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Geopolitica e ideologia: l’egida sciita iraniana in Siria, Libano, Iraq e Arabia Saudita

2. La propaganda nel dialogo politico con l’Arabia Saudita: analisi dei temi attraverso l’informazione governativa iraniana

3.2 Geopolitica e ideologia: l’egida sciita iraniana in Siria, Libano, Iraq e Arabia Saudita

“L’egida sciita iraniana” è la parafrasi dell’affermazione ormai famosa del re Abdullah II di Giordania, che durante un’intervista con il Washington Post coniò la definizione di “mezzaluna sciita”, per definire un asse d’influenza iraniano che tagliava il mondo sunnita da Tehran fino a Beirut, passando per Baghdad (Baker, Wright, 2004).

Sono stati molti gli osservatori che hanno fatto di questa immagine un riflesso dell’effettiva politica iraniana. Vali Nasr, ad esempio, ha sostenuto che “il Medio Oriente che si andrà formando dopo l’esperimento iracheno probabilmente non sarà più democratico, ma sarà sicuramente più sciita” (Nasr, 2006). L’Iran aveva giocato un ruolo costruttivo e presente sin dal 2003, sia sul piano ufficiale che su quello non ufficiale: aveva intessuto una fitta rete di contatti, a tutti ti livelli delle organizzazioni irachene, dalle forze di sicurezza alla milizia armata di Muqtada al-Sadr. Nasr fa notare che non sia stato un caso che Nuri al-Maliki, che aveva vissuto in esilio in Iran prima di poter tornare in Iraq con la caduta di Saddam, fosse stato primo ministro. Il fattore religioso, inoltre, ha contribuito ad avvicinare i due popoli e a incrementare le relazioni, anche di tipo turistico ed economico. “Se oggi esiste una grande strategia iraniana in Iraq, è per assicurare che non risorga come una minaccia e che il nazionalismo anti-arabo perorato dai sunniti non prevalga” (Nasr). Infine, sulla base di un crescente nazionalismo, l’allontanamento sempre maggiore del clero sciita quietista di Najaf da quello iraniano e i problemi politici di natura interna del secondo governo di Ahmadinejad30 portarono al declino dell’influenza iraniana (Rahimi, 2012).

Per queste stesse aspirazioni nazionalistiche, altri autori come Keyhan Barzegar hanno contestato la posizione di Vali Nasr, reputando l’identità nazionale dei popoli arabi e il pragmatismo iraniano due elementi prevalenti nei fatti della politica estera iraniana, nonostante la retorica di Ahmadinejad (Barzegar, 2008)

L’osservazione che fa Rouzbeh Parsi aiuta a inquadrare ulteriormente la “mezzaluna sciita”, sia in riferimento allo studio svolto in questa sede che all’aspetto della percezione dell’Iran nel Levante e nel Golfo: la divisione settaria che domina il panorama mediorientale, è stata riaccesa dall’instaurazione della democrazia in Iraq, poiché ha ispirato nuove ambizioni fra gli sciiti dei paesi vicini. A questo sono seguite le rivolte in Medio Oriente, a partire dal 2011, che hanno fatto sì

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che la leadership sunnita del Golfo venisse destabilizzata. In questo quadro generale, come anche analizzato nel capitolo precedente, nella sua politica estera l’Iran ha puntato maggiormente sul concetto di unità islamica legato alla umma, piuttosto che alla fitna, aspetto proprio del pensiero saudita (Parsi, 2013).

Come è stato descritto nel capitolo precedente, in merito al Libano, all’Iraq e alla Palestina, l’Arabia Saudita in un primo momento è sembrata assecondare la retorica di Ahmadinejad, mentre tentava di riconciliare Fatah e Hamas e riavvicinare la Siria “all’ovile arabo” (Ottaway, Herzallah, 2008) evitando lo scontro diretto. Al contrario, l’ex presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, aveva annoverato la Repubblica Islamica fra i paesi terroristi dell’Asse del Male31e riconoscendo di aver compiuto degli errori di calcolo nel sottovalutare il peso dell’Iran nella comunità sciita dell’Iraq (Nasr, 2006), provvedeva a rimediare isolandolo.

Il coinvolgimento in Iraq, per quanto logico dati i legami fra i due stati vicini, ha inimicato il principale stato sunnita, la vicina Arabia Saudita. La discussione sul rischio e i pericoli di una mezzaluna sciita si intensificò all’aumentate del coinvolgimento dell’Iran in Libano durante la “guerra dei trentatre giorni”. Secondo Chubin, durante gli otto anni in cui Ahmadinejad è stato presidente dell’Iran, il sodalizio con la Guida Suprema e la retorica rivoluzionaria hanno rivificato i timori del periodo rivoluzionario, e i paesi del Golfo hanno iniziato a percepire l’Iran, e non Israele, come principale motivo di preoccupazione per la propria sicurezza (Chubin, 2012; p. 10). Si è andato formando un fronte sunnita, dal 2009 raccolto intorno al presidente Obama. Nel frattempo l’Iran non ha aiutato a migliorare le cose. In risposta alle minacce provenienti dagli Stati Uniti e da Israele di un attacco militare contro le centrali nucleari, l’Iran ricambiava mirando alle basi americane nel Golfo, o di chiudere lo stretto di Hormuz, in entrambi i casi avrebbe toccato gli stati del GCC.

Secondo Mohsen Milani, il conflitto che è emerso negli ultimi anni fra Iran e Arabia Saudita per l’espansione dell’egemonia nel Golfo Persico e nel Levante, con le sue implicazioni religiose, ha il potenziale di indebolire le forze democratiche del Medio Oriente, rinforzare le frange islamiste, e riportare gli Stati Uniti a un intervento militare nella regione32. Nessuno dei due paesi è un nemico naturale o un alleato naturale dell’altro, ma non bisogna ignorare il fatto che competano in qualità di

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Si veda il capitolo 1.

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maggiori produttori di petrolio e che entrambi difendono con la spada la propria confessione religiosa. Agli antipodi. In questo quadro, l’elezione nell’Iraq post-saddam di un presidente sciita ha portato questo stato dalla sfera d’influenza saudita a quella Iraniana. Entrambe le parti appoggiano gruppi governativi e milizie non governative per affermare la propria influenza (Milani, 2011).

Nel frattempo nel levante l’Arabi Saudita sta approfittando della debolezza della Siria, l’unico vero alleato dell’Iran, unico corridoio per trasbordare le armi e i finanziamenti ad Hezbollah, Hamas e Jihad Islamica. Prima che il conflitto degenerasse, finché è stato in carica Ahmadinejad, l’Arabia Saudita ha appoggiato la popolazione in rivolta contro il regime di Bashar al-Asad, mentre, contrariamente agli altri casi – come quello dello Yemen e del Bahrein – l’Iran ha deciso di appoggiare il regime e tentare una riconciliazione fra la società e il governo33.

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