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Gestione economica e contabilità negli enti assistenziali medieval

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di Luciano Palermo

1. Enti assistenziali e strutture aziendali

Le vicende storiche degli enti assistenziali medievali, sia di quelli religiosi sia di quelli laici, sono state affrontate da molteplici punti di vista. In primo luogo questi enti sono stati oggetto di analisi condotte dal punto di vista giu- ridico e istituzionale, dirette a stabilire che cosa fosse e come funzionasse nel medioevo ciò che noi oggi definiamo con un termine generico “ospedale”; si è cercato, in secondo luogo, di comprendere come la presenza di queste isti- tuzioni potesse sorgere e affermarsi nel sistema sociale e amministrativo di una città medievale; si è tentato, in terzo luogo, di esaminare il ruolo di questi enti nella società medievale, nel contesto delle analisi dedicate alla povertà e alla emarginazione, largamente presenti in quel mondo1. All’interno di questo

ampio dibattito storiografico è riscontrabile, naturalmente, anche un certo in- teresse per gli aspetti economici della loro gestione e per le modalità adottate dagli istituti per reperire le risorse loro necessarie, benché si debba sottoline- are che solo di recente questi specifici aspetti della vita e dell’attività di queste istituzioni hanno attratto in modo più deciso l’interesse degli studiosi2. Ed è

1 Per tutte queste tematiche, si rinvia alla bibliografia ragionata, curata da Marina Gazzini,

Ospedali nell’Italia medievale. Ulteriori indicazioni sono reperibili nei testi citati nelle note

seguenti.

2 Si vedano i saggi e la ulteriore bibliografia presenti in Assistenza e solidarietà. In relazione

soprattutto alla situazione italiana si rimanda in particolare a Pinto, Formazione e gestione dei

patrimoni fondiari degli istituti assistenziali cittadini; Gazzini, La fraternita come luogo di economia; Piccinni, L’ospedale e il mondo del denaro.

DOI 10.6092/1593-2214/497 L’ospedale, il denaro e altre ricchezze. Scritture e pratiche economiche dell’assistenza

in Italia nel tardo medioevo a cura di Marina Gazzini e Antonio Olivieri

appena necessario aggiungere che lo studio della gestione economica degli enti assistenziali sia alto- sia bassomedievali e delle fonti contabili che la me- desima gestione ha prodotto, ha comunque sempre tenuto conto della speciale natura di questi enti, normalmente dotati di significativi ruoli politici e sociali e di particolari finalità religiose e caritative.

La consapevolezza di questa grande varietà di compiti e di situazioni non ha impedito il sorgere in questo specifico settore della storiografia economica di un orientamento abbastanza concorde: se l’indagine storica fa riferimento alla presenza in questi enti di una “gestione economica” e di una “contabili- tà”, appare evidente che essi debbano essere considerati alla stregua vere e proprie imprese, sia pure di tipo del tutto particolare; come tutte le imprese, infatti, anche questi enti utilizzavano le proprie risorse economiche e il pro- prio capitale umano in vista del conseguimento degli obiettivi che i gestori intendevano realizzare; dunque, la “gestione economica” era lo strumento ne- cessario per il raggiungimento delle finalità per le quali l’ente assistenziale era sorto, e la “contabilità” era a sua volta l’apparato delle registrazioni dei fatti economici accaduti; dall’esame di questi e di ogni altro documento prodotto da tali enti (anche non direttamente contabile: si pensi agli statuti, di cui essi erano generalmente forniti, alla corrispondenza o ai libri “memoriali”) è pos- sibile stabilire se la gestione raggiungesse i propri obiettivi o in che misura riuscisse a farlo; questa impostazione analitica presuppone, dunque, che sia riconoscibile in ciascuno di questi enti l’esistenza di una iniziativa di tipo im- prenditoriale, da cui l’ente medesimo ha avuto origine, e la presenza di una o più strutture aziendali in grado di realizzare le specifiche finalità ad esse assegnate. È vero, dunque, ciò che Marina Gazzini ha osservato con una for- mula felice, e cioè che «ospedali e confraternite furono luoghi di assistenza, di religiosità e di solidarietà, ma anche luoghi economici»3, ed è altrettanto vero

che nel medioevo, come ha dimostrato anche Gabriella Piccinni4, non c’era

alcuna contraddizione tra il fatto di svolgere tutte le attività tipiche di un ente assistenziale o direttamente ospedaliero e il fatto di possedere, contempora- neamente, una struttura di tipo sostanzialmente aziendale5.

Questo modello di analisi e l’uso delle fonti economiche e contabili che ne deriva deve naturalmente tener conto del fatto che gli enti assistenziali medievali erano delle strutture, come si è detto, del tutto particolari, e che il loro scopo principale non era il conseguimento del profitto commerciale o fi- nanziario. Tuttavia, è necessario considerare che anche l’obiettivo più disinte- ressato ed eticamente fondato, quale poteva essere quello di dare assistenza ai poveri o ai sofferenti, aveva comunque la necessità utilizzare oltre alle risorse umane anche quelle economiche. Il reperimento di risorse umane qualifica-

3 Gazzini, La fraternita come luogo di economia, p. 263. 4 Piccinni, Il banco dell’ospedale di Santa Maria della Scala.

5 Su questa tematica si vedano, oltre ai testi indicati nelle note precedenti, le impostazioni pre-

senti in Palermo, Etica dell’investimento nell’economia medioevale; Palermo, Il patrimonio

te era un processo lungo e complesso; esso riguardava soprattutto i gruppi dirigenti, sia laicali sia religiosi, che erano addestrati e poi preposti alla dire- zione delle attività religiose, gestionali, mediche o assistenziali; questo stesso processo era, invece, molto più celere per ciò che riguardava i salariati che all’interno delle medesime strutture assistenziali venivano di volta in volta utilizzati nelle più varie mansioni di tipo sussidiario. Il reperimento delle ri- sorse economiche e finanziarie apriva, invece, dei problemi di natura del tutto diversa, poiché queste risorse potevano essere il frutto di donazioni benefi- che, e dunque di incameramenti patrimoniali, o potevano essere il risultato di una serie di attività produttive attivate dallo stesso ente (case o terre date in affitto, acquisizione o alienazione di beni mobili o immobili, crediti o debiti accesi e portati a compimento, vendita di beni di consumo, produzione e ces- sione di medicamenti e così via)6. Tutte queste risorse della più varia natura

dovevano essere a loro volta controllate, nei flussi sia in entrata sia in uscita, attraverso la registrazione della loro movimentazione. Questa registrazione diveniva, in tal modo, quando c’era e se c’era, un ulteriore elemento di con- trollo della correttezza dell’amministrazione e della irreprensibilità dell’uso del patrimonio, e in modo particolare di quello monetario.

2. La contabilità come strumento di efficienza operativa

Il livello della correttezza gestionale e della efficienza operativa di una struttura aziendale può essere valutato con molti strumenti, ma tra questi non vi è dubbio che l’analisi dell’apparato della contabilità rivesta un ruolo assolutamente fondamentale. Presentando il valore scientifico di queste par- ticolari fonti storiche Federigo Melis osservava che «la scrittura contabile fa rivivere i fatti accaduti nell’ambito di ogni azienda»7; quando questo apparato

di registrazioni appare tenuto in modo completo e corretto, esso costituisce una delle principali fonti della ricostruzione storica degli eventi economici che fanno capo a una struttura aziendale, e la sua presenza permette di giudi- care, nel caso degli enti assistenziali qui in esame, le modalità con le quali essi raggiungevano i propri obiettivi oppure gli ostacoli economici o finanziari che essi incontravano nel corso della loro attività.

Ma il significato della presenza di questo apparato di contabilità si riflette anche su un ulteriore aspetto della vita di questi speciali enti. La contabilità non può essere considerata, infatti, solo come un termometro utile per verifi- care come una struttura aziendale funzionasse in un dato momento storico: la sua introduzione e diffusione hanno rappresentato una vera e propria inno- vazione tecnologica8. La specializzazione delle tecniche contabili e la corretta

6 Su questi aspetti della vita economica degli enti si vedano le impostazioni presenti in Pinto,

Formazione e gestione dei patrimoni fondiari degli istituti assistenziali.

7 Melis, L’azienda nel Medioevo, p. 7; Goldthwaite, The Practice and Culture of Accounting. 8 A tale proposito si veda Melis, Storia della ragioneria, passim.

tenuta delle registrazioni hanno, infatti, letteralmente trasformato le moda- lità operative degli enti economici basso medievali: esse hanno reso possibile un miglior controllo della ricchezza posseduta; hanno permesso di operare significativi risparmi gestionali; hanno consentito di valutare con precisione il risultato degli investimenti; hanno, in tal modo, stimolato la scelta migliore nella allocazione delle risorse. Se per una azienda dotata di prevalenti fini economici la buona tenuta dei registri contabili era, dunque, uno strumento funzionale alla crescita della produttività e quindi al reperimento di maggiori profitti, per un ente prevalentemente assistenziale la presenza di un serio ap- parato di registri contabili era a sua volta lo strumento migliore per control- lare la consistenza quantitativa e qualitativa del patrimonio e delle finanze, e per verificare al meglio i dati della loro movimentazione sia in entrata sia in uscita; e tutto ciò era la premessa necessaria per evitare sprechi, per gestire al meglio le risorse e per investire nell’efficienza dei propri servizi. Utilizzando nel modo più appropriato lo strumento contabile questi enti erano, dunque, in grado di assicurare migliori prestazioni ai propri assistiti.

Detto questo, è necessario tuttavia chiedersi fino a che punto sia riscon- trabile un qualche parallelismo tra l’evoluzione storica della classica contabili- tà aziendale, così come emerge dalle fonti archivistiche che ci sono pervenute dalle aziende artigianali, commerciali e bancarie bassomedievali, e la mede- sima evoluzione nel caso della contabilità che ci è pervenuta dalle istituzioni assistenziali della stessa epoca. E per dare una risposta attendibile a questa domanda è necessario anzitutto considerare la evidente difformità che la sto- riografia ha avuto nell’approccio a questa tematica. Le vicende storiche della tradizionale contabilità aziendale sono state oggetto di studi assai accurati, che hanno messo in luce i passaggi e le varie fasi dell’applicazione delle tec- niche operative, dalle prime semplici annotazioni utili a ricordare al gestore le scadenze di crediti e debiti fino alla creazione dei complessi registri tenuti col metodo della partita doppia9. Al contrario, nel caso della contabilità degli

istituti assistenziali, gli studi hanno sempre tradizionalmente privilegiato le vicende del ruolo politico e sociale di queste istituzioni, e solo di recente sta emergendo, come già si è osservato, un atteggiamento storiografico di tipo diverso, particolarmente attento agli aspetti gestionali e contabili della vita di queste speciali aziende10.

Per evidenziare le differenze che così chiaramente emergono nel percor- so storico della contabilità ospedaliera rispetto alla tradizionale contabilità aziendale, è necessario partire ancora una volta dalle differenze che inter- correvano tra la tipologia e gli obiettivi delle imprese che qui prendiamo in considerazione. Per le imprese che erano destinate prevalentemente alla pro-

9 Melis, Documenti per la storia economica; Amaduzzi, Storia della Ragioneria.

10 Su questa tematica, oltre alle indicazioni bibliografiche presenti nelle opere citate nelle note

precedenti, si vedano la bibliografia e le specifiche analisi dei registri contabili degli enti stu- diati in Dionisi, Sviluppo economico e rendita urbana e in Peri, La struttura economica di due

duzione del profitto e che utilizzavano ai fini dei propri investimenti risorse proprie o altre prese in prestito nel mercato dei capitali, le registrazioni con- tabili costituivano un aspetto centrale della loro esistenza e della loro attività perché, come si è detto, esse accentuavano i livelli della produttività azien- dale e favorivano la formazione del profitto mercantile o bancario. In questo settore della vita economica medievale le tecniche contabili si diffondevano con estrema facilità da una azienda all’altra per imitazione; esse costituivano, infatti, nel loro complesso una speciale cultura trasmessa in apposite scuo- le o all’interno dei processi formativi che ciascuna azienda creava al proprio interno a vantaggio del proprio personale. Se prendiamo, invece, in conside- razione gli enti di tipo assistenziale, le loro stesse caratteristiche economiche e finanziarie non favorivano la crescita al loro interno di questa medesima cultura contabile. Si trattava, infatti, di strutture che fin dalle loro origini al- tomedievali non hanno mai avuto come obiettivo principale il profitto e che quindi non hanno quasi mai avuto bisogno di ricorrere al mercato dei capitali per rifornirsi delle risorse necessarie per i propri investimenti. Dando quasi sempre per scontata l’esistenza di fonti esterne e continuamente rinnovabili di finanziamento delle proprie attività, i gestori di questi enti hanno a lungo ritenuto che i meccanismi dei loro investimenti non richiedessero un partico- lare cura nella tenuta dei conti.

Solo alla fine del medioevo cominciarono a manifestarsi dei precisi segna- li di convergenza tra i modelli gestionali e contabili delle aziende destinate a procurare profitti e quelle destinate a fornire assistenza, e agli inizi dell’età moderna si era ormai quasi del tutto realizzata una sostanziale omogeneità e quasi uniformità nell’impostazione dei conti e nella tenuta dei registri con- tabili11. Tutto ciò emerge assai chiaramente dalle fonti che ci sono pervenute

dalle grandi aziende ospedaliere operanti in età rinascimentale e nella prima età moderna nelle grandi città europee12; e ciò accadeva per due fondamentali

motivi: in primo luogo, perché la crescita delle dimensioni degli enti assisten- ziali obbligava a una tenuta più accurata della contabilità, quale mezzo di con- trollo di una attività economica sempre più ampia e differenziata; in secondo luogo per il diffondersi della consapevolezza del fatto che un sofisticato ap- parato contabile richiedeva certo una specifica cultura nella tenuta dei conti ma era anche lo strumento migliore per controllare le forme e gli obiettivi dell’utilizzazione delle risorse.

11 Sulla situazione economica di questi enti in età tardomedievale e sulle fonti contabili che

ci hanno lasciato si vedano le osservazioni presenti in Gazzini, La fraternita come luogo di

economia.

12 Su queste fonti e sulla relativa bibliografia si rinvia, oltre agli studi già citati di Marina Gazzi-

3. Modelli gestionali e contabili negli enti assistenziali medievali

Sulla base delle considerazioni fin qui fatte, possiamo individuare alcuni passaggi storici nell’evoluzione dei modelli gestionali e contabili degli enti as- sistenziali medievali, e per comodità espositiva possiamo suddividerli in tre fondamentali tipologie, basate sulla considerazione della forma economica che queste istituzioni hanno assunto nel corso del tempo e del crescente biso- gno che esse avevano di controllare le proprie risorse e i propri investimenti. È opportuno chiarire che non si tratta qui di creare una vera e propria perio- dizzazione storica: le fonti presentano situazioni assai differenziate da una regione europea all’altra, da una istituzione all’altra e da un’epoca all’altra, e non sarebbe peraltro possibile racchiudere in un rigido schema cronologico situazioni tra loro assai differenti. Si tratta, piuttosto di individuare una sem- plice linea di tendenza nell’uso di uno specifico strumento, appunto quello costituito da un apparato dei registri contabili; è possibile, infatti, intravedere nelle tecniche contabili di vari enti assistenziali medievali alcuni significativi passaggi nei modelli gestionali, mentre lo studio della documentazione che ci è pervenuta da queste istituzioni e i dati emersi da alcuni casi di studio, che qui avanti saranno richiamati, ci permettono di comprendere le ragioni e il contesto storico che giustificavano il raggiungimento di un dato livello tecni- co, sia nella contabilità che nella operatività economica di questi enti. I casi di studio ai quali si farà qui particolare riferimento sono prevalentemente quelli dell’area romana e toscana, trattandosi in entrambi i casi di modelli econo- mici e sociali dotati di straordinario rilievo storico, oltre che di uno specifico valore esemplare.

3.1. I modello: gestione non equilibrata e priva di regole contabili

Un primo e più antico modello gestionale e contabile degli enti assisten- ziali medievali appare basato su alcuni elementi che appaiono abbastanza costantemente: a) le modalità della conduzione economica sono dettate da- gli stessi statuti e in generale dalle stesse norme che hanno dato vita all’ente medesimo; b) sono del tutto assenti delle precise regole contabili e mancano le tracce di un eventuale uso di libri di conti; c) la gestione economica e il bi- lancio complessivo dell’attività dell’ente appaiono completamente squilibrati, cioè finanziariamente non sostenibili.

La documentazione che ci è pervenuta dal periodo di passaggio dall’alto al basso medioevo ci aiuta a comprendere come i tre fattori qui appena richiamati si congiungessero tra loro. Furono in realtà proprio gli enti di natura religio- sa, peraltro anche quelli non direttamente dotati di funzioni specificamente assistenziali, a dotarsi di una serie di significativi testi scritti, necessari per conservare la memoria della consistenza del loro patrimonio e degli eventi che l’avevano aumentato o diminuito; era loro interesse, dunque, raccogliere ogni traccia di transazioni, donazioni, lasciti testamentari, soprattutto consideran-

do la varietà qualitativa e quantitativa del loro patrimonio, nel quale le risorse monetarie erano certamente già presenti, ma non avevano necessariamente un ruolo dominante. Dopo il secolo XI, dunque nella fase di sviluppo economico bassomedievale, questi istituti religiosi cominciarono inoltre a dotarsi di veri e propri inventari di beni, indispensabili per identificare l’esatta collocazione topografica dei possedimenti, per lo più rurali, di cui erano titolari.

Ma tutto ciò non costituiva l’avvio dell’uso di un modello di contabilità. In questa fase erano ancora sostanzialmente assenti delle indicazioni sulle forme e sulla consistenza di eventuali registrazioni analitiche o sintetiche dei fatti economici; la memoria degli eventi economicamente significativi non ve- niva, dunque, fatta confluire in libri o registri che raccogliessero il senso delle operazioni compiute e fossero in grado di dare un quadro generale dell’anda- mento dei flussi della ricchezza e dei risultati che questi flussi avevano creato. Quali sono le ragioni di questa assenza? La prima ragione è di carattere gene- rale e dipende dal fatto che in questa stessa fase storica anche le aziende dota- te di fini prevalentemente economici stavano appena cominciando a elabora- re, soprattutto in Italia, alcune forme elementari di registrazione, concentrata all’inizio prevalentemente nella segnalazione delle scadenze dei debiti e dei crediti13. A ciò va aggiunto un ulteriore dato ancora più significativo, e cioè il

fatto che a questi enti non risultava necessario tale tipo di informazione sinte- tica; essi non raccoglievano le loro risorse dal mercato, ma fondamentalmente da donazioni benefiche. Pertanto essi non dovevano rispondere al mercato (come ad esempio doveva fare chi accedeva al credito e doveva programmare la sua restituzione) ma semplicemente alle regole che avevano presieduto alla loro formazione in quanto ente assistenziale.

Un esempio assai evidente di questa impostazione è quello che scaturisce dalla documentazione che ci è pervenuta da un particolarissimo ente assi- stenziale, quello costituito dall’ordine dei padri trinitari. La particolarità di questo ente consisteva nel fatto che i frati trinitari avevano come principale obiettivo caritativo non l’assistenza diretta ai poveri o agli ammalati, ma la liberazione dei pri gio nieri cristiani che nel corso degli scontri militari dell’e- poca erano caduti in mano ai potentati islamici presenti nell’Africa settentrio- nale ed erano tenuti in schiavitù. Si trattava, dunque, di una particolarissima forma di attività assistenziale, che si dilatava ben al di là delle mura di una città e che raggiungeva l’Africa settentrionale in una lunga fase di conflitti tra i paesi delle due sponde del Mediterraneo. L’esi genza della libera zione scatu- riva da una modalità di combattere e di con quistare che produ ceva un altis- simo numero di prigionieri, su entrambi i fronti; si poteva tuttavia procedere alla loro liberazione, che avveniva attra verso lo scambio con altri prigionieri catturati dai cristiani o con denaro sonante14.I trinitari avevano la missione

13 Melis, Documenti per la storia economica.

14 Tolleranza e convivenza tra Cristianità ed Islam; La liberazione dei ‘captivi’ tra cristianità

di fungere da mediatori in questa operazione di salvataggio, e crearono un vero e proprio ordine religioso, dotato di una regola approvata nel 1198 da In- nocenzo III. Il papa aveva già dato nel maggio del 1198 il consenso alla raccol-

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