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Fusione elusiva per mancanza dei requisiti di cui all’articolo 37 bis del D.P.R n.

3. F ATTISPECIE DI ELUSIONE TRIBUTARIA : ANALISI DI ALCUNE RISOLUZIONI RESE

3.2 Fusione elusiva per mancanza dei requisiti di cui all’articolo 37 bis del D.P.R n.

bis del D.P.R. n. 600/1973: la risoluzione n. 62/E 28/02/2002

Un’interessante chiave di lettura ed applicazione del principio sancito dall’articolo 37 bis del D.P.R. n. 600/1973, è data dalla risoluzione n. 62/E del febbraio 2002, emanata dall’Agenzia delle Entrate in risposta ad un’istanza di interpello antielusivo, formulata ai sensi dell’articolo 21 della legge n. 413/1991, al fine di fornire chiarimenti circa la validità delle ragioni economiche poste a fondamento dell’operazione di fusione.

L’istanza, si riferiva al caso della società XX operante nel commercio di combustibili, carburanti e lubrificanti, nonché nella manutenzione di impianti termici, che si trovava in stato di liquidazione, pur non avendo ancora, al momento della presentazione dell’istanza, iniziato la distribuzione dell’attivo. La stessa, deteneva una partecipazione di controllo totalitaria nella società YY S.p.a. con medesima ubicazione della sede legale della controllante ed avente come oggetto sociale l’installazione, la gestione e la manutenzione degli impianti stradali per la distribuzione di carburante; tuttavia, in uno scenario di forte declino industriale che si apprestava ad interessare tutto il settore energetico, a causa dell’incremento del costo carburante gravante sui bilanci familiari e sui conti pubblici, “in condizioni di oggettiva difficoltà di ulteriore crescita del

settore”, anche la YY sarebbe stata messa in liquidazione nei mesi successivi,

mostrando come l’intero Gruppo versasse in una tale crisi da essere destinato alla cessazione.

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In un simile contesto, la società XX aveva intenzione di porre in essere un’operazione di fusione per incorporazione della controllata (la cui decorrenza sarà contestuale alla data di iscrizione nel Registro delle Imprese presumibilmente, nel mese di maggio 2002), non intendendo in alcun modo sfruttare il disavanzo da annullamento che ne sarebbe derivato, in forza del principio di neutralità fiscale sancito all’articolo 172 del T.U.I.R.

Le ragioni economiche addotte dalla controllante, fondavano il compimento di tale operazione nella difficile situazione economica che stava attraversando il Gruppo, nel necessario risparmio di oneri amministrativi e nel reperimento delle risorse strumentali necessarie nella fase di liquidazione.

In particolare, l’attuazione dell’operazione “avrebbe consentito di alienare una

serie di infrastrutture e beni strumentali (cisterne, depositi, distributori) in maniera più rapida, più economica e più vantaggiosa”: in altri termini, la

giustificazione economica della fusione sarebbe stata quella di ottenere migliori realizzi dei beni delle due società, oltre che vistose semplificazioni di ordine amministrativo-contabile285.

Dall’esame della documentazione patrimoniale, addotta dal soggetto, l’Ufficio ravvisò, inoltre, in capo all’incorporante, ingenti perdite (sia perdite su crediti ante fusione che ulteriori perdite derivanti dall’attività di liquidazione) e in capo all’incorporata notevoli plusvalenze derivanti da cessioni di rami d’azienda. Tale fattispecie pone, dunque, un problema di elusione con riferimento alla disposizione contenuta nell’articolo 37 bis del D.P.R. n. 600/1973; infatti, la disposizione in questione, come si è visto, richiede la presenza di alcuni elementi per decretare il carattere elusivo dell’operazione: l’attuazione di alcune operazioni rientranti nel terzo comma della norma, l’assenza di valide ragioni economiche, il reale tentativo di aggirare obblighi o divieti imposti dall’ordinamento e il conseguimento di un risparmio d’imposta disapprovato dal

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Inoltre, l’attuazione dell’operazione permetterà una pianificazione unitaria dei piani di ammortamento dei debiti e delle azioni di recupero dei crediti.

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sistema: la mancanza anche solo di uno dei suddetti requisiti, porterebbe alla conclusione che l’operazione non possa essere considerata elusiva.

La risposta dell’Amministrazione finanziaria fornisce utili spunti per la comprensione non

solo del caso di specie, ma anche di principi validi in generale.

Essa prende le mosse dalla considerazione che l’ordinamento tributario concede al contribuente la facoltà di pianificare l’imposizione fiscale, ossia “di scegliere

tra più comportamenti consentiti dall’ordinamento, quello fiscalmente meno oneroso”, ma a ciò essa aggiunge la necessità che non si tratti di un risparmio

“patologico”, ossia di un abuso della legislazione al fine di sfruttarne lacune o difetti, ottenendo risparmi che, seppur formalmente legittimi, contrastino con il sistema nel suo complesso.

Fatta tale premessa, la risoluzione si incentra sul problema della presenza, nel caso prospettato, delle valide ragioni economiche, che costituisce l’unico requisito di elusività a destare forti perplessità.

In riferimento a ciò, l’Amministrazione afferma che “l’operazione di fusione

rappresenta uno dei mezzi per giungere alla crescita delle dimensioni dell’impresa ed alle conseguenti economie di scala, dove l’obiettivo di fondo è, di norma, il rafforzamento della posizione dell’impresa sul mercato e il miglioramento della propria capacità competitiva”: ad esempio, può essere

funzionale all’incremento della produttività o, in vista di un allargamento del mercato, di acquisire nuovi vantaggi concorrenziali, o semplicemente finalizzata ad acquisire particolari conoscenze tecnologiche o professionalità che appaiono necessarie in vista dei cambiamenti in atto.

Essa, inoltre, ammette la possibilità che l’operazione ivi considerata abbia un intento puramente finanziario, come sarebbe se si intendesse costruire un complesso in grado di reperire maggiori risorse finanziarie, o anche di aumentare la capacità di credito (agendo sulla leva dei costi).

Dal testo della risoluzione emerge che la fusione risulterebbe economicamente motivata quando “finalizzata a determinare delle sinergie produttive,

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commerciali, finanziarie tra le realtà aziendali che si fondono”, tuttavia quanto

appena stabilito non emerge nel caso appena citato.

E’ perciò sulla base di tali considerazioni che l’Amministrazione Finanziaria ritiene che “l’operazione prospettata presenti profili di elusività”: da essa, difatti, non emergono le ragioni suesposte, ma soltanto l’intento di risparmiare gli oneri del gruppo aziendale e di consolidare le risorse necessarie nella fase liquidatoria; ed è pur vero che le fusioni possono avere lo scopo di agire sulla leva dei costi, o avere motivazioni meramente finanziarie, ma esse devono essere perseguite sempre al fine di aumentare la competitività o la produttività complessiva dell’impresa, nell’ottica di accrescerne la vitalità economica.

Nel caso in esame, l’assenza totale di valide ragioni economiche a supporto dell’operazione veniva comprovata dalla volontà di perseguire un obiettivo “insolito”, che era per l’appunto quello di creare una nuova entità economica da porre successivamente ed immediatamente in liquidazione.

Questa condizione non ha fatto altro che ingenerare nell’Ufficio la convinzione secondo cui la fusione avrebbe “solo” determinato un consistente risparmio d’imposta, in quanto avrebbe permesso di utilizzare post fusione le perdite maturate dalla controllante, altrimenti inutilizzabili negli esercizi futuri, compensandole con le plusvalenze della controllata derivanti dalle cessioni dei rami d’azienda, altrimenti assoggettate a tassazione ordinaria.

Altrettanto indubbio è poi che tale compensazione avrebbe comportato l’aggiramento del principio posto dal vecchio articolo 102 del T.U.I.R. (oggi, è l’articolo 84 del T.U.I.R.), il quale disciplinava i limiti quantitativi e temporali del riporto delle perdite nei periodi successivi286, nonché il principio generale del divieto di “compensazione intersoggettiva” fra utili e perdite287, essendo il nostro ordinamento tributario improntato ad un criterio eminentemente soggettivo.

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Tale norma stabiliva che “la perdita di un periodo d’imposta potesse essere computata in diminuzione del reddito complessivo dei periodi d’imposta successivi ma non oltre il quinto, per l’intero importo che trova capienza nel reddito complessivo di ciascuno di essi”.

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Tale divieto prevede che, mentre sono possibili, seppur con limitazioni, compensazioni tra utili e perdite di uno stesso soggetto anche se riferibili a diversi periodi d’imposta (cd.

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Infine, a maggior sostegno dell’elusività dell’operazione considerata nel suo complesso, vi è la circostanza che la fusione sembrava dovesse durare il tempo necessario per poter “assorbire” le perdite della controllante che altrimenti, come detto, sarebbero rimaste inutilizzabili per la mancata previsione di redditi futuri. Concludendo, è possibile notare, quindi, come l’operazione descritta presenti evidenti profili di elusività, così come emerge dall’esame degli atti trasmessi, non risultando economicamente valide le ragioni addotte dall’istante, il cui compimento della fusione porterebbe a rafforzare le strutture societarie interessate e a creare organismi più forti e competitivi, ma al conseguimento di indebiti risparmi d’imposta e alla successiva liquidazione del Gruppo stesso.

3.3 Il commercio delle cd. “bare fiscali” ed i limiti previsti