Sin dalla scoperta della prima mutazione sul gene MeCP2, sono state formulate numerose ipotesi per correlare la perdita di funzione della
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proteina con il fenotipo osservato nella Sindrome di Rett. La prima ipotesi avanzata sostiene che la mancata repressione trascrizionale mediata da MeCP2 induca uno stato più permissivo della cromatina, e l’espressione deregolata nel tempo e nello spazio di alcuni geni target di MeCP2 sarebbe alla base dei sintomi. La mancanza di MeCP2 sarebbe inoltre alla base di un deregolazione nella struttura fisica della cromatina, che verrebbe a trovarsi in una stato meno compattato, causando problemi alle cellule in divisione o a quelle post-mitotiche che devono riassemblare la cromatina (Willard and Hendrich 1999). Ė stato inoltre proposto che, a livello del SNC, i neuroni con difetti del silenziamento epigenetico non siano in grado di produrre le normali risposte molecolari, con la giusta tempistica, a causa dell’aumento dell’attività trascrizionale aspecifica, che causerebbe una sorta di ‚noise‛, un rumore di fondo che intralcerebbe le vie di trascrizione specifiche della cellula neuronale (Bird 1995). L’azione di MeCP2 è dipendente dalla fosforilazione di alcuni suoi residui. Nel sistema nervoso centrale la fosforilazione di MeCP2 è influenzata da stimoli extracellulari e contribuisce alla regolazione dinamica dell’azione della proteina. Ė noto che MeCP2 si lega al promotore del Brain-derived neurotrophic factor (BDNF) e ne reprime la trascrizione. Chen e colleghi hanno dimostrato che questa funzione di MeCP2 è dipendente dal suo stato di fosforilazione: l’aggiunta di un gruppo fosfato sul residuo di serina in posizione 421 causa un cambiamento dell’affinità di MeCP2 per il promotore di BDNF, inducendo il suo distacco e eliminando quindi il blocco trascrizionale (Chen, Chang et al. 2003). Inoltre, la fosforilazione in posizione 421 influenza la capacità di MeCP2 di regolare la crescita dendritica e la maturazione delle spine (Zhou, Hong et al. 2006). Le alterazioni patologiche osservate nella Sindrome di Rett potrebbero essere
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quindi causate da un’alterazione del pathway del BDNF. Infine, sembra che l’attività neuronale inneschi la defosforilazione del residuo di serina in posizione 80, diminuendo l’affinità di MeCP2 per alcuni dei suoi promotori target (Tao, Hu et al. 2009). Nel 2001 Chen e colleghi hanno realizzato un modello animale che ricalca per numerosi aspetti la patologia nell’uomo. I topi maschi, knock-out per il gene codificante MeCP2, contrariamente a quanto atteso, sono vitali. Hanno uno sviluppo post natale perfettamente normale durante le prime cinque settimane; da questo momento in poi si iniziano ad osservare le prime manifestazioni patologiche: i topi sono nervosi, mostrano tremiti che percorrono tutto il corpo, vanno incontro a rizzamento del pelo e talvolta hanno difficoltà respiratorie. Un significativa percentuale di tali topi diventa sovrappeso. Negli stadi più avanzati divengono ipoattivi, tremano quando maneggiati, e molti vanno incontro ad una cospicua perdita di peso. Inoltre si osservano alterazioni nell’arborizzazione dendritica (Kishi and Macklis 2004), nella trasmissione sinaptica basale, nella plasticità sinaptica (Asaka, Jugloff et al. 2006). I mutanti mostrano anche una ridotta attività corticale spontanea dovuta allo sbilanciamento tra il circuito eccitatorio e quello inibitorio (Dani, Chang et al. 2005). Muoiono generalmente alla decima settimana di vita. Le femmine eterozigoti appaiono normali per i primi quattro mesi; successivamente manifestano aumento di peso, ridotta attività generale e andatura rallentata. Il cervello di questi topi, prelevato post mortem, mostra una riduzione di volume e i neuroni appaiono più piccoli, ma non si osservano difetti strutturali o segni di neurodegenerazione. La delezione di MeCP2 nel solo cervello a stadio E 12.0 rivela un fenotipo identico a quello del mutante completo, rivelando che il fenotipo è causato dalla mancanza di MeCP2 nel sistema nervoso
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centrale e non nei tessuti periferici. Il fenotipo che si ottiene è lo stesso quando l’eliminazione di MeCP2 è indotta esclusivamente nel sistema nervoso postnatale. Questo dimostra che MeCP2 è importante per lo sviluppo del cervello, ma la sua presenza è fondamentale per i neuroni post mitotici (Chen, Akbarian et al. 2001). L’espressione di MeCP2 esclusivamente nei neuroni post mitotici dei topi knock-out recupera il fenotipo Rett-like, dimostrando ancora una volta l’importanza di questa proteina nella maturazione neuronale (Luikenhuis, Giacometti et al. 2004).
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3. FOXG1
Il gene FOXG1 (Forkhead Box G1), chiamato anche HFKL1 o BF1, codifica per un fattore di trascrizione con attività di repressore (Murphy, Wiese et al. 1994). Appartiene ad una famiglia di fattori di trascrizione di cui fa parte anche il gene omoetico di Drosophila Forkhead e il gene HNF3 (fattore nucleare 3 gli epatociti, gene master nello sviluppo del fegato). I membri di questa famiglia condividono lo stesso dominio di legame al DNA, il Forkhead domain (FKH domain). Il forkhead domain si organizza in due alfa-eliche, una regione centrale che funge da cardine e infine un subdominio ricco in amminoacidi basici.
Il cDNA di FOXG1 è stato identificato nel 1994 da Murphy e colleghi, attraverso analisi di cross-ibridazione tra librerie di cDNA umane e il Forkhead domain di HNF3A, di ratto. In questo modo sono stati isolati 10 cDNA, dalle librerie di cervello fetale e di testicolo. Una di queste, chiamata HFK1 (human forkhead-1), e successivamente FOXG1, codifica per una proteina di 489 amminoacidi. Il gene mappa al locus 14q12 (Murphy, Wiese et al. 1994). Nel 2007 Bredenkamp e colleghi dimostrarono che la sequenza codificante di FOXG1 è formata da un unico esone (Bredenkamp, Seoighe et al. 2007).
FOXG1 consta di vari domini. I residui dal 182 al 258 costituiscono il Forkhead Domain, un dominio di legame al DNA altamente conservato. FOXG1 possiede inoltre un dominio di interazione con i corepressori della famiglia Groucho/TLE1, situato nella regione carbossi-terminale di FOXG1, precisamente nei residui 276-336 (Yao, Lai et al. 2001; Roth, Bonev
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et al. 2010). Ė stato osservato che FOXG1 interagisce con alcune istone deacetilasi, ma il dominio di interazione non è stato ancora identificato (Yao, Lai et al. 2001).