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Funzioni latenti, simboliche e (forse) impreviste della norma

Al § 2, è già stato rilevato come l’efficacia della previsione di cui all’art. 10-bis della l. 5 febbraio 1992, n.

91 nella prospettiva della lotta al terrorismo sia quanto meno dubbia, in ragione del possibile intervento della misura a notevole distanza di tempo dai fatti e dell’autonomia del momento della perdita della cittadinanza rispetto all’autonoma problematica dell’espulsione dal territorio nazionale; sulla base di queste considerazioni è stata rilevata la logica essenzialmente simbolica della previsione e, del resto, si tratta di una rilevazione comune praticamente a tutte le legislazioni esaminate dalla C.E.D.U. (che, abbastanza uniformemente, prevedono l’autonomia del momento dell’espulsione rispetto alla perdita della cittadinanza) e che ha indotto C.E.D.U., cinquième section, 25 giugno 2020, requête n° 52273/16 et 4 autres, Ghoumid et autres c. France a qualificare la misura, soprattutto, nei termini simbolici di «sérieux … message que l’État adresse ainsi à ceux qu’elle vise» (punto n. 72 della motivazione), oltre che di limitata e sostanziale “fragilizzazione” del legame con lo Stato.

Con tutta evidenza, siamo pertanto in presenza di una problematica classica della sociologia del diritto, ovvero di quella scissione tra effetti manifesti ed effetti latenti110 delle norme che ha trovato concreta espressione nella categoria delle cd. “leggi manifesto” (che soddisfano l’interesse avuto di mira dal legislatore, più a livello declamatorio che a livello reale) e/o in testi normativi che soddisfano effettivamente interessi diversi da quelli enunciati: «il fatto dell’inefficacia delle leggi non esclude la possibilità che queste leggi abbiano degli “effetti latenti”, effetti che possono essere così definiti in base alla ben nota distinzione elaborata da Merton tra funzioni manifeste e funzioni latenti delle istituzioni sociali111».

Nel nostro caso, l’effetto manifesto della nuova previsione, costituito dalla lotta ai foreign fighters, appare di problematica (se non impossibile) verificazione e risultano abbastanza evidenti gli effetti latenti assolutamente prevalenti, costituiti dall’invio di un forte “monito” ai possibili destinatari della misura e, soprattutto,

dalla rassicurazione dell’opinione pubblica, attraverso ila previsione di una misura fortemente simbolica di privazione dello status di cittadino, ma che risulta poi di problematica trasformazione in un vero ed effettivo allontanamento dal territorio della Repubblica.

La logica essenzialmente simbolica alla base della nuova previsione ha poi probabilmente influenzato anche l’orientamento dei (tanti) critici, imponendo quella prospettiva di “contrasto frontale” con la Costituzione, il diritto comunitario e la C.E.D.U. più volte richiamata nel testo; con riferimento alle

110 Al proposito, è obbligatorio il riferimento a R. TREVES, Sociologia del diritto, III ed., 1987, Torino, Einaudi, 240 e ss.; sulle leggi caratterizzate da un marcato carattere simbolico, si veda anche V. FERRARI, Diritto e società. Elementi di sociologia del diritto, 2004, Roma-Bari, Laterza, cap. III, 2 (citazione dall’edizione digitale) e il più risalente, Id., Il diritto in funzione del potere: Il Berufsverbot nella Repubblica Federale Tedesca, in Soc. dir., 1977, 1, 75 e ss.

111 R. TREVES, Sociologia del diritto, cit., p. 241.

leggi marcatamente caratterizzate dal carattere simbolico è stato infatti correttamente rilevato come se, indubbiamente, «il fatto che una legge sia emanata permetta ai suoi proponenti di usarla come strumento di propaganda..(risulta altrettanto) vero che gli oppositori possono, a loro volta, criticarla pubblicamente…il potenziale simbolico della legge può (pertanto) esprimersi in due direzioni112».

Al di là di questa divaricazione di contenuti simbolici che si rivela, alla fine, molto poco produttiva, in quanto ogni parte «risponde primariamente ai propri elettori…. e…in alcuni casi, non rari, una legge esistente, ma inoperante può giovare a entrambe le parti, “l’una soddisfatta della sua esistenza, l’altra della sua mancata applicazione”113», l’analisi proposta in queste pagine ha cercato di privilegiare l’ambientazione della nuova previsione a livello di fonti internazionali ed una logica più attenta alla (pur sempre possibile) applicazione concreta della previsione, in un contesto caratterizzato dai numerosi

“correttivi” e “contrappesi” tipici, alla fine, della norma in azione e che possono portare anche alle interpretazioni di tipo “ortopedico” sopra richiamate.

La prospettiva sociologico-giuridica sopra richiamata permette però di continuare ancora nell’individuazione delle funzioni latenti della nuova previsione di cui all’art. 10-bis della l. 5 febbraio 1992, n. 91, evidenziando la possibilità anche di un qualche possibile effetto boomerang forse imprevisto che, alla fine, potrebbe paradossalmente giocare un ruolo nella problematica-base della concessione della cittadinanza; ed in effetti si tratta di una conclusione paradossale che risulta astrattamente possibile in molte (se non in tutte) le innovazioni normative, che possono essere pienamente valutate nelle loro conseguenze, solo dopo che la norma viene definitivamente “ambientata” nell’ambito normativo di riferimento.

Come ampiamente rilevato dalla dottrina114, la giurisprudenza amministrativa relativa alla concessione della cittadinanza per naturalizzazione ex art. 9 della l. 5 febbraio 1992, n. 91 ha importato una sostanziale razionalizzazione e limitazione del potere di alta amministrazione in questione che è stato sostanziale “irregimentato” attraverso il ricorso agli ordinari criteri di sindacato dell’attività amministrativa115, in una sistematica indubbiamente caratterizzata da un’ampia discrezionalità dell’amministrazione in ordine all’elemento centrale costituito dall’«integrazione dello straniero nel tessuto sociale, da valutarsi – anche solo sotto un profilo indiziario – alla luce delle sue frequentazioni e delle sue condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità di condotta»; per la

112 V. FERRARI, Diritto e società. Elementi di sociologia del diritto, cit., cap. III, 2.

113 V. FERRARI, Diritto e società. Elementi di sociologia del diritto, cit., cap. III, 2 che cita V. AUBERT, Alcune funzioni sociali della legislazione, in Quad. sociologia, 1965, XIV, 313.

114 P. LOMBARDI, Giudice amministrativo e cittadinanza: quale contributo per un concetto giuridicamente sostenibile?, cit., 9.

115 A titolo di esempio, si veda Cons. Stato, sez. III, 28 maggio 2013, n. 2920 (in Foro amm. CDS, 2013, 5, 1208) che ha applicato alle valutazioni in questione i canoni generali di proporzionalità e ragionevolezza, così imponendo la necessità di valutazioni globali e precise dell’eventuale pericolosità del richiedente la cittadinanza e del suo inserimento sul territorio nazionale.

concessione della naturalizzazione risulta pertanto necessario il possesso di «una sorta di cittadinanza

“sostanziale” che funge da presupposto per l’attribuzione del nuovo status giuridico» che è, allo stesso tempo, anche un’«“idea giurisprudenziale” di cittadinanza quale fruttuoso esito di un lungo processo d’integrazione supportato da una complessiva valutazione attinente alle qualità personali del richiedente e caratterizzato non solo dalla condivisione dei principi e dei valori che sono propri della comunità di riferimento, ma anche dalla presenza di una posizione economica stabile ed autonoma116».

In questo contesto, si inserisce anche la precisazione giurisprudenziale in ordine alla particolare rigorosità e cautela della valutazione in ordine all’opportunità di concedere la cittadinanza, in considerazione, proprio, della successiva impossibilità di revocarne la concessione: «la discrezionalità inerente alla concessione della cittadinanza tanto più dev’essere esercitata con la massima cautela, in quanto comunemente si ritiene che il relativo provvedimento, una volta emesso, non sia suscettibile di revoca per effetto di una rinnovata valutazione discrezionale (cfr. anche l'art. 22 della Costituzione, per il quale nessuno può essere privato, per motivi politici, della cittadinanza); a maggior ragione chi ha lo status di cittadino non può essere espulso, ancorché possieda, in ipotesi, una seconda cittadinanza. In questa luce si può sostenere che per giustificare il diniego (quanto meno con la clausola "allo stato") sia sufficiente una situazione di dubbio117».

In buona sostanza, la giurisprudenza amministrativa ha pertanto finora utilizzato l’irrevocabilità della cittadinanza per giustificare, sia la particolare rigorosità delle valutazioni dell’amministrazione in ordine alla concessione, sia, soprattutto, il ricorso a valutazioni prognostiche che finivano per attribuire rilevanza anche ad un semplice «dubbio» in relazione ad una «condotta di vita …(ed) alla potenziale incidenza di questa, per frequentazioni o inserimento in specifici contesti sociali, sulla sicurezza della Repubblica, anche in assenza di procedimenti penali a carico118»; un sostanziale bilanciamento di interessi tra irrevocabilità del provvedimento di concessione della cittadinanza e maggiore rigore e discrezionalità nella concessione che affondava le proprie radici nella sostanziale assenza di precisi parametri normativi in materia e che oggi appare destinato ad entrare in crisi, proprio per effetto del riconoscimento della possibilità di revocare la concessione della cittadinanza.

116 Citazioni da P. LOMBARDI, Giudice amministrativo e cittadinanza: quale contributo per un concetto giuridicamente sostenibile?, cit., 10; per un’analisi del diritto svizzero condotta secondo le categorie del Law and Literature e che porta alle medesime conclusioni, si veda F. DI DONATO, Le recit comme outil d’analyse juridique: perspectives «top down» et «bottom-up». Le cas de l’integration des étrangers en Suisse, in I.S.S.L. Papers, 2016 (liberamente consultabile sul sito : https://www.lawandliterature.org/index.php?channel=CONTENTS&year=2016). Con riferimento all’ordinamento francese, anche F. SUREAU, La déchéance de la nationalité : deux catégories de français ?, in Études, 2011, 4, 414, 483 rileva come i candidati a divenire cittadino francese debbano «faire la preuve, selon le Code civil (article 21-24) de leur « assimilation à la communauté française » –, soit se référer à une conception idéale du « vrai Français », insusceptible par nature de commettre aucun crime ou délit».

117 Cons. Stato sez. III, 4 marzo 2015, n. 1084, cit. e le altre sentenze citate alla nota 10.

118 P. LOMBARDI, Giudice amministrativo e cittadinanza: quale contributo per un concetto giuridicamente sostenibile?, cit., 10.

In un certo senso, le valutazioni relative alla concessione della cittadinanza sono quindi oggi certamente influenzate ed in un certo senso, “depotenziate” dal riconoscimento della possibilità di revocare la cittadinanza e, quindi, dall’entrata dell’istituto nei nuovi territori della revocabilità119.

Senza voler enfatizzare il riferimento giurisprudenziale a “rigorosità” e “cautela” delle decisioni amministrative di concessione della cittadinanza (ovvero ad un parametro essenzialmente mobile e di cui non è certo facile delineare precisamente i confini applicativi), l’introduzione nell’ordinamento della possibile revoca della cittadinanza appare probabilmente destinata ad assumere un ruolo anche nei procedimenti giurisdizionali relativi alla mancata concessione della cittadinanza, quando si discuterà della rilevanza di una qualche condanna per fatti penali (magari non gravi) diversi da quelli richiamati dall’art. 10-bis della l. 5 febbraio 1992, n. 91 e non attinenti al terrorismo; si potrà ancora predicare la particolare rigorosità delle valutazioni dell’amministrazione sulla base di un’irrevocabilità del provvedimento che non esiste più o si dovrà ritenere che è stato lo stesso legislatore ad individuare i fatti penali intollerabili per la permanenza dello status, così implicitamente escludendo la rilevanza di altri comportamenti penalmente rilevanti, ritenuti non in grado di determinare la necessità di procedere alla revoca della cittadinanza?

Il problema non è pertanto solo l’introduzione nell’ordinamento di una possibilità di revocare la cittadinanza finora non prevista, ma anche la limitazione della detta possibilità ad alcuni reati con i conseguenti dubbi applicativi in ordine alla possibilità di valutare reati, magari altrettanto gravi, sia ai fini della revoca (con conseguenti possibili tentativi di “allargare” l’ambito applicativo della norma, attraverso la proposizione delle relative questioni di costituzionalità), sia e soprattutto ai fini della concessione, non apparendo del tutto chiari i rapporti tra fase concessiva e fase della revoca della cittadinanza e la possibilità sistematica di mantenere i due momenti sistematicamente slegati.

Risulta pertanto più che legittimo un dubbio in ordine alla possibilità di continuare a praticare, per quello che riguarda il momento di concessione della cittadinanza, un’impostazione rigoristica ed ampiamente prognostica (che si è ovviamente formata sulla base dell’operare congiunto di una fattispecie concessiva caratterizzata da ampia discrezionalità e del principio di irrevocabilità della cittadinanza) in un contesto in cui è ormai caduto il dogma dell’irrevocabilità della cittadinanza ed è stato sostituito da un nuovo sistema fondato sulla tipizzazione precisa dei comportamenti di rilevanza penale che possono portare alla perdita dello status; l’alternativa è pertanto tra una ricostruzione

119 Anche F. SUREAU, La déchéance de la nationalité : deux catégories de français?, cit., 483 rileva come la previsione della déchéance de nationalité possa portare «paradoxalement à dévaloriser la nationalité française et ses procédures d’attribution, puisque précisément cette attribution ne peut être réputée définitive»; più articolata e maggiormente aderente al nesso tra momento concessorio ed eventuale revoca sopra evidenziato appare l’impostazione di P. WEIL, Qu’est-ce qu’un français? Histoire de la nationalité française depuis la révolution, cit., Cap. 9, La déchéance une contrepartie du libéralisme che rileva come «la déchéance, loin d’être étrangère au droit libéral de la nationalité, en est constitutive».

schizofrenica dei due momenti della fattispecie o una rivisitazione dell’orientamento relativo alla concessione della cittadinanza120.

O, forse, il contrasto è meno radicale di quanto potrebbe apparire ad una prima valutazione; la già citata previsione del nuovo art. 9.1 della l. 5 febbraio 1992, n. 91 relativa all’obbligo di essere in possesso del certificato di adeguata conoscenza della lingua italiana e la riduzione degli spazi di discrezionalità riconosciuti all’amministrazione in punto di concessione indirettamente derivante dall’introduzione dell’istituto della revoca della cittadinanza possono, infatti, sotto altro profilo, essere riportati anche ad una ratio unitaria, costituita appunto dalla riduzione dell’ampiezza della discrezionalità di valutazione nel momento concessivo, ovvero ad una (ancora embrionale, per la verità) opzione per una sostanziale riduzione degli spazi di discrezionalità in materia di naturalizzazione che potrebbe (forse) concretizzarsi ulteriormente nei prossimi anni, per effetto di ulteriori provvedimenti normativi e dell’evoluzione giurisprudenziale.

120 In buona sostanza, si tratta pertanto della stessa impostazione di A. MITROTTI, Il rovesciamento di prospettiva sulla misura di revoca della cittadinanza nel ‘dibattuto’ Decreto sicurezza ‘Salvini’, cit., 75, applicata alla fase di concessione della cittadinanza.

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