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Genova e Francesco Stefano (1739)

Giovanni Assereto

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Francesco Stefano (1708-1765) divenne duca di Lorena, col nome di Francesco III, nel 1729. Nell’ottobre 1735, al termine della guerra di Successio-ne polacca, i preliminari di pace tra Francia e Austria stabilirono che Stani-slao Leszczyński, uno degli aspiranti al trono di Polonia, in cambio della ri-nuncia alle sue pretese avrebbe avuto il ducato di Lorena, per lasciarlo in eredità – alla sua morte – al Regno di Francia; mentre a Francesco Stefano veniva assegnata la successione nel Granducato di Toscana, dove Gian Ga-stone de’ Medici non aveva eredi. Poiché lo stesso Francesco Stefano era destinato a sposare Maria Teresa, figlia dell’imperatore Carlo VI d’Asburgo, ne conseguiva che lo Stato toscano sarebbe da allora entrato nell’orbita au-striaca 1. Il matrimonio fu celebrato il 12 febbraio 1736, e un anno e mezzo dopo, il 9 luglio 1737, la morte di Gian Gastone fece di Francesco Stefano il nuovo granduca di Toscana: titolo che avrebbe conservato per tutta la vita, sino al 1765, quando gli succedette suo figlio Pietro Leopoldo, ma che non avrebbe mai onorato con la sua presenza nel Granducato – tranne un’unica eccezione – preferendo restare a Vienna. Tanto più che alla morte di Carlo VI, nel 1740, fu nominato da Maria Teresa coreggente degli Stati ereditari asburgici, e nel 1745 fu eletto imperatore col nome di Francesco I.

La Toscana, durante tutti quegli anni, sarebbe stata governata da un Con-siglio di reggenza, capeggiato a lungo da due lorenesi, Marc Beauveau principe di Craon e Déodat-Emmanuel conte di Nay-Richecourt 2. Tuttavia sul finire del 1738 Francesco Stefano e Maria Teresa ritennero opportuno visitare alme-no una volta il loro possedimento italiaalme-no: partiti il 17 dicembre di quell’analme-no, ai primi di gennaio 1739 fecero un solenne ingresso a Firenze. Fu a quel punto che il governo della Repubblica di Genova, il quale non pareva essersi granché preoccupato per il cambio di dinastia in un paese confinante, iniziò a porsi al-cuni problemi riguardanti i rapporti diplomatici e il cerimoniale.

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1 GUERCI 1988, p. 473.

2 DIAZ 1997, pp. 3-35; VERGA 1999.

La genovese Giunta dei Confini, cioè l’organismo deputato agli affari di politica estera 3, il 5 gennaio 1739 stese una relazione nella quale valutava l’ipotesi di spedire a Firenze un inviato per «complimentare quel nuovo Gran Duca, che stava per arrivare tra breve», e si chiedeva con quale veste tale inviato dovesse presentarsi 4. A tal fine aveva esaminato il trattamento riservato in passato ai rappresentanti genovesi, rifacendosi alle «instruzioni date al M. Agostino Grimaldi, qual era stato l’ultimo portatosi alla Corte di Toscana con pubbliche commissioni». Grimaldi era stato dotato dal suo governo di due diverse credenziali, una come «inviato straordinario», l’altra che lo autorizzava a trattare gli affari unicamente in forma privata: la prima avrebbe dovuto presentarla solo qualora il granduca «si fosse risoluto a ri-ceverlo ugualmente come gli altri inviati di Corona», e poiché questo non era avvenuto egli aveva scelto la seconda opzione. In un passato piuttosto lontano – aggiungeva la relazione – i rappresentanti diplomatici della Re-pubblica «a preferenza degli altri de’ prencipi anche più riguardevoli erano in possesso di sedere», cioè avevano diritto di sedersi al cospetto del gran-duca. Nel 1654, però, questo privilegio era stato rifiutato a Bendinelli Sauli

«colà andato in qualità di gentiluomo inviato», ragion per cui gli era stato ordinato «di ritornarsene senza presentarsi alla veduta di quel principe» 5.

Ciò premesso, la Giunta era del parere che non si dovesse «insistere sulla pretensione di dover i loro inviati sedere», e che – dopo aver sondato le intenzioni del governo fiorentino per evitare attriti e discussioni – fosse sufficiente ricevere un trattamento uguale a quello riservato agli altri agenti diplomatici «anco di Corona», cioè rappresentanti di monarchi. Ma il pro-blema che angustiava la Giunta era in realtà un altro: il nuovo granduca pareva propenso a non accordare «a’ ministri de’ prencipi lo stesso trattamento che loro faceva la casa de’ Medici», tanto è vero che il Nunzio apostolico, il quale aveva cominciato a sondare gli animi dei reggenti lorenesi, aveva già incontrato «qualche difficoltà di tal genere». Era infatti probabile che Fran-cesco Stefano, in virtù della parentela con la famiglia imperiale, intendesse

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3 Su questa magistratura mi permetto di rinviare a ASSERETO 2016.

4 Archivio di Stato di Genova (= ASGe), Archivio Segreto 490/A.

5 A Sauli, in verità, era stata proposta una soluzione leggermente più dignitosa: il gran-duca lo avrebbe fatto sedere, ma ricevendolo «a letto», cioè in forma riservata. Dietro istru-zione del suo governo, però, Sauli non aveva accettato. L’indicaistru-zione dei documenti relativi alla missione Sauli è in VITALE 1934, p. 85.

mutare il vecchio cerimoniale toscano per sottolineare il proprio rango su-periore: ciò che destava preoccupazione nel governo genovese per quanto concerneva sia i rapporti tra la Repubblica e il Granducato, sia quelli tra la Repubblica stessa e gli altri Stati italiani.

Il 14 gennaio 1739 Agostino Viale, agente genovese a Firenze, avvertiva:

«Siccome lunedì prossimo deve seguire l’arrivo del Serenissimo Granduca, siamo alla vigilia di vedere se seguirà ne’ cerimoniali l’innovazione che mi fu fatta credere, perché doverà andar all’udienza pubblica questo Monsignor Nonzio e l’ambasciatore di Lucca» 6. Sei giorni dopo, il 20 gennaio, annunciava che il granduca aveva fatto il suo «ingresso semipubblico» in Firenze; ma nel frattempo «da Vienna, do-ve ancora si esaminava questa materia, non erano do-venute le istruzioni». A suo parere ciò significava che si volevano «pretendere delle variazioni»: già si era fatto intendere al Nunzio che il granduca

«voleva indispensabilmente il titolo di Altezza Reale, ed essendo sopra ciò in Roma stata deputata una particolare congregazione di cardinali, era venuto l’ordine al sudetto Nunzio di doverli dare un tal titolo»:

l’ovvio sottinteso era che anche la Repubblica avrebbe dovuto adeguarsi.

Inoltre l’imperatore Carlo VI, in previsione del passaggio dell’arciduchessa sua figlia per lo Stato Pontificio, aveva preteso «che fosse alla medesima fatto eguale trattamento di quello ch’era stato praticato colla regina di Napoli».

Ma a questa richiesta la corte di Roma non aveva aderito, tanto che – riferi-va ancora Viale –

«si sente che sabato sera, quando entrarono in Bologna i suddetti principi ad alloggiare in casa Pepoli e a godere un festino di ballo in casa Caprara, fossero usciti dalla città tanto il Cardinal Legato quanto il Cardinale Arcivescovo», per evitare un incontro pro-blematico con Francesco Stefano e Maria Teresa 7.

Frattanto Viale trasmise ai Serenissimi Collegi «un distinto ragguaglio de’ trattamenti e cerimoniali che questi passati sovrani – cioè i granduchi di Casa Medici – praticavano co’ ministri de’ principi».

A preoccupare maggiormente il Serenissimo Governo giunse, con un dispaccio di Viale in data 3 febbraio, la notizia che il conte di Richecourt

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6 ASGe, Archivio Segreto 2175.

7 Ibidem.

aveva comunicato il vivo desiderio da parte del granduca «di veder Genova e conoscere quella degnissima e specchiata nobiltà, quando però fosse stato sicuro di poter osservare un rigoroso incognito» 8. La visita in incognito, negli usi diplomatici del tempo, era una mera formalità – perché in realtà tutti conoscevano l’identità del visitatore – ma permetteva di semplificare almeno un poco il cerimoniale, e in generale risultava meno impegnativa sia per il principe o il dignitario ospite, sia per il governo ospitante. Viale non aveva potuto far altro che rispondere in termini calorosi:

«Il pensiero che aveva Sua Altezza Reale – e si noti, per inciso, la sin troppo pronta at-tribuzione di tale titolo – di voler onorare colla sua persona e con quella della Serenis-sima Granduchessa la mia patria non poteva essere per la medeSerenis-sima né il più obbligante né il più vantaggioso, e … tenevo per indubitato … che riuscirebbe di sommo piacere e contento della mia Repubblica, alla quale solamente potrebbe rincrescere che, volendo l’Altezza Sua Reale osservare il rigoroso incognito, … non fosse permesso alla medesi-ma praticare verso de’ principi così riguardevoli tutte quelle dimostrazioni ed attenzioni delle quali si farebbe gloria».

Tre settimane dopo Viale sarebbe tornato a discorrerne col Richecourt, ribadendo il rammarico per l’incognito, ma auspicando che esso non fosse

«tanto rigoroso da poter negare ad alcune dame e cavalieri il particolaris-simo onore di far con maggiore assiduità la corte a principi sempre ri-guardevoli» 9.

Frattanto, però, bisognava decidere il da farsi a proposito dell’invio a Firenze del gentiluomo destinato a rendere omaggio a Francesco Stefano, che i Serenissimi Collegi avevano già scelto nella persona di Giovanni Batti-sta Spinola. Viale, incaricato di dare chiarimenti circa il cerimoniale relativo a tale missione, si rivolse al «gran ciamberlano» François-Joseph de Choi-seul marchese di Stainville e al segretario di Stato, l’abate Giovanni Antonio Tornaquinci, il quale ultimo gli disse che, una volta regolato il cerimoniale da tenersi con il Nunzio pontificio e con l’ambasciatore lucchese, si sarebbe definito quello per l’inviato genovese 10. Viale dovette perciò scrivere allo Spinola, il quale si trovava allora a Roma, per avvertirlo di non presentarsi a Firenze finché questa pratica non fosse stata definita. Definizione che non

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8 Ibidem.

9 ASGe, Archivio Segreto 2175, dispaccio del 24 febbraio.

10 Ibidem, dispaccio del 10 febbraio.

si annunciava semplice, visto che già si profilavano assai problematiche le trattative con la Curia romana, la quale sembrava non avesse alcuna inten-zione di accettare il seguente trattamento proposto per il Nunzio:

«Alla porta del Palazzo sarà ricevuto da due ciamberlani o sia gentiluomini di camera, e andando di notte servito con torce portate da staffieri e non da paggi, … sarà poi in-contrato dal Gran ciamberlano o sia Maestro di Camera alla porta della camera che mette in sala; … sarà poi subito introdotto all’udienza, e … troverà il granduca a sedere sotto il baldacchino con cappello in capo, il quale al comparire del Nunzio si alzerà e, fatti soli due passi col cappello in mano, tornerà sotto la residenza, e da un paggio sarà portato al Nunzio uno sgabello con spalliera, senza braccioli; e al ritorno avrà lo stesso accompagnamento tanto dal Maestro di Camera che da’ gentiluomini della medesima».

Passando poi dalla granduchessa, avrebbe ricevuto il medesimo tratta-mento, con la sola differenza «ch’ella non si muoverà i due passi che come sopra farà il Granduca» 11.

Il governo pontificio considerava tale cerimoniale non sufficiente-mente riguardoso, perché troppo inferiore a quello praticato al tempo dei Medici. «Da questo – commentava Viale – si può argomentare quanto vor-ranno minorare anche i trattamenti di tutti gli altri ministri»; e già nei con-fronti dell’inviato della Repubblica di Lucca si prevedevano variazioni ancor più «pesanti». Lo stesso Viale aveva comunque insistito perché al rappre-sentante genovese fosse assicurata la stessa accoglienza di quelli mandati dalle teste coronate, e per corroborare tale richiesta s’era fatto spedire da Genova copia di un

«viglietto che dal Segretario di Stato della Corte di Torino fu scritto, nel quale pro-metteva che sempre sarebbe stato eguale il trattamento che avrebbe fatto quella Corte agli inviati straordinari della Serenissima Repubblica con quelli dell’altre Corone» 12.

Il 19 febbraio Tornaquinci fece recapitare a Viale una serie di docu-menti ufficiali che illustravano da un lato la situazione pregressa, cioè il

«ceremoniale praticato dalla Serenissima Casa de’ Medici con gl’inviati straordinari» e quello osservato dagli stessi Medici con i Nunzi apostolici; e d’altro lato il

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11 Ibidem.

12 Ibidem, dispaccio del 17 febbraio.

«cérémonial qui sera observé à la Cour de Son Altesse Royale Monseigneur le Duc de Lorraine Grand Duc de Toscane pour un ambassadeur extraordinaire d’une Tête cou-ronnée, ou qui a les honneurs royaux» 13.

A questo punto Genova avrebbe potuto ritenersi soddisfatta, perché nulla indicava che a Firenze non si volesse trattarla da «testa coronata», come essa pretendeva da più di un secolo. C’era tuttavia ancora qualche punto da chiarire: ai primi di marzo l’ambasciatore di Lucca era stato ricevuto da Fran-cesco Stefano, e – informava Viale – «il cerimoniale già mandato fu esatta-mente osservato» 14. Ma ci si poteva accodare alla piccola repubblica lucchese senza tener conto di come avrebbero reagito gli altri Stati italiani? Se essi aves-sero respinto le pretese della Corte toscana dopo che Genova le aveva accet-tate, quest’ultima non si sarebbe trovata in una condizione di inferiorità? E già pareva che Roma avesse ordinato al suo Nunzio di non accogliere il nuovo ce-rimoniale «in verun modo …, se non gli veniva accordato il dover sedere e il non trattenersi un sol momento in anticamera» 15.

D’altra parte Richecourt faceva capire al rappresentante genovese che il granduca avrebbe fatto alla Repubblica l’onore di farsi ospitare soltanto se questa «mandava, come ne aveva fatta dare intenzione, qualche complimento per la sua venuta in Toscana». Insomma, non spedire tempestivamente un gentiluomo a omaggiare Francesco Stefano avrebbe messo il governo geno-vese in cattiva luce preso di lui; ma spedirlo per così dire ‘alla cieca’ non era meno rischioso. La Giunta dei Confini, esaminato il cerimoniale «che si offerisce al suo inviato straordinario», lo riteneva inaccettabile

«per essere totalmente diverso da quello che praticavasi da’ passati Gran Duchi, e perciò non esser ragionevole che la Repubblica fissi la prima quello che forse non potrebbe piacere ad altre Corone, i di cui inviati hanno sempre avuto eguale trattamento a quello della prefata Serenissima Repubblica, tanto più che non è stata con essa praticata quella attenzione che per altro Sua Altezza Reale ha praticato con altri prencipi nel dargli parte del suo arrivo in Toscana» 16.

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13 Ibidem, 490/A. Tutti questi documenti, compreso un cerimoniale da osservare «per un ambasciatore straordinario della Repubblica di Lucca» e un altro per la corte della grandu-chessa, recano la data del 16 febbraio.

14 Ibidem, 2175, dispaccio del 3 marzo.

15 Ibidem, dispacci del 10 marzo e del 18 aprile.

16 Ibidem, 490/A, dispaccio del 3 aprile.

Intanto si faceva più probabile l’ipotesi che Francesco Stefano e suo fra-tello Carlo, nel loro viaggio di ritorno a Vienna, passassero per Genova, da dove poi si sarebbero recati a Torino per salutare la loro sorella Elisabetta Te-resa, terza moglie di Carlo Emanuele III; di lì avrebbero proseguito per Mila-no a incontrarvi Maria Teresa, nel frattempo incamminatasi via terra alla volta di quella città 17. A metà aprile tutto pareva deciso in tal senso: il granduca sa-rebbe partito il 21 aprile per recarsi a Lerici, dove si sasa-rebbe imbarcato su una galera offerta dalla Repubblica, mentre suo fratello – che in passato aveva molto sofferto il mare – avrebbe proseguito per terra; perciò la Giunta dei Confini diede incarico ad alcuni giusdicenti locali, come i capitani di Recco e di Rapallo, di provvedere «per l’addattamento delle strade e per la conveniente provista de’ cavalli alle poste» 18. I governanti genovesi dovettero perciò acce-lerare i tempi, impartendo le disposizioni per servire il granduca

«nel suo ingresso in questo Dominio e nella sua qui dimora, con quella possibile pro-prietà che è praticabile, e con la qualità di un sì degno Principe, et al riguardo di un rigo-roso incognito a cui ha voluto obbligarsi» 19.

Ripeterono le espressioni di rammarico per tale incognito, «riuscito di sommo rincrescimento al Governo Serenissimo, il quale in questa congiuntura averebbe volentieri date all’Altezza Sua tutte le prove più significanti della sua maggior stima ed attenzione», in particolare destinandogli «un pubblico rap-presentante per complimentarla». E si scusarono perché, dato lo scarso preav-viso, non si sarebbe potuto onorare degnamente il granduca, neppure «in al-tro modo di meno apparenza, ma di eguale profitto quanto all’effetto».

Comunque sia, venne subito

«spedito ordine alle due galee che si credevano attualmente nel golfo della Spezza o in quelle vicinanze per il corso contro de’ barbareschi, d’ivi fermarsi a disposizione di Sua Altezza, quallora per qualunque motivo non giudicasse Ella di valersi delle proprie» e furono eletti «quattro soggetti patrizi i quali averanno il vantaggio di servire l’Altezza Sua nel tempo della sua qui dimora». Inoltre la Giunta dei Confini, nell’eventualità che per il maltempo Francesco Stefano non potes-se imbarcarsi a Lerici, gli fece preparare un alloggio a Sarzana e, «per

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17 Ibidem, 2175, dispaccio del 23 marzo.

18 Ibidem, dispaccio del 13 aprile.

19 Ibidem, 490/A, minuta di lettera della Giunta dei Confini per Agostino Viale, 17 aprile.

rarsi che ogni cosa colà fosse regolata a dovere» e «a mira di ben diriggere il convenevole nel di lui primo ingresso in questo Stato», spedirono in quella città di confine Cesare Cattaneo, «uno de’ quattro cavallieri deputati a ser-virlo qui». Scelta non casuale – come d’altronde avveniva spesso, a Genova, nella designazione di personaggi con incarichi di rappresentanza – perché Cattaneo aveva già intrattenuto a Vienna rapporti cordiali, e forsanche rela-zioni finanziarie, col principe lorenese.

Nel contempo i Serenissimi Collegi stabilirono che, durante il suo sog-giorno a Genova, il granduca sarebbe stato ospite nel palazzo di Gian France-sco Brignole: e anche questa era una scelta mirata, visto che Gian FranceFrance-sco, in quanto titolare del feudo di Groppoli in Lunigiana, era vassallo del gran-duca stesso 20. La moglie del Brignole, Battinetta Raggi, nel caso fosse giunta a Genova anche Maria Teresa, ricevette l’incarico «di portarsi immediata-mente all’arrivo qui ad inchinare la prefata Signora Arciduchessa, e di esser la prima ad offerirgli per la stessa sera una festa di ballo». E si preparò un

«bussolo» contenente i nomi di 22 palazzi, da cui fu estratto quello di Ce-sare Gentile, poiché si riteneva necessario predisporre almeno un’altra resi-denza per il granduca e suo fratello, «trattandosi di due principi che hanno comitiva numerosa di nobiltà riguardevole». Senonché nel frattempo Giovan-ni Andrea Doria Pamphilj, VIII principe di Melfi, offrì a Francesco Stefano, ottenendone l’assenso, ospitalità nel proprio palazzo di Fassolo 21: cosa non gradita dal governo, che si sentì scavalcato dal Doria, né dal Brignole, che si lusingava di poter ricevere il granduca. Si aggiunga che il granduca stesso pa-reva intenzionato a rifiutare sia l’offerta delle galee genovesi, imbarcandosi a Livorno su quelle toscane, sia l’alloggio temporaneo a Sarzana: un rifiuto, quest’ultimo, che preoccupava i Collegi, informati che il Lorena era forse intenzionato a rivendicare su Sarzana stessa la propria sovranità 22.

Quanto al Cattaneo, una relazione della Giunta dei Confini in data 20 aprile ci informa che, per l’appunto, era stato destinato a incontrare il gran-duca a Sarzana, qualora Francesco Stefano avesse confermato il suo deside-rio «di passare per lo Stato della Repubblica nel suo ritorno a Vienna, o in caso di dilazione a trasferirsi a complimentarlo a Firenze» 23. Però, affinché

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20 ROLLANDI 1996.

21 ASGe, Archivio Segreto 2175, dispaccio di Viale del 19 aprile.

22 Ibidem, dispaccio del 17 marzo.

23 Ibidem, 490/A.

la Repubblica non si sbilanciasse troppo sul piano dei rapporti diplomatici, non solo doveva presentarsi «in qualità di semplice gentiluomo» e – come si diceva nel linguaggio dell’epoca – «senza carattere», ma doveva anche porre la massima attenzione all’uso dei titoli. A tal fine anche a lui – com’era succes-so in passato – vennero affidate due diverse lettere credenziali: in una ci si ri-volgeva al granduca con l’appellativo di Altezza, «come si era praticato per il passato mentre era già Gran Duca di Toscana e dimorava in Vienna»;

nell’altra con quello di Altezza Reale «per aver preteso un tal titolo dal Nunzio del Papa». Ma lo si avvertiva che, «potendo, evitasse di presentare lettera alcuna con annessa copia di una di dette due credenziali». Sempre il 20 aprile una lettera ufficiale del «Doge e Governatori della Serenissima Re-pubblica di Genova» si rivolgeva a Francesco Stefano in questi termini:

«L’avventuroso avvenimento che ha recato all’Italia il felicissimo arrivo di Vostra Al-tezza è stato a noi di quel sommo contento che è corrispondente all’ossequio e alla

«L’avventuroso avvenimento che ha recato all’Italia il felicissimo arrivo di Vostra Al-tezza è stato a noi di quel sommo contento che è corrispondente all’ossequio e alla