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Gascromatografo con spettrometro di massa (GC-MS)

CAPITOLO 4 – Materiali e metodi

4.2.6 Gascromatografo con spettrometro di massa (GC-MS)

È possibile combinare la tecnica gascromatografica (GC) con quella della spettrometria di massa (MS) per ottenere una determinazione quantitativa e qualitativa di una vasta tipologia di sostanze, che sono generalmente organiche e caratterizzate da un basso peso molecolare, bassa polarità e con una temperatura di ebollizione inferiore a 300°C.

Dall’utilizzo dello spettrometro di massa come rivelatore a seguito del gascromatografo, si ha il vantaggio di ottenere una migliore sensibilità rispetto a quella che si avrebbe utilizzando i detector comunemente usati dai GC; inoltre è possibile identificare il composto chimico esaminato. Pertanto i due strumenti se impiegati insieme hanno una capacità analitica nettamente superiore rispetto a quella relativa alle due metodologie utilizzate separatamente. Nella figura sottostante è raffigurato il GC-MS utilizzato in questo lavoro di tesi.

Figura 4.10 Foto del GC-MS impiegato nelle analisi

Il GC separa le sostanze chimiche di una miscela in base alle loro differenti proprietà chimiche. Se però i composti presenti nella miscela da analizzare non sono facilmente separabili o non sono rilevabili dal gascromatografo, bisogna rendere la sostanza chimica idonea all’analisi con tale strumento. A questo scopo, viene utilizzata una tecnica molto diffusa, chiamata processo di derivatizzazione: l’analita in esame è trasformato in una sostanza che abbia una natura chimica simile e che sia rilevabile dal GC (paragrafo §4.3). Non appena i singoli composti presenti nella miscela da analizzare sono separati, essi giungono all’interno dello spettrometro, in cui sono sottoposti ad un processo di ionizzazione e una conseguente frammentazione.

4.2.6.1 Gascromatografia

Il gascromatografo permette di separare analiticamente dei componenti presenti in una miscela; è possibile analizzare campioni sia gassosi che liquidi. Però vi è una grande limitazione nell’utilizzo di questa tecnica in fase gassosa: il campione deve avere la temperatura di evaporazione inferiore ai 300 °C, che corrisponde alla temperatura generalmente ottenuta dai forni inseriti negli strumenti in commercio.

Analogamente a tutte le diverse cromatografie, il gascromatografo effettua una ripartizione dei diversi composti sulla base dell’interazione che essi possiedono con la fase stazionaria e la fase mobile; tale interazione dipende dall’affinità delle varie sostanze con la fase mobile, che è costituita da un gas inerte (generalmente elio). Considerando con le sigle Cm e Cs le due concentrazioni di un composto rispettivamente nella fase mobile e nella fase stazionaria, è possibile ottenere il rapporto tra le due concentrazioni, definito K. Quest’ultimo è nominato

coefficiente di distribuzione ed è un’indicazione di come la sostanza interagisce con la fase mobile e con quella stazionaria. Dal valore assunto da K dipende il tempo di ritenzione, che è il tempo necessario al composto per passare attraverso l’intera fase stazionaria. Tale proprietà è più elevata se tra la fase mobile e quella stazionaria si creano delle interazioni per cui alcune sostanze sono mantenute all’interno della colonna per un tempo maggiore. Nel caso in cui l’eluente (fase mobile) incontri difficoltà a trascinare con sé alcuni composti attraverso la colonna, vuol dire che le sostanze in questione non sono affini a lui.

Gli elementi principali che compongono un gascromatografo sono: sistema di iniezione, una colonna e un rivelatore.

In figura è rappresentata la struttura del GC.

Figura 4.11 Schema della struttura di un gascromatografo

Innanzitutto, il campione viene iniettato attraverso una siringa nella camera di iniezione, che permette di avere una vaporizzazione istantanea del campione. Utilizzando un sistema composto da resistenze variabili, è possibile determinare la temperatura alla quale si vuole vaporizzare la miscela, generalmente 250 °C.

Successivamente si può utilizzare uno split regolabile, tale da introdurre in colonna solamente una parte della miscela iniettata; questo è importante quando il segnale del detector si satura. Come già anticipato, la colonna è formata da una fase mobile e da una stazionaria. La prima fase è costituita da un gas, detto carrier, che è chimicamente inerte, con una bassa viscosità ed elevata purezza (ad esempio azoto o elio). La fase stazionaria invece corrisponde ad un liquido non volatile che può essere supportato in due modi differenti: su una polvere che è

posta all’interno della colonna (colonna impaccata), oppure distribuito come un film di qualche micron che ricopre la parete interna della colonna (colonna capillare).

Il campione iniettato in colonna è separato nelle sue diverse componenti in base alla sua affinità con la fase stazionaria. Per incrementare la separazione, è possibile variare la temperatura della colonna, utilizzando un gradiente impostato da un programma di temperatura.

Nel momento in cui il campione attraversa la totalità della colonna, viene analizzato da un rivelatore, o detector. Tali strumenti si distinguono in funzione del principio fisico impiegato per rilevare i composti; vi sono rivelatori a cattura di elettroni (ECD), a ionizzazione di fiamma (FID) ed a conducibilità termica (TCD). Il rilevatore che è utilizzato più comunemente è di tipo FID: l’eluente uscente dalla colonna è unito ad idrogeno e ossigeno ed in seguito è combusto. Se una sostanza è eluita, all’interno della fiamma si generano degli ioni che aderiscono alla superficie del detector, creando una corrente elettrica; quando quest’ultima viene amplificata, si ottiene il segnale del rivelatore.

Il diagramma ottenuto dal detector è in funzione del tempo e viene definito cromatogramma del campione. Quest’ultimo è costituito da una sequenza di picchi che hanno ampiezza e altezza variabile in base alla concentrazione di tale componente nella miscela iniziale. Inoltre dal tempo di ritenzione che caratterizza ogni picco, si può identificare la sostanza eluita. 4.2.6.2 Spettrometria di massa

La spettrometria di massa identifica e quantifica le sostanze che compongono il campione analizzato. Il principio che caratterizza tale tecnica si basa sulla capacità di separare una miscela di ioni in base al loro rapporto massa/carica, utilizzando campi magnetici oscillanti o stabili. La ionizzazione delle componenti del campione avviene grazie ad un impatto di un fascio di energia contro il gas campione. Le molecole ionizzate sono però instabili e pertanto si frammentano in ioni più piccoli. Lo spettro di massa è il diagramma che mette in relazione l’abbondanza di ogni ione con il loro rapporto massa/carica; esso è caratterizzante di ogni sostanza, poiché dipende dalla struttura chimica e dalle condizioni di ionizzazione di ogni specifica sostanza.

Pertanto tramite apposite librerie, si possono identificare le specie chimiche presenti nel campione analizzato.

Lo spettrometro di massa è formato principalmente da tre elementi: una sorgente per la ionizzazione, un analizzatore per la separazione degli ioni (quadrupolo) ed un rilevatore.

Nella fase di iniezione si iniettano solo pochi microgrammi di campione, perché il quantitativo necessario per un’analisi è molto ridotto. La maggior parte degli analiti che viene iniettata nello strumento è in fase gassosa; infatti la componente solida residua del campione è vaporizzata tramite inserimento nel filamento di ionizzazione.

Se lo spettrometro di massa viene accoppiato al gascromatografo, si utilizza l’uscita del GC come ingresso per lo spettrometro; dunque gli ioni che sono generati dal primo strumento sono quelli che vengono analizzati nel secondo. Nella figura sottostante è illustrato l’accoppiamento GC-MS.

Dalla sorgente degli ioni dipende la natura e l’abbondanza dei frammenti che sono analizzati dallo spettrometro di massa; gli ioni sono generati bombardando il gas uscente dal GC con un fascio di elettroni ad alta energia. L’energia causata dal raggio di elettroni e l’instabilità degli ioni provenienti dal GC producono una rottura delle molecole in frammenti carichi positivamente o negativamente. Gli ioni molecolari che vengono scelti sono quelli che hanno una polarità positiva; i frammenti di tali ioni quindi sono accelerati tramite una placca negativa e sono focalizzati verso il quadrupolo attraverso alcune lenti. Questo analizzatore è composto da quattro barre metalliche cilindriche, che sono poste in modo che le due barre dello stesso segno siano una di fronte all’altra. Quando gli ioni percorrono lo spazio presente tra queste barre, sono separati in funzione del rapporto massa/carica. Di seguito è illustrato l’analizzatore a quadrupolo.

Figura 4.13 Analizzatore a quadrupolo

Questo analizzatore fa in modo che solamente gli ioni di un determinato rapporto m/z raggiungano il rilevatore. Il detector è costituito da dinodi, che sono dei moltiplicatori elettronici capaci di amplificare la debole corrente prodotta dagli ioni che riescono ad uscire dal quadrupolo. I segnali elettrici così ottenuti vengono trasmessi ad un calcolatore che, con l’ausilio di un software, rappresenta in un istogramma la quantità di ioni presenti in funzione delle loro masse. Quando il gascromatografo e lo spettrometro di massa sono accoppiati, le analisi GC-MS possono essere effettuate in modalità full scan: ogni picco presente sul cromatogramma corrisponde ad una data sostanza che ha un determinato tempo di ritenzione. Grazie allo spettrometro di massa si analizzano tutti gli ioni associati a quei picchi e dunque è possibile ottenere informazioni sulla composizione completa dell’analita. Tuttavia, c’è la possibilità di registrare gli spettri in modalità SIM (Selected Ion Monitoring), per cui si scansione solamente uno specifico intervallo di masse; così facendo, si acquisiscono solamente alcuni frammenti del composto analizzato. Tale tecnica permette di avere una sensibilità di acquisizione fino a 500 volte maggiore rispetto alla modalità in full scan. L’analisi quantitativa si ottiene integrando il picco di ogni componente identificato nello spettro; il valore dell’area così ricavato è paragonato con l’area del picco relativo allo standard interno dello strumento, oppure è confrontato con i valori della curva di taratura ottenuta dall’analisi di miscele a concentrazione nota.

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