza è il banchetto della vita, dal quale il protagonista era stato temporaneamente escluso a causa della caduta da cavallo, con il conseguente stato d’amnesia; da questa si sviluppano altre immagini, che via via si arricchiscono: gli avanzi del banchetto, il piatto insudiciato, con qualche lisca attaccata. Contemporaneamente a quel livello figurato però si svolge anche il livello letterale del discorso, che in qualche modo fornisce l’interpretazione di quello. E dunque gli avanzi sono da intendersi come la pietà dei conoscenti nei suoi confronti, la liscia è il rimorso di alcuni per il misfatto. L’effetto straniante consiste proprio nell’intreccio fra i due livelli per cui realtà e metafora si mescolano, senza più distinzioni: e allora la «pietà» è «molle» e «magra» (aggettivazione adatta agli
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L. Pirandello, Enrico IV, Rea Ed, L’Aquila, 2014, p.22
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80 «avanzi») la «liscia» è di «rimorso» e rimane «attaccata», con tutta evidenza, «nel piatto insudiciato». L’automatismo del significato della metafora iniziale è decisamente spezzato e l’immagine risulta nuova vivida e drammaticamente efficace.
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