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Le funzioni della rete: gestione della filiera e dei processi d

Per tradurre in modo operativo queste dimensioni della cooperazione, sono state identificate due aree, che occupano uno spazio fondamentale nelle reti d’impresa del settore agroalimentare.

La prima dimensione è la ‘cooperazione per il business’, ovvero per stabilizzare, garantire ed eventualmente sviluppare le relazioni all’interno della filiera, sia tra clienti e fornitori nelle diverse fasi del processo produttivo, sia tra partner, quando si è alla ricerca di economie di scala per arrivare a determinati volumi, ad esempio per la vendita alla Grande Distribuzione o per l’esportazione, oppure per la condivisione del rischio, nel caso di nuovi progetti e investimenti, o ancora per la creazione di economie di scopo, associando mix di prodotti diversi e specializzazioni complementari.

In questo caso, la funzione abilitante della cooperazione in rete è stabilizzare e ottimizzare un segmento di attività della filiera. Quando sono in atto processi d’innovazione, questo tipo di collaborazione è fondamentale sia per controllare costi e ricavi, sia per introdurre regole e incentivi che abbiano la logica di sostenere i processi di miglioramento, che possono riguardare diversi aspetti: la qualità della produzione, i tempi di consegna, il mix di prodotti, il livello di certificazione e tracciabilità, ecc.. Aderire ad una partnership, dunque, può essere un potente strumento per orientare l’evoluzione della propria impresa, all’interno di un disegno collettivo.

La seconda dimensione è la ‘cooperazione per l’apprendimento’, che si sviluppa quando i partner nell’attività di transazione non si limitano a formulare e rispettare regole di scambio definite, ma si dotano di strumenti e metodi per migliorare l’oggetto dello scambio, oltre che le regole stesse, attraverso la messa in comune di informazioni e conoscenze. In qualche caso la cooperazione è direttamente finalizzata all’apprendimento, quando ad essere messe in comune sono la ricerca, lo sviluppo di nuove conoscenze, lo studio di loro applicazioni.

Tavola 2.2 – Schema per l’analisi della cooperazione

Dunque, le due dimensioni – cooperazione per il business e per l’apprendimento - sono concettualmente distinte, si avvalgono di strumenti specifici e danno luogo a risultati diversi, anche se nella pratica si trovano in certa misura compresenti.

L’utilità di tenerle distinte scaturisce proprio dalla necessità di identificare con precisione le funzioni del rapporto di cooperazione, le condizioni e gli strumenti che richiedono e il tipo di contributo che possono dare ai processi innovativi.

La cooperazione per il business può utilizzare strutture giuridiche, come la società cooperativa o la società consortile, forme contrattuali per disciplinare la collaborazione e sistemi di incentivi, positivi e negativi, per tenere allineati i comportamenti dei partner agli obiettivi della partnership.

La cooperazione per l’apprendimento può essere più facilmente informale ma richiede che i partner siano coinvolti in un processo di analisi, di diagnosi condivisa di qualche problema, su cui si intende esercitare lo sforzo di

apprendimento. Si può trattare di un problema molto concreto, legato al processo produttivo, alla qualità, al marketing, ecc., ma anche a questioni di ordine un po’ più generale, come le strategie di mercato, la soddisfazione dei clienti, i progetti di investimento, la ricerca precompetitiva, ecc. È attraverso l’interazione che vengono ipotizzate soluzioni, o adattamenti, finalizzati a migliorare il processo produttivo. Questi possono essere sperimentati e produrre cambiamenti di carattere permanente delle pratiche di lavoro, destinate a diventare lo standard, o il disciplinare, adottato per affrontare quella determinata situazione o problema. Questo ciclo di apprendimento può essere molto rapido, quando un gruppo di tecnici studia ad esempio la soluzione ad un piccolo problema meccanico di un impianto e individua un cambiamento da apportare a qualche attrezzatura o fase di lavorazione, mentre può durare mesi o anni, se si tratta di sperimentare ad esempio nuove pratiche di trattamento delle piante, o dei terreni, che richiedono di osservare cicli stagionali e di fare prove ripetute nel tempo.

Ciò che distingue un processo di apprendimento – come l’abbiamo definito – da altre situazioni di relazione, è la condivisione di un problema e l’interesse e la disponibilità, da parte di tutti i partner, a sviluppare con metodologie condivise un percorso per la sua comprensione e l’elaborazione della soluzione più efficace e conveniente. È evidente che questo processo è impegnativo, richiede investimenti da parte di tutti i partecipanti, ma consente anche una mobilitazione di nuove risorse, sia riguardo alle modalità di osservazione del problema e di ricerca delle conoscenze disponibili, sia rispetto all’esplorazione e alla sperimentazione di soluzioni. Il confine che distingue, ad esempio, l’addestramento dei fornitori da parte di un’impresa, condotto in modo direttivo e gerarchico, da una cooperazione con i fornitori finalizzata ad accrescere il valore per il cliente, è proprio la costruzione di uno spazio che consenta a tutti i soggetti di partecipare al processo di miglioramento, valorizzando la capacità di tutti di elaborare soluzioni utili all’obiettivo comune.

Come è facilmente intuibile, tale approccio è più facilmente praticabile se un’impresa, al suo interno, indipendentemente dalle dimensioni, lavora secondo logiche cooperative: gli operatori sono abituati a lavorare in squadra, ad essere coinvolti dai superiori, a fare formazione sui problemi, ad essere incentivati per il miglioramento raggiunto, a considerare fondamentale raccogliere informazioni dai clienti interni ed esterni, ad osservare, misurare, studiare i problemi, proporre

Esiste quindi un rapporto molto stretto tra l’apprendimento in impresa e il modo di lavorare nelle reti.

Per le piccole imprese esiste un ulteriore problema rilevante, che riguarda il rapporto tra le conoscenze interne all’impresa, padroneggiate dal titolare o da dipendenti stabili, e le conoscenze strategiche, acquisite attraverso consulenti ed esperti esterni. Un esempio è il contributo dell’enologo, o di chi si occupa della salute delle piante e dei trattamenti. Se queste competenze sono esterne all’impresa, essa ha più difficoltà a mettere in atto processi di apprendimento ma può cercare di stabilizzare la cooperazione, rivolgendosi ad esperti che in qualche modo stanno all’interno di reti cui si partecipa.

Perché queste forme di cooperazione siano efficaci, come propone la ricerca dell’AIP, è importante che sia presente tra i partner un livello adeguato di condivisione delle finalità comuni e di un’identità collettiva sugli aspetti oggetto di cooperazione, di intensità corrispondente al livello di impegno richiesto. Tale requisito culturale non è quasi mai dato da condizioni preesistenti, ma deve essere faticosamente costruito in modo graduale attraverso la cooperazione. Per questo, sostenere i processi innovativi attraverso la cooperazione è un processo lungo e impegnativo, che richiede uno sviluppo coerente e stabile nel tempo.

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