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Galleria Gian Enzo Sperone

Il primo incontro tra Tommaso Trini e Gian Enzo Sperone avviene alla galleria Sonnabend durante l’inaugurazione della personale di Pistoletto nel marzo 1964. Trini ricorda Sperone come una persona riservata e di poche parole, ma dotato del “furore” indispensabile per operare nel mondo dell’arte, di quell’impeto dei “veri creatori”, capaci di rischiare tutto nell’arte, come Ileana Sonnabend.30

In quel periodo, Sperone sta per lasciare la galleria Il Punto per aprire un proprio spazio. Infatti, nel maggio 1964, si inaugura la galleria Gian Enzo Sperone, che presenta una mostra collettiva con tre artisti italiani e un americano: Mimmo Rotella, Aldo Mondino, Michelangelo Pistoletto e Roy Lichtenstein. Nell’avviare la propria attività di gallerista, Sperone non dispone né di capitali né di collezioni. Le mostre che si sono susseguite con le opere di Christo, Robert Rauschenberg, James Rosenquist, Andy Warhol, Jim Dine, Claes Oldenburg e altri artisti americani presso la galleria Sonnabend vengono affidate alle mani di Sperone, ma la maggior parte delle collezioni importanti dev’essere restituita a Parigi:

Al tempo in cui introdusse la pop art in Italia, non disponeva di capitali né di collezione. Le opere d’oltre Atlantico gli venivano affidate perché fluissero in raccolte influenti. Certi pezzi, poi, erano di tale spicco che dovevano tornare oltre Senna. Che fare per

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30. Cfr. Tommaso Trini, Gian Enzo Sperone. Arte è compiere la

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acquistarne uno o due con i propri sudati guadagni? Fare figurare che li aveva voluti quel certo collezionista di prestigio. Fu così che il giovane gallerista potè trattenere per sé un gran bel Rauschenberg. 31

Con le mostre organizzate presso la galleria che porta il suo nome, Gian Enzo Sperone presenta gli artisti pop della galleria Sonnabend e altri artisti minimalisti della galleria di Leo Castelli – Roy Lichtenstein, Christo, Robert Rauschenberg, James Rosenquist, Andy Warhol, Jim Dine, Claes Oldenburg, Tom Wesselmann, Dan Flavin, Jon Chamberlin, Robert Morris. Se nei primi due anni di vita la galleria Sperone si concentra maggiormente sugli artisti pop americani, salvo presentare alcuni italiani come Lucio Fontana, Enrico Castellani, Ettore Sottsass jr, Antonio Carena e Michelangelo Pistoletto, a partire dal 1966 Sperone, lasciandosi guidare inizialmente da Pistoletto sulla scelta delle mostre da allestire, si concentra sulla nuova generazione di artitisti che lavorano a Torino, Roma e Milano, che saranno poi raggruppati sotto l’etichetta di Arte Povera da Germano Celant alla fine del 1967. Sono Pino Pascali, Piero Gilardi, Gianni Piacentino, Luciano Fabro, Mario Merz, Marisa Merz, Gilberto Zorio e Giovanni Anselmo. Gli artisti della galleria Sperone sono amici frequentati da Clino Castelli. Tra gli anni 1962 e 1966, mentre Tommaso Trini lavora e studia a Londra e a Parigi, Clino vive a Torino e a Milano un periodo di trasformazioni nei linguaggi dell’arte. Il suo contatto con il mondo dell’arte è iniziato con l’acquisto ---

31. Cfr. Tommaso Trini, Gian Enzo Sperone. Arte è compiere la

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di un opera di Pistoletto da Gian Enzo Sperone, che costituisce il primo anello di frequentazioni assidue con alcuni artisti dell’ambito torinese. Le opere come Ritratto di Clino (1963) di Pistoletti e CLINO (1966) di Boetti dimostrano l’amicizia e l’importanza di Clino Castelli tra gli artisti. Secondo chi scrive, grazie al fratello, il circuito pre-poverista diventa presto familiare anche a Trini, il quale instaura un rapporto di amicizia con artisti come Pascali, Boetti, Gilardi, Zorio, Anselmo, Merz, Penone, Fabro, e tanti altri ancora.32

Alighiero Boetti, CLINO

Vernice industriale, legno, lettere di sughero 70 x 70 x 8 cm. foto A. Osio, Courtesy Galleria Christian Stein, 1966

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32. Sul contributo di Clino Castelli circa l’introduzione di Trini nell’ambito di “Domus” e nel circuito degli artitisti torinesi, vedasi in questa tesi, p. 74.

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Nel 1966, Margherita Christian Stein apre un nuovo spazio espositivo a Torino. La galleria Christian Stein possiede l’intera opera prima di Alighiero Boettie organizza nel 1967 la prima personale dell’artista pugliese e di seguito le mostre di Giuseppe Penone, Giberto Zorio, Giovanni Anselmo, Gino De Dominicis con regolari acquisti delle loro opere.33 Grazie al

contributo degli artisti e di galleristi, tra cui Gian Enzo Sperone e Christian Stein, Torino diventa la città locomotiva per la nascente Arte Povera.

Trini rivede Sperone in occasione della mostra personale di Pino Pascali organizzata nel gennaio 1966. Pistoletto e Sperone coinvolgono Trini per l’allestimento delle “Armi”, così egli collabora per la prima volta con la galleria Sperone34 e

riallaccia il suo legame con l’ambiente dell’arte torinese. Il critico conserva ottimi ricordi del suo primo incontro con Pascali, come dichiara in un’intervista concessa alla galleria Fritelli di Firenze in occasione di una mostra organizzata in omaggio all’artista nel 2006:

Ho conosciuto Pino Pascali nel 1966 e ne conservo un gran bel ricordo. Ero appena tornato da Parigi, dove avevo vissuto per cinque anni, frequentando parecchio Ileana e Michael Sonnabend. Tornando a Torino, dove ero cresciuto nell’arte insieme con Pistoletto, conobbi Sperone (che da lì a poco avrebbe aperto una galleria anche in via Bigli a Milano) e gli artisti poi detti “poveristi”,

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33. Cfr. Jean Louis Maubant, in Collezione Christian Stein. Una storia

dell’arte italiana, Electa, Milano, 2010, pp. 24-26.

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con i quali cominciai a collaborare. Una delle prime collaborazioni riguardò l’allestimento della mostra delle “Armi” di Pascali, che Sperone realizzò a Torino nel 1966, su consiglio di Pistoletto. Ebbi un rapporto molto semplice, molto signorile. Pino era una persona dolce, un pugliese di gran finezza. Era un uomo bellissimo e soprattutto gentile, in cui rivedo una punta di tristezza.35

Nel 1965, Pascali comincia a produrre una serie di opere che simulano le armi - cannone, missile, bomba, mitragliatrice, contraerea - costruite con ferraglia, lamiere, legno, tubi, pezzi meccanici di recupero. Queste opere simili alle armi risultano in un certo qual modo ambigue, perché al primo impatto con l’opera subentra il dubbio se l’artista voglia mostrare un intervento pacifico contro la guerra – va ricordato che siamo in piena guerra del Vietnam e che l’artista trascorse la sua infanzia negli anni della seconda guerra mondiale - o intenda proporre una trasposizione del mondo ludico dei bambini, innocenti e ignari della gravità delle guerre, nel mondo di finzione dell’arte. Il senso del gioco è il principale punto di forza e di “leggerezza” nella poetica di Pascali.

Vengono impiegati diversi giorni per montare le sculture di armie, alla fine dell’allestimento,36 Trini nota come esse non

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35. Tommaso Trini, L’intervista su Pino Pascali, in Pino Pascali, catalogo della mostra, Fritelli Arte Contemporanea, Firenze, ottobre 2006.

36. Pascali regala a Trini il suo giubbotto di pelle per manifestargli la gratitudine per l’aiuto ricevuto. Nel 1968, durante la manifestazione alla Biennale di Venezia, Ugo Mulas immortala Trini con questo giubotto di Pascali durante lo scontro con la polizia. Vedasi in questa tesi, p. 191; pp. 339-341.

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siano solo sculture ma creino “ambiente” in uno spazio espositivo non molto grande.Trini crede di individuare in esse una testimonianza della Pop Art all’italiana, denotando una confluenza con “l’immaginario collettivo e i mass-media”. Tuttavia, approfondendo la conoscenza dei lavori di Pascali, il critico scopre nella sua opera un mondo di modelli platonici e di metafisica dechirichiana, e nei suoi assemblaggi di armi la rappresentazione di uno spirito pressoché cavalleresco. Dell’artista Trini loda la “capacità di concentrarsi sull’arte come rapporto sociale ma senza farne una bandiera politica”.37

Sia la collaborazione agli allestimenti che la partecipazione alle performance come Area Condizionata o Campo Urbano da parte di Trini,38 costituiscono le prove della sua militanza

critica, perché egli non è solo un critico che contempla e scrive, ma è un critico “engagé” che partecipa e agisce con gli artisti come loro compagno di strada. In questo senso Trini è molto affine a Carla Lonzi, e ambedue prediligono l’intervista per colloquiare con colleghi critici e artisti.39

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37. Cfr. Tommaso Trini, L’intervista su Pino Pascali, op. cit. 38. Vedasi in questa tesi, p. 85; p. 317.

39. Nel 1968, Trini, Lonzi e Volpi curano insieme le interviste dal titolo

Tecniche e materiali pubblicate su “Marcatrè”, nn. 37/38/39/40, pp.

66-85: Trini cura le domande rivolte a Mari, Colombo, Pistoletto, Mambor, Piacentino, Nandavigo, Boetti e Gilardi; la Lonzi cura Fontana, Consagra, Nigro, Castellani, Paolini e Alviani; la Volpi cura Burri, Colla, Leoncillo, Perilli, Dorazio, Accardi, Hafif, Lombardo, Uncini, Verna, Kounellis, Pascali, Marchegiani e Lorenzetti. Inoltre, Lonzi redige Autoritratto (De Donati, 1969) e Trini, Argan. L’intervista sulla fabbrica dell’arte (Laterza, 1980).

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Nel giugno 1966 Robert Smithson pubblica su “Artforum” Entropy and The New Monuments. Questo saggio affronta il tema delle strutture primarie in relazione alla seconda legge della termodinamica. Trini è talmente affascinato dai contenuti di questo testo da tradurlo per intero, distribuendo alcune copie, prodotte a carbone con la macchina per scrivere, agli amici del fratello nel circuito torinese della galleria Sperone: Pistoletto, Boetti, Zorio, Gilardi e altri.40 Trini,

già appassionato di cibernetica, la nuova scienza sviluppata da Norbert Wiener, è interessato alla Minimal Art, e in occasione della mostra “Primary Structures” si avvicina maggiormente alle scienze fisiche grazie al saggio di Smithson.41

Sotto l’influenza di questi scenari italiani e internazionali della seconda metà degli anni Sessanta, gli interessi di Trini si concentrano sul rapporto tra scienze e funzioni dell’arte, sul mondo dell’arte neoavanguardista e sulle correnti d’arte: Minimal Art, Conceptual Art e Earthworks ossia Land Art. L’arte della fine degli anni Sessanta e di tutto il decennio degli anni Settanta si dirige verso la smaterializzazione, mettendo in evidenza il comportamento e il valore concettuale. Quindi la ricerca del linguaggio plastico viene messa in un secondo piano. Ovviamente, l’interesse di Trini si estende all’arte anti-iconica che toglie totalmente la visualità dell’opera, ossia la sua visibilità, e può arrivare ad abbracciare ---

40. Fonte diretta dalla conversazione con Trini, maggio 2016. Purtroppo la traduzione del testo di Smitson si è persa durante i vari traslochi di Trini.

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persino una riflessione o una discussione sull’arte, allargando il significato dell’arte stessa. È il caso di Jan Wilson che comunica oralmente le sue riflessioni sull’arte. Infatti, nel settembre 1971, nel primo numero della rivista “Data”, Trini dialoga con Wilson sempre sotto la forma dell’intervista.42 La

comunicazione verbale come forma d’arte praticata dall’artista crea situazioni in cui egli dialoga con altri artisti o persone di quell’ambito che fanno parte del sistema dell’arte su svariati temi legati all’arte.

Nell’aprile 1966, due anni dopo l’apertura della sede torinese, Gian Enzo Sperone decide di dare vita a Milano a una succursale della propria galleria, aprendo le porte a Lichtenstein, Warhol, Dine e Rosenquist.

Sperone propone una collaborazione a Trini per la galleria di Milano, e Trini accetta la sua proposta. La galleria di Milano non avrà lunga vita, tuttavia Tommaso Trini collabora per quattro stagioni con Sperone, a partire dall’autunno del 1966, vedendo nascere mostre importanti come quelle di Dan Flavin, Michelangelo Pistoletto, Piero Gilardi, Gianni Piacentino, Luciano Fabro, Ettore Sottsass jr.

Trini avvia quasi contemporaneamente la sua attività critica d’arte su “Domus”, intervenendo logicamente anche sugli artisti presentati in mostra da Sperone, fornendo un contributo notevole alla promozione della galleria stessa e degli artisti poveristi.

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42. Tommaso Trini, Intervista con Jan Wilson, in “Data”, n. 1, pp. 32- 34.

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La galleria di Sperone a Milano si trova in via Bigli n. 24, vicino alla galleria Il Milione, e a due passi dalla via Montenapoleone e via Manzoni. La nuova galleria di Sperone registra un’affluenza irrilevante e ospita pochi collezionisti importanti, salvo Panza di Biumo e Lucio Fontana. Il primo colleziona soprattutto l’arte americana, su consiglio di Leo Castelli, e ha acquistato tutta l’esposizione di Dan Flavin, organizzata nella galleria di Sperone a Milano nel febbraio 1967. Fontana, invece, è una sorta di protettore dei giovani artisti italiani, di cui acquista lavori in segno di solidarietà. Gian Enzo Sperone si riserva ogni potere decisionale e ogni responsabilità all’interno della galleria e stabilisce il programma delle mostre. Per tale motivo Tommaso Trini non viene coinvolto nelle attività prettamente curatoriali e commerciali della galleria, che in ogni caso non rientrano nei suoi interessi personali. Oltre all’attività critica, Trini svolge talvolta mansioni di segreteria per la galleria. In definitiva i suoi contribuiti arrivano alla galleria Sperone indirettamente, attraverso le sue recensioni o i saggi dedicati agli artisti di Sperone e pubblicati sulle pagine di “Domus”, “Bit”, “Flash Art” e sui cataloghi. Per Trini l’esperienza presso la galleria Sperone di Milano è importante soprattutto perché tale spazio rappresenta per lui il luogo ideale per stringere contatti amichevoli con galleristi come Arturo Schwarz, Beatrice Monti, Giò Marconi, Franco Toselli, oltreché con i due collezionisti di grande qualità come Panza di Biumo e

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Lucio Fontana.43

La galleria di Milano non risulta renumerativa, e Sperone decide di chiuderla dopo un anno e mezzo dalla sua apertura, proponendo come l’ultimo evento, nel giugno 1967, una mostra dedicata a Piacentino. Le ragioni di questo insuccesso a Milano sono dovuti a diversi fattori. È probabile, come sostiene Beatrice Monti della Galleria dell’Ariete che la città di Milano sia troppo concentrata sul design e sulla moda, idea in parte condivisa da Tommaso Trini:

La città esprimeva il contrario di ciò che noi pensavamo dovesse essere l’arte. Imperversava il design, questo prima dell’era dei “sarti”, la produzione consumistica di oggetti finalizzati alla “casa”, che è da sempre il centro della sensibilità estetica milanese. Per noi l’arte a Milano si era venduta l’anima all’imbottito. L’arte non interessava, a parte forse quella di Castellani, così anche la nostra galleria non ebbe successo malgrado facesse mostre bellissime, malgrado il fatto che tutte le luci del design non avrebbero mai raggiunto l’intensità spirituale di un neon di Dan Flavin.44

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43. Cfr. Tommaso Trini, Gian Enzo Sperone, op. cit. Trini instaura con Panza di Biumo e Lucio Fontana uno stretto rapporto di amicizia e di stima che ha conseguenze anche sul piano professionale: Trini infatti dedica loro numerosi testi critici e/o l’interviste. Questo argomento verrà affrontato più approfonditamente nel capitolo Incontri: Argan, Fontana e Panza di Biumo, in questa tesi, pp. 139-172.

44. Marco Di Capua, Intervista a Tommaso Trini, in Roma Anni ’60. Al

di là della pittura, catalogo della mostra, Roma, Palazzo delle

esposizioni (20 dicembre 1990-15 febbraio 1991), Edizioni Carte Segrete, Roma, 1990, p. 378.

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Una seconda ragione per la quale la galleria di Milano non ha riscosso l’interesse del mercato meneghino, secondo Trini si deve al fatto che Sperone non ha avuto tempo e occasioni per frequentare i salotti milanesi e i loro collezionisti. Tuttavia, nel dicembre 1969, quando Trini fa un viaggio insieme a Sperone e al collezionista Pierluigi Pero a New York, percepisce un imminente cambiamento della situazione a favore del gallerista. Sperone e Pero incontrano LeWitt e Brice Marden per organizzare loro mostre in Italia e, inoltre, stringono accordi con artisti concettuali come Lawrence Weiner, Robert Barry, Douglas Huebler. Proprio grazie a queste scelte d’artisti, Sperone comincia a progettare la sua attività commerciale con successo fondato sull’esercizio delle responsabilità.45

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