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Un genere ibrido tra romanzo, saggio, frammento e copione

2. Morte improvvisa di Àlvaro Enrigue e Trittico dell’infamia di Pablo Montoya:

2.2 Morte improvvisa di Àlvaro Enrigue: un realismo ironico

2.2.1 Un genere ibrido tra romanzo, saggio, frammento e copione

Tra romanzo e saggio, Enrigue si prende gioco dell’ibridismo postmoderno per consegnare ai suoi lettori e alle sue lettrici un testo perfettamente padrone dei suoi espedienti narrativi e consapevole della sua veste sperimentale103. Alla prosa asciutta, vivace e ironica bastano poche righe per una battuta sagace, «In Messico nascono 4.787 persone al secondo e ne muoiono 1.639, il che significa che la popolazione aumenta di 3.148 messicani al secondo. Un incubo. […] Tra tutti loro, l’unico a considerare Cortés un eroe è stato José Vasconcelos. Il suo tasso di impopolarità si avvicina al 100%»104; o per immortalare le vivide pennellate di Caravaggio:

[…] nella Vocazione [di San Matteo] la maggior parte della superficie è vuota. […] L’unica fonte di luce sta fuori dal quadro: è un lucernario dischiuso sopra la testa degli attori. Pietro e il Messia, quasi avvolti dalle tenebre, indicano l’esattore delle imposte, che li guarda sorpreso in compagnia di quattro complici lussuosamente vestiti e intenti a contare monete con peccaminosa attenzione. Gli abiti di Gesù e del suo peccatore sono tradizionali: mantelloni biblici. Gli esattori, invece, sono vestiti come probabilmente vestivano gli

103 Lo scrittore catalano Jordi Corominas i Julián sul suo blog recensisce molto positivamente il testo di Enrigue, vincitore del Premio Herralde de Novela, soprattutto per le novità apportate al romanzo storico, in particolar modo l’ibridismo e l’ironia, in un periodo che definisce complesso per il genere: «Por eso Muerte súbita de Álvaro Enrique merece un aplauso cerrado. Ha tomado la novela como campo de juegos, como certera excusa para armar un cuerpo único que, sin deberle nada, tiene un aire vilamatiano de ensayo escondido, de materia que lleva una máscara muy rotunda y hace bailar a quien la lee». JORDI COROMINAS i JULIÁN, Replantear la modernidad hablando de su origen: Muerte súbita de Álvaro Enrigue. corominasijulian.blogspot.com/2013/11/muerte-subita-de-alvaro-enrigue.html, consultato il 19.02.2021. 104 ÁLVARO ENRIGUE, Morte improvvisa, trad. di Irina Bajini, Milano, Feltrinelli, 2015, p. 62.

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strozzini di Giustiniani al piano inferiore del suo palazzo, dov’era situato il banco dei pegni.105

Con la stessa lucidità, lo scrittore inquadra il carattere di un personaggio o di un gruppo, descrivendone un solo gesto, senza mai perdere il controllo dei tanti fili della trama che, come un ricamo che lentamente rivela i suoi colori, si intrecciano e si richiamano, svelando il disegno compiuto solo a coloro che avranno la pazienza di arrivare fino alla fine.

L’immagine che, forse, può semplificare al meglio la struttura complessiva di questa opera è quella di un moderno mosaico digitale, i cui singoli tasselli, a differenza dei classici mosaici, sono foto indipendenti. Infatti, la coerenza della trama e i rapporti di causa-effetto tra gli avvenimenti si fondano su una struttura frammentata: Enrigue opta per numerosi ma brevi capitoli, di poche pagine, che, dedicandosi solo ad una vicenda per volta e alternandosi continuamente, restano autonomi, se non per alcuni richiami tematici o per la ricorrenza di un personaggio. In questo modo, la trama è, a sua volta, fatta di altre trame: sedici capitoli sono dedicati alla partita di tennis, a Roma, tra Caravaggio e Quevedo e ai retroscena notturni che hanno portato alla sfida (si tratta della parte più consistente del romanzo); otto capitoli per seguire le palle da tennis foderate con i capelli di Anna Bolena, dalla decapitazione della regina alla Biblioteca pubblica di New York, presso cui l’autore si reca per visionarle personalmente; altri otto capitoli illustrano il soggiorno di Caravaggio nella capitale, sotto la tutela dei suoi mecenati, il cardinale Francesco Maria del Monte, il notaio Vincenzo Giustiniani e, più avanti, Federico Borromeo, oltre alle avventure che hanno condotto Francisco de Quevedo in Italia; tredici capitoli sulla storia di Cortés, dal suo incontro con l’impero azteco alle vicende della sua più prossima discendenza, sua figlia Juana Cortés e sua nipote Catalina Ribera de Enríquez y Cortés; infine, lo sguardo sulle sorti del Nuovo Mondo si esauriscono con i sei capitoli in merito all’operato del vescovo Vasco de Quiroga, che costruisce alcuni villaggi sul modello di società comunitaria di Moro in Utopia.

Le parti restanti sono di carattere saggistico; presentandosi come delle finestre di approfondimento, soprattutto in merito al tennis, supportano l’intreccio. Sembrerebbe che l’autore voglia tenere aggiornato il suo uditorio circa i progressi della sua ricerca nel campo e, per questo, cita trattati, epistole e qualsiasi altro documento sia funzionale al

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quadro d’interesse. Si leggeranno testimonianze sul gioco della palla nell’antica Roma, in un’epistola a nome del poeta laureato Francisco Cascales per il frate carmelitano Francisco Infante, – già allora si vantavano quattro tipologie diverse: follis, trigonalis,

paganica e harpastum106 –; o l’aneddoto che soggiace al più antico riferimento allo sport

del tennis, un “Urgioco”107, secondo il quale la prima partita sarebbe stata giocata all’inferno e la palla sarebbe stata l’anima di un giovane seminarista, che l’aveva ceduta in cambio del buon esito degli esami; ma anche un presunto antenato del basket108, presso gli aztechi, a cui Cortés assiste assorto. Sono stati scelti questi esempi perché occupano tre posizioni narrative differenti nel romanzo e possono spiegare la varietà di forme che assume il tratto saggistico: il primo è paragonabile ad un’inserzione – e non è la sola –, sciolta dai fatti, salvo che per il tema; il secondo si distingue dal primo per la lunghezza maggiore, che lo rende un vero e proprio capitolo, ma anch’esso è sciolto dalla trama; il terzo cade nell’azione, cioè nelle cerimonie di benvenuto riservate a Cortés e ai suoi uomini, volte a farli familiarizzare con la civiltà locale, ed è dunque a tutti gli effetti un espediente narrativo.

Questa triplice declinazione permette di aggiungere un altro tassello alla difficile identificazione del genere: l’aneddoto relativo al gioco della palla nella Roma antica può essere riconosciuto come un “intermezzo”, una breve e brusca pausa nello scorrere della vicenda. Oltre ad esservene dieci109, un numero importante, è peculiare il fatto che siano esclusi dall’indice del romanzo, al termine dello stesso. Escludendo una dimenticanza, queste parentesi nella narrazione possono spiegarsi se le si legge come si farebbe con degli appunti sparsi, delle citazioni raccolte durante una ricerca, delle annotazioni riportate, il cui contenuto pertinente al testo viene inserito nel piano di lavoro, ma sembra

106 Ivi, p. 95; il mittente dell’epistola continua con l’illustrare le differenze tra i giochi: «Follis si praticava con due palle cavi di diversa grandezza, e quella grande veniva colpita col pugno da giocatori nudi, armati di ferro fino al gomito, il corpo completamente ricoperto da un unguento a base di fango e olio chiamato

ceroma. Trigonalis era così chiamata perché il luogo dei bagni dove veniva praticato era triangolare o

perché si giocava in tre. Paganica era una palla di panna o di cuoio, imbottita di lana, piume capelli, un po' floscia, usata dai paganos, cioè dai contadini. Harpastum consisteva nel giocare con una pallina su un terreno polveroso».

107 Ivi, p. 123.

108 Ivi, p. 145; il gioco prevedeva un canestro di legno affisso alla parete e la squadra che erroneamente faceva cadere la palla a terra ne perdeva il possesso, concedendolo all’altra squadra che avrebbe potuto tirare al canestro.

109 Regola, p. 17; Sopravvivenza, p. 50; La palla e i classici, p. 95; Dizionario dell’Accademia Reale di

Spagna, p. 108; Luce ai vivi e monito ai morti p. 131; Tesoro della lingua castigliana o spagnola, p. 148; Linguae Latinae exercitatio, p. 190; Sulle cause della miseria sotto il regno di Enrico IV, p. 200; Sugli indumenti degli utopiani, p. 217; Arte della lingua di Mechuacán, p. 223.

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restare lì, senza essere integrato nel corpo del romanzo. Nel capitolo Arte della lingua di

Mechuacán si trovano le traduzioni dei vari giochi che prevedevano la palla, da parte di

frate Maturino Gilberti, dal michoacano; in Sopravvivenza compare persino una mail indirizzata dalla casa editrice all’autore, che, di rilevante, contiene solo l’espressione «Adesso la palla passa a te»110.

Morte improvvisa annovera nella sua scrittura anche un tentativo di copione

cinematografico. Nel capitolo Sulla mancanza di senso dell’umorismo di quasi tutti i papi l’autore immagina un dialogo tra Pio IV, il cardinale Montalto, il futuro Sisto V, e il cardinale Carlo Borromeo. La scena è curata nei dettagli: qualche pagina prima, Enrigue prepara lo spettatore alla performance, e, come un pittore dalle pennellate decise, fa luce, prima, sull’ambiente circostante, scegliendo un’inquadratura ampia; poi, si avvicina agli oggetti, ai cibi e alle tracce che questi lasciano, come l’unto sulla barba del Pontefice, per ritornare, infine, ad uno sguardo d’insieme che nell’inquadratura accoglie il nuovo incendio di Roma ai piedi del colle:

Un ritratto che gli facesse giustizia, dovrebbe raffigurarlo a tavola, un quadro di luci e ombre in cui Pio IV presiede la grande cena del Barocco. In fin dei conti il suo papato fu l'inizio di tutti i roghi della modernità. In questo ritratto mi immagino Pio IV seduto con una coppa di vino bianco in una mano e un pugno di mandorle nell'altra. La veste purpurea piena di sale, la barba unta di salsiccia di cinghiale. Su un tavolino attiguo, resti di tonno in un piattino di porcellana. Il papa, il cibo, il vino. Ma non finisce qui: la scena è all'aperto, di sera, il tavolo illuminato dalle torce, un esercito di servitori ricoperti di velluto pronti a esaudire ogni richiesta di Sua Santità. Pio IV se ne sta sul colle a godersi l'incendio di Roma, il rogo della modernità e di tutta l'Europa, le fiamme, la luce sul suo viso. […] In questo ipotetico ritratto del papa, dove le fiamme infernali sembrano lambirgli le pantofole di seta, mi viene voglia di metterci anche Carlo Borromeo, il più grande ideologo e divulgatore della Controriforma, e l'inquisitore Montalto, che l'applicò a sangue e fuoco.111

Il Papa, come un novello Trimalcione, sta addentando un insaccato quando si avviano le riprese, ed è lo stesso autore a segnalarlo, «Bisogna immaginarla come la scena di un film»112. Il regalo di una delle palle da tennis con i capelli di Anna Bolena al cardinale Montalto e di una delle mitrie mandate dal vescovo Vasco de Quiroga, e fatta dagli indios con piume multicolori, per Paolo III in occasione del Concilio di Trento, al cardinale Borromeo è un momento di cui lo scrittore fornisce il copione, con i dialoghi e i gesti degli attori:

110 Ivi, p. 50. 111 Ivi, p. 109. 112 Ivi, p. 127.

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PIO IV: (ancora masticando) Ho un regalo per te, Montalto. Un regalo modesto.

(Agita una mano, la manica della veste cardinalizia sventola come una bandiera. Il suo

aiutante di camera gli si avvicina con uno scrigno di legno intarsiato d’argento.)

MONTALTO: (sorridendo) Non sono uomo da gioielli.

PIO IV: Ho settantasei anni, sono diventato papa contro ogni pronostico, ho conosciuto Michelangelo e Raffaello, sono stato amico di Carlo V e di Francesco I e inventato il qui presente Carlo Borromeo.

(Lo indica con un movimento della testa e un’alzata di sopracciglia tra l’ironico e il

riconoscente.) Credi che in banchetto del genere ti potrei regalare un gioiello?

(Il servitore porta il regalo al cardinale, che lo apre.)

MONTALTO: (Estraendo qualcosa dallo scrigno) Una palla da tennis…113

Sebbene sia un caso isolato nel romanzo, è comunque un tratto rilevante che va aggiunto alle prove di ricchezza compositiva del testo, soprattutto alla luce dell’abilità con cui Enrigue riesce a mantenere sempre chiare le dinamiche del racconto. Anche se i generi e le voci si moltiplicano, ogni capitolo, che sia divulgativo o narrativo, si chiude in sé stesso, ribadendo la sua identità indipendente.

Vi sono, tuttavia, degli elementi che mettono un po’ in crisi la scorrevolezza del romanzo, e che riguardano, in particolare, la gestione della temporalità degli eventi e la resa dei dialoghi. Entrambi subiscono l’effetto del profilo eterogeneo e frammentario dell’opera – i capitoli concisi e autonomi, la sintassi dai periodi brevi e scattanti, l’accurata selezione di dettagli da fornire, sia in merito ai personaggi sia nella rappresentazione dello spazio –, che non si avvicina mai al grande respiro della Storia, ma preferisce entrarci dalle porte secondarie, magari quelle della servitù, come fa il Caravaggio di Enrigue, per portare i suoi dipinti alla residenza Giustiniani. La linea degli eventi, infatti, non segue mai un orizzonte cronologico tale per cui le cause precedono le conseguenze nella trama: quest’ordine è invertito. Morte improvvisa si apre nel mezzo di una partita di tennis, che sembra essere una sfida lanciata da una delle due parti, i cui giocatori e l’antefatto non vengono subitamente svelati; si dovrà attendere il terzo capitolo dedicato alla competizione, Primo parziale, terzo gioco, per il primo passo indietro nel tempo. Anche il recupero delle cause è graduale e procede dall’aneddoto più recente a quello più lontano, costringendo le lettrici e i lettori ad attendere, nell’alternarsi dei capitoli, il prossimo pezzetto da aggiungere al puzzle. La stessa cosa avviene per il

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racconto delle avventure di Cortés: dai ricordi di sua figlia Juana, che rammenta quando il padre la portava sulle spalle nei frutteti di Cuernavaca, al ritorno a Siviglia, dove Cortés morirà, «senza riuscire a ritornare in un paese che lui considerava la propria terra, non perché ci fosse nato ma perché era certo fosse tutta sua».114

Più che il movimento libero e a ritroso del narratore sulla linea temporale, è singolare che, nel caso della partita di tennis, il recupero del passato avvenga di pari passo con l’esposizione della storia presente, fino ad arrivare, nel capitolo Terzo parziale,

secondo gioco, ad alternare i ricordi della sera precedente, quando Caravaggio e Quevedo

si incontrano per la prima volta, alle battute della partita. Il tutto avviene nella stessa pagina:

L’italiano non era altrettanto loquace, era quasi serio, ma il suo modo di inveire contro quello che non gli piaceva, cioè praticamente tutto, era meravigliosamente incantevole. Alzava le mani, spingeva indietro la testa, allontanava i capelli dal viso con la superbia di un padrone di Roma. La sua voce aveva una carica ipnotica malgrado uscisse da una bocca troppo definita. Le puntate aumentarono. Eseguì un servizio dando un effetto alla palla e rispose alla replica dell’artista con una tale violenza che quasi ruppe le corde della racchetta. Il rimbalzo della palla risultò imprendibile. Punto di cacce, gridò il professore. Ricordava di essere morto dal ridere, abbracciato al suo nuovo migliore amico, mentre italiani e spagnoli cercavano di intonare insieme canzoni che in realtà avrebbero dovuto essere cantate separatamente.115

Persino il discorso diretto si mimetizza nel resoconto delle vicende e passerebbe inosservato se non fosse per i comuni indicatori verbali, quali "disse" o "rispose"; come accade anche nel romanzo di Montoya, sono assenti, infatti, i noti segni di interpunzione116, generando passi ambigui nei quali può risultare difficile seguire il botta e risposta dei personaggi. Sicuramente il corpo della storia ne esce più coeso:

È un giocatore forte e conosce il campo, disse il nobile. Sono più giovane, rispose il poeta, posso giocare di forza. Ma sei zoppo. Il fattore sorpresa. E doppia fatica. Cerco l’approccio? Con i servizi che tira, ne usciresti male. Taglio la palla? Vorrebbe dire affidarsi completamente al caso; meglio stancarlo, si nota che non ha resistenza, logorarlo ai punti: avanti, indietro, agli angoli.117

114 Ivi, p. 47. 115 Ivi, p. 183.

116 Gli unici i casi in cui compaio i due punti e le virgolette, segnali classici del discorso diretto, sono quando si raccontano gli ultimi istanti di Anna Bolena, prima della decapitazione, «Le ultime parole che pronunciò davanti ai testimoni furono: “Chiedo a Dio che salvi il Re e gli permetta di governare a lungo sull’Inghilterra, perché non è mai esistito un principe più gentile e generoso”», ivi, p. 20; e quando viene citato un dialogo tra l’umanista spagnolo Juan Luis Vives e un suo allievo, sempre in merito al gioco del tennis. Si riporterà solo un breve passo: «“A Parigi giocano come da noi?” “Con qualche differenza: lì il Maestro fornisce scarpe e berretti per giocare.” “Come sono?” “Le scarpe sono di feltro.” “Non andrebbero bene qui.”», ivi, p.190. L’eccezione può giustificarsi notando che si tratta di citazioni da fonti, non frutto dell’immaginazione dell’autore.

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La stessa regola vale quando i giudici di campo, nella sfida sportiva, devono annunciare il punteggio: «Trenta-Love»118, «Punto di cacce»119, «Cacce per il

milanese»120.

Se, da una parte, questa resa non interrompe mai il fluire degli eventi, dall’altra può contribuire, come in questo caso, alla dinamicità e alla schiettezza dello stile narrativo. È un aspetto che potrebbe trarre in inganno, sino ad attribuire al testo un tratto di leggerezza che, in realtà, è solo superficiale. Tramite l’ironia dissacrante e la struttura frammentaria,

Morte improvvisa vuole essere preso sul serio. Fuori da una postura messianica, il

romanzo rilegge il passato per legittimare la sua presa sul presente: è un esperimento di realismo a cui tutte le molteplici componenti concorrono.

Prima di guardare più da vicino l’articolazione della trama, che sarà oggetto del prossimo paragrafo, è opportuno partire dalla spiegazione del titolo. Vittime di una morte improvvisa sono le scarpe da tennis dello scrittore, e, sin dal primo capitolo, lo sport viene caricato di una certa dignità, come se le calzature possano dire molto su chi le porta: «Le scarpe da tennis sono pezzi unici: non c’è cura, i loro meriti sono relativi alle cicatrici lasciate dai nostri passi falsi. Il mio primo paio di Converse ebbe una morte improvvisa»121. La seconda accezione proviene dal Dizionario dell’Accademia Reale di

Spagna che nomina “della morte improvvisa” la terza giocata nel gioco della Racchetta.

Per questa ragione, l’ultimo brevissimo capitolo – «Zoom. Palla nel tamburino. Caravaggio trionfa di nuovo a Roma.»122 –, in cui è dichiarata la vittoria dell’artista lombardo sul poeta spagnolo, Quevedo, è chiamato, appunto, Morte improvvisa. In realtà, tennis e morte, in Messico, ancora oggi sono legati, tanto da rientrare nel gergo comune; infatti, l’autore testimonia che alla dipartita di qualcuno si è soliti dire che «“ha appeso le scarpe da tennis al chiodo”, che “è uscito con le scarpe da tennis davanti”»123.

Tuttavia, al di là dell’aneddoto biografico, che, già dalle prime pagine, preannuncia la forte presenza dell’io-autore nel testo, e al di là di una bizzarra denominazione sportiva, si può affermare con certezza che la morte, accanto al tennis, è un altro tema ricorrente nell’opera. La decapitazione di Anna Bolena, come le decapitazioni dei dipinti di

118 Ivi, p. 169. 119 Ivi, p. 183. 120 Ivi, p. 195. 121 Ivi, p. 11. 122 Ivi, p. 230. 123 Ivi, p. 11.

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Caravaggio o l’assassinio dello stesso pittore, fino allo sterminio della popolazione azteca sono solo alcuni esempi. Questo stravagante accostamento, che parte dal titolo, è il primo sintomo dell’abilità di Enrigue di rendere davvero trasparenti e flessibili i confini tra cose molto diverse, ponendo l’una di fronte all’altra, anche correndo il rischio di sembrare eccessivamente provocatorio: riesce a far parlare con la stessa lingua argomenti gravi, come la morte, e uno sport con le racchette; il sangue sulla tela e il sangue della colonizzazione; la rivoluzione moderna dell’arte di Caravaggio e il suo stile di vita disordinato; le mire espansionistiche di Cortés e la sedentarietà caparbia del fantasma di Cuauhtémoc. Lo scopo è dimostrare che non è vero che la Storia parla al presente affinché non si ripetano gli stessi errori commessi dai padri, affinché le pagine più nere non ritornino sotto forma di nuovi incubi, ma, piuttosto, per annientare quelle distanze temporali che rendono innocenti i posteri e affermare una preoccupante e perpetua somiglianza tra gli uomini.