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e gestione delle istituzioni scolastiche in contesti multiculturali presso l’Università degli Studi di Udine 1

Davide Zoletto

Università degli Studi di Udine (davide.zoletto@uniud.it) Fabiana Fusco

Università degli Studi di Udine (fabiana.fusco@uniud.it)

1. Quali culture per gli insegnanti delle scuole ad alta complessità linguistica e socioculturale?

I dati ministeriali relativi agli ultimi anni scolastici (MIS - Ufficio Statistica e Studi 2020) documentano una situazione di particolare complessità per quanto riguarda la presenza di allievi e allieve con cittadinanza non italiana nelle istituzioni scolastiche del nostro Paese. Al di là del dato medio secondo cui il 10% della popolazione scolastica è oggi di origine migratoria (MIS - Ufficio Statistica e Studi 2020: 9), la geografia della presenza migrante e post-migrante nelle scuole italiane appare infatti caratterizzata da grandi differenze tra le diverse aree del Paese, dei territori e persino tra i quartieri delle stesse città. Altrettanto diversificata appare la situazione fra i diversi ordini e le diverse tipologie di scuola. E ulteriori differenze appaiono se analizziamo i dati da altri punti di vista: per esempio, in riferimento al genere – per quanto riguarda il ritardo scolastico o le scelte nel passaggio alle secondarie di secondo grado – o in riferimento ai retroterra e/o progetti migratori e post-migratori, basti pensare alle differenze fra i percorsi scolastici degli allievi nati nel nostro Paese e quelli degli allievi entrati già grandi nel sistema scolastico italiano.

Ciò che colpisce, in questo senso, è il fatto che a tale complessità emergente concorrono una pluralità di aspetti. A quelli sin qui menzionati potremmo, infatti, aggiungerne anche altri: ad esempio l’età, il gruppo sociale, i repertori linguistici, gli stili di vita, il capitale culturale, le caratteristiche riconducibili ai diversi funzionamenti degli allievi (come ci ricorda l’ICF - International Classification of Functioning). E l’elenco certo potrebbe non esaurirsi qui.

Non a caso, la ricerca pedagogico-interculturale (Catarci & Fiorucci, 2015;

Fiorucci, Pinto Minerva & Portera, 2016; Portera & Grant, 2017; Santerini, 2019) ha evidenziato che la complessità emergente nelle scuole e negli altri contesti educativi eterogenei non andrebbe decodificata solo a partire da un

1 Il lavoro è frutto di una elaborazione congiunta dei due autori, tuttavia si precisa che i §§ 1, 2, 3 sono da attribuire a Davide Zoletto e i §§ 4, 5 e 6 a Fabiana Fusco.

paradigma ‘culturalista’, ma dovrebbe sempre essere compresa anche a partire dall’intersezione di una pluralità di elementi, oltre che in base ai rapporti fra tali intersezioni e le specificità dei contesti scolastici (Valentine, 2007).

Un’attenzione sempre più precisa alle sfide poste da questa complessità viene posta negli ultimi anni anche da quella specifica parte della ricerca pedago-gico-interculturale che si focalizza sulla formazione degli insegnanti chiamati a operare nei contesti educativi ad alta complessità linguistica e socioculturale (Catarci, 2013; Fiorucci, 2015; Howard & Richard Milner IV, 2014; Sleeter, 2010; Tarozzi, 2014).

Emblematica può essere considerata la riflessione di Caroline Sleeter, che ci ha ricordato quanto siano centrali, in una scuola che voglia essere davvero aperta alle diversità, gli insegnanti e la loro capacità di partire dai saperi e dalle com-petenze che gli allievi portano in classe. La stessa Sleeter, peraltro, non ha man-cato di sottolineare come questa capacità non implichi meramente il concentrarsi sulle problematiche degli allievi con background diverso, ma debba necessariamente fondarsi anche su una postura teorico-pratica più ampia. Po-tremmo dire, forse, su uno sguardo capace di cogliere anche i presupposti sto-rico-culturali che orientano – talora senza che ne siamo consapevoli – il nostro essere insegnanti e il nostro modo di ‘pensare’ e ‘fare’ scuola (Sleeter, 2010: 117).

Volgere anche in questa direzione l’attenzione della ricerca sulla formazione insegnanti in contesti multiculturali dovrebbe quindi portarci a porre un focus specifico anche sui modi con cui gli insegnanti guardano le istituzioni e le co-munità in cui operano, e in definitiva anche sui presupposti, il più delle volte impliciti, che sono alla base dello stesso ruolo docente. Si tratta in altri termini di porre attenzione non solo alle cosiddette ‘culture altre’, ma anche alle culture pedagogiche, didattiche, organizzative degli stessi insegnanti e professionisti che operano in campo educativo, e specificamente nella scuola. E, con esse, alle diverse pratiche nelle quali queste culture pedagogiche, didattiche e orga-nizzative si declinano.

2. Una “prospettiva di innovazione dell’insegnamento complessivamente in-teso”

Questo pare essere, fra l’altro, uno dei significativi casi nei quali la ricerca pedagogica si trova a incontrare le policies che concorrono a orientare, sul piano anche istituzionale, l’azione delle scuole e degli insegnanti. Lo dimostrano la lucidità e il taglio con cui, già nel 2007, La via italiana per la scuola intercul-turale e l’integrazione degli allievi stranieri, promossa dall’allora Osservatorio Nazionale per l’integrazione degli allievi stranieri e l’educazione interculturale, richiamava la centralità in questa prospettiva della formazione dei docenti. Si chiariva, infatti, in tale documento, che si trattava di lavorare con gli insegnanti per promuovere un approccio di tipo riflessivo e critico alla loro professionalità (MPI, 2007: 21), muovendo da una formazione interculturale di tipo anche

«esperienziale» che si configurasse «come una prospettiva di innovazione del-l’insegnamento complessivamente inteso e, di conseguenza, del ruolo docente»

(Ibid.).

Questa centralità ha trovato poi conferma in tutti i principali documenti che hanno negli anni successivi concorso a delineare il quadro pedagogico-isti-tuzionale entro cui sono chiamate a operare le scuole ad alta complessità lin-guistica e socioculturale. Ad esempio, nel documento Diversi da chi?, proposto nel 2015 dal rinnovato Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’intercultura. Infatti, quasi a ribadire quanto già evidenziato nella Via italiana, tale documento rimarcava come «una “buona scuola” [do-vesse] contare su insegnanti e dirigenti competenti e saper coinvolgere tutto il personale scolastico» (MIUR, 2015: 1). Inoltre, il documento del 2015 deli-neava anche l’importanza di partire dal «ricco repertorio di indicazioni e di suggerimenti» offerto dalle esperienze da anni costruite dalle istituzioni scola-stiche dei diversi territori, anche attraverso il lavoro di rete con altre scuole e/o con altri enti e realtà locali, incluse le università (Ibid.).

La consapevolezza, da un lato, della rilevanza politico-culturale oltre che pedagogica di questa dimensione della formazioni dei docenti e, dall’altro lato, dell’importanza metodologica di muovere dai saperi e dalle competenze già presenti sui territori (e di farlo in un’ottica di rete), costituisce d’altra parte una sorta di ‘filo rosso’ nella maggior parte dei documenti ministeriali sul tema:

dalle più operative Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli allievi stra-nieri del 2014 – che si soffermano appunto anche sul ruolo del coordinamento fra reti di scuole e altri enti (MIUR, 2014: 21) – alla specifica sezione del

“Piano per la formazione dei docenti 2016-2019” dedicata a Integrazione, competenze di cittadinanza e cittadinanza globale – dove si ricorda «la diversità delle diversità» oggi presente nelle scuole e la rilevanza di partire dal (già più volte richiamato) «patrimonio professionale e di buone pratiche» esistenti per

«far diventare il sistema scolastico un “sistema esperto”» su queste tematiche (MIUR, 2016: 44). Ma si potrebbe citare anche il documento Una politica na-zionale di contrasto del fallimento formativo e della povertà educativa, redatto nel 2018 dalla ministeriale Cabina di regia per la lotta alla dispersione scolastica e alla povertà educativa, che – pur muovendosi sul più vasto e articolato ambito del contrasto al fallimento formativo – ripetutamente insiste sull’importanza che la scuola interagisca con le diverse agenzie del territorio per formare una

«comunità educante» (cfr. ad esempio MIUR, 2018a: 8), ribadendo altresì come sia oggi strategico sviluppare modalità di formazione dei professionisti e degli insegnanti che possano coniugare fra loro forme di riflessione sulle pra-tiche e di supervisione (Ivi: 47).

È in questo ampio quadro – nel quale le policies ministeriali incrociano mol-teplici spunti emergenti nell’ambito della ricerca – che paiono collocarsi in modo significativo le diverse azioni del Piano pluriennale di formazione per di-rigenti e insegnanti di scuole ad alta incidenza di alunni stranieri, promosso dal MIUR in collaborazione con il Ministero dell’interno e cofinanziato

dal-l’Unione europea nell’ambito del Programma nazionale Fondo asilo migrazione e integrazione (FAMI), Obiettivo specifico 2 Integrazione/Migrazione legale - Obiettivo Nazionale 3 Capacity building (cfr. MIUR, 2017). E, in particolare, le attività di formazione e ricerca-azione connesse ai Master di I livello in Or-ganizzazione e gestione delle istituzioni scolastiche in contesti multiculturali attivati nell’ambito di tale Piano pluriennale.

È in questo stesso quadro che pare possibile rileggere alcuni tratti delle espe-rienze maturate nell’ambito dell’edizione friulana di tale Master, attivata presso l’Università degli Studi di Udine, nonché nel contesto della ricerca-azione col-legata al Master stesso e realizzata nelle scuole del Friuli-Venezia Giulia. Infatti, il composito insieme di tali attività, sviluppatesi grazie alla collaborazione fra l’Ufficio Scolastico Regionale del Friuli Venezia Giulia, l’ateneo friulano e la rete di scopo avente con capofila l’Istituto Statale di Istruzione Superiore San-dro Pertini di Monfalcone, è parso configurare davvero un percorso entro cui, proprio grazie al lavoro di rete, è stato possibile attingere al ricco repertorio di conoscenze e competenze presenti sul territorio per dare vita a contesti e si-tuazione di formazione nei quali sono parsi emergere diversi degli elementi sin qui richiamati.

3. Rendere espliciti saperi e competenze maturati nel quotidiano contatto con la diversità

Si è trattato, infatti, di promuovere contesti di formazione, anche peer-to-peer, entro i quali insegnanti attivi in situazioni educative ad alta complessità ed eterogeneità del territorio regionale hanno potuto incontrarsi, discutere e scambiarsi – appunto – saperi e competenze. E, in molti casi, tali contesti hanno potuto assumere la forma di momenti di riflessione condivisa sulle pro-prie pratiche.

In questo senso le azioni del progetto sembrano aver intercettato un aspetto significativo della pratica professionale degli insegnanti. Infatti, la centralità di momenti di riflessione condivisa è un elemento che pare emergere con forza nell’ambito delle scuole ad alta complessità del territorio. Lo ha confermato fra l’altro, anche a livello locale, una recente ricerca condotta fra gli insegnanti di alcune scuole dell’infanzia e primaria ad alta presenza migratoria in Friuli-Venezia Giulia (cfr. ad esempio Zinant & Zoletto, 2019). La ricerca ha evi-denziato come la possibilità o meno di poter contare su momenti di condivisione fra colleghi emerga come una delle dimensioni che gli insegnanti avvertono come centrale nello svolgimento del loro quotidiano lavoro a con-tatto con la diversità.

Entro contesti ad alta complessità tali occasioni di riflessione tra colleghi possono divenire particolarmente preziose in quanto, grazie al dialogo tra gli insegnanti, nonché tra questi ultimi e i ricercatori, possono divenire esplicite le conoscenze e competenze maturate dai docenti stessi in molti anni di lavoro

a contatto con la diversità socioculturale e linguistica (cfr. ad esempio Dyson, 1995: 79-80). E queste conoscenze e competenze possono concorrere alla for-mazione di quel sistema scuola ‘esperto’ delle diversità che, come si è visto, viene auspicato anche dalle policies ministeriali.

È quanto accaduto anche nel corso delle attività svolte durante il Master e durante la ricerca-azione ad esso connessa: alcune delle diverse esperienze e competenze costruitesi nel tempo nel variegato territorio regionale hanno ef-fettivamente potuto confrontarsi e contaminarsi. Una particolare valenza in questa prospettiva paiono averla rivestita i momenti di tipo laboratoriale, non-ché le attività di tutoraggio e di project work. Come si è provato, infatti, a suggerire anche altrove (Zoletto & Zanon, 2019; Zoletto, 2020b) muovendo dalle pratiche e dai contesti concreti – e adottando l’atteggiamento di pro-blematizzazione, monitoraggio e progressivo raffinamento caratteristici della ricerca-azione – si è potuto da un lato costruire azioni di miglioramento del sistema scuola territoriale, dall’altro allenare quella postura riflessiva e critica che dovrebbe caratterizzare oggi non solo un percorso di formazione profes-sionale che si voglia davvero radicato nella pratica degli insegnanti (cfr. Per-renoud, 2012; Altet, 2012), ma anche un approccio alla formazione che provi a declinarsi davvero in prospettiva interculturale.

Se, infatti, come si è provato sin qui a suggerire, tale prospettiva dovrebbe oggi caratterizzarsi anche per la capacità professionale di rivolgere uno sguardo riflessivo e critico verso le proprie culture pedagogiche, didattiche e organiz-zative, allo stesso tempo sarà importante sottolineare come tale sguardo do-vrebbe avere non solo come scopo o effetto quello di evidenziare eventuali criticità, ma dovrebbe piuttosto – soprattutto – allenarsi a riconoscere, map-pare, valorizzare quelle risorse e quei punti di forza che spesso rimangono fuori dal nostro sguardo sia di insegnanti sia di ricercatori. Si tratta, come ha sotto-lineato efficacemente Anna Maria Piussi (2011: 33), di allenarsi ad ampliare e modificare progressivamente il nostro sguardo, per diventare sempre più capaci di cogliere tali risorse nascoste.

Un esempio di ambito entro cui questo allenamento e ampliamento di sguardo è apparso particolarmente ricco di potenzialità è forse quello delle lin-gue, del plurilinguismo e di un’educazione che provi davvero ad essere pluri-lingue oltre che interculturale. E questo, forse, non solo perché si tratta di un tema oggi centrale nelle politiche educative europee e nazionali (cfr. ad esempio Beacco et al., 2016, oltre che i già citati MPI, 2007; MIUR, 2013, 2015 e 2016), ma anche perché l’esplicita attenzione dedicata a queste tematiche al-l’interno del percorso del Master ha potuto incrociare una diversità come quella linguistica che caratterizza profondamente i territori, le comunità, le scuole della regione Friuli-Venezia Giulia, dove le tante lingue delle migrazioni odierne incontrano quotidianamente le molte lingue delle comunità locali (cfr.

Fusco, 2017). E che costituisce in questo modo, da un lato, una di quelle ri-sorse nascoste che dovremmo imparare a riconoscere, mappare e valorizzare, dall’altro un banco di prova particolarmente stimolante per le culture

pedago-giche, didattiche e organizzative di una scuola che voglia provare davvero a in-camminarsi lungo una strada plurilingue e interculturale.

4. La dimensione plurilingue dentro e fuori la scuola

Se il plurilinguismo può essere osservato come il fenomeno prototipico che attraversa ogni comunità linguistica, è facile intuire che il plurilinguismo spon-taneo e naturale non è bastevole per venire incontro ai bisogni di una società in continuo movimento. Per rafforzare la formazione di una competenza rilingue e favorirne la diffusione, occorre naturalmente anche educare al plu-rilinguismo e ciò richiede l’impegno duraturo delle istituzioni politiche ed educative nella promozione dell’insegnamento/apprendimento delle lingue2.

Negli ultimi decenni, gli organi internazionali prima, affiancati da quelli nazionali e locali poi, hanno segnalato con forza la necessità di una efficace politica di tutela e promozione linguistica, sia per la conservazione delle mol-teplici varietà presenti in ogni territorio, sia per la diffusione delle lingue co-munitarie o straniere in genere. Nello specifico, le strutture europee (in specie la Commissione europea e il Consiglio d’Europa) hanno individuato nelle con-dizioni di plurilinguismo degli ambienti privilegiati nei quali far germinare il valore culturale e identitario dei propri cittadini. Nelle intenzioni degli esten-sori dei documenti, infatti, c’è la ferma esigenza di riconoscere e promuovere la specificità di ciascuna cultura (e di ciascuna lingua) in una prospettiva di unitarietà, senza sacrificare l’alterità. Una prospettiva difforme da quella che nel XIX secolo aveva preso forza nell’affermazione nazionale della identità mo-nolitica di una lingua unica per ciascun popolo, enfatizzando le distanze con i cittadini e i paesi contermini.

Rivolgendo uno sguardo particolare al contesto europeo, è infatti essenziale rammentare alcune delle molteplici finalità perseguite dalla politica linguistica ed educativa delle istituzioni citate dianzi nelle azioni concrete a favore del plurilinguismo, come:

• la diffusione di un’idea di competenza plurilingue multipla, dinamica, funzionale e parziale che si modifica nell’arco della vita (è infatti cruciale mirare a una offerta linguistica diversificata che consenta agli apprendenti di potenziare una capacità di comunicazione plurilingue e interculturale, posseduta anche con gradi diversi, volta altresì alla gestione delle strategie di comunicazione plurilingue);

• lo sviluppo di una politica linguistica che preveda la presenza di diverse

2 Consapevoli della complessa questione terminologica che soggiace ai diversi impieghi dei tecnicismi multilinguismo e plurilinguismo (l’uno più attento a denotare la diversità linguistica nelle comunità e nella società, l’altro più pertinente alla dimensione individuale), preferiamo in questo contributo adottare il secondo in una accezione che somma i significati ora espressi: per un chiaro appunto sui termini, rinviamo a Beacco et al. (2016: 27) e Cognigni (2020: 48-49).

lingue (lingua nazionale, lingue straniere, lingue di minoranza, lingue dell’immigrazione, ecc.) nei contesti educativi (il potenziamento di un re-pertorio linguistico complesso permette al discente di non concepire se-paratamente le lingue, bensì di inglobarle in un mosaico parlante in cui ogni tessera dialoga con le altre; l’obiettivo non è solo quello di far emer-gere analogie grammaticali o lessicali, ma di far riflettere l’apprendente sui principi di funzionamento delle lingue con cui è in contatto, poten-ziando le sue capacità metalinguistiche e di apprendimento linguistico);

• e infine la sperimentazione di strumenti e approcci didattici che mirino alla formazione di un reale competenza discorsiva (il Language Policy Pro-gramme del Consiglio d’Europa, in sinergia con un altro organo del Con-siglio stesso, il Centro Europeo di Lingue Moderne, che ha sede a Graz [https://www.ecml.at], da tempo sollecitano e incoraggiano efficaci pra-tiche didatpra-tiche capaci di includere nell’educazione scolastica la compe-tenza plurilingue e interculturale)3.

Tali spunti, che evidentemente non esauriscono l’impegno profuso in favore della promozione del plurilinguismo da parte delle istituzioni internazionali, nazionali e locali, sono comunque necessari per far emergere le modalità grazie alle quali oggi il plurilinguismo è riconosciuto come un valore e una risorsa per le società e per l’individuo, come parte costitutiva del patrimonio culturale e identitario di ciascuno di noi.

Tale capitale di raccomandazioni e supporti è stato accolto con favore anche dalla normativa scolastica italiana che vi ha intercettato da un lato quella presa di coscienza dei fenomeni e dei cambiamenti sociali, demografici e politico-economici che stanno attraversando molti paesi europei ed extraeuropei, dal-l’altra quell’urgenza di ridurre disparità, ritardi e insuccessi nei processi educativi. Anche il sistema di istruzione italiano dichiara con fermezza l’esi-genza di formare individui arricchiti da competenze plurilingui e interculturali già a partire dalla scuola primaria, come si legge, tra l’altro, nelle Indicazioni nazionali del 2012 (cfr. Calò, 2015 e Sordella, 2015, cui ci siamo ispirati):

Il compito specifico del primo ciclo è quello di promuovere l’alfabe-tizzazione di base attraverso l’acquisizione dei linguaggi e dei codici che costituiscono la struttura della nostra cultura, in un orizzonte al-largato alle altre culture con cui conviviamo e all’uso consapevole dei

3 Non è questa la sede per passare in rassegna i testi e i materiali prodotti dalle istituzioni citate, va però segnalato il Quadro comune europeo di riferimento (QCER, 2002), affiancato dal prezioso e re-cente Companion Volume (Consiglio d’Europa, 2018), cui aggiungiamo Beacco et al. (2016) e Can-delier et al. (2012), per apprezzare la progettazione curricolare e la valutazione delle competenze suggerite, reperibili, come anche altre fonti, nella Piattaforma delle risorse e dei riferimenti per l’edu-cazione plurilingue e interculturale (http://www.coe.int). Un approfondimento ampio e sicuro su questi temi è rintracciabile in Beacco & Coste (2017), Calò (2015), Carbonara & Scibetta (2020) e Cognigni (2020), cui siamo debitori di molte delle considerazioni qui espresse.

nuovi media. […] All’alfabetizzazione culturale e sociale concorre in via prioritaria l’educazione plurilingue e interculturale. La lingua materna, la lingua di scolarizzazione e le lingue europee, in quanto lingue dell’educazione, contribuiscono infatti a promuovere i diritti del soggetto al pieno sviluppo della propria identità nel contatto con l’alterità linguistica e culturale. L’educazione plurilingue e intercul-turale rappresenta una risorsa funzionale alla valorizzazione delle diversità e al successo scolastico di tutti e di ognuno ed è presupposto per l’inclusione sociale e per la partecipazione democratica (MIUR, 2012: 32).

Il plurilinguismo è inoltre riconosciuto come tratto imprescindibile del re-pertorio linguistico e del contesto antropologico:

Nel nostro paese l’apprendimento della lingua avviene oggi in uno spazio antropologico caratterizzato da una varietà di elementi: la persistenza, anche se quanto mai ineguale e diversificata, della dia-lettofonia; la ricchezza e la varietà delle lingue minoritarie; la com-presenza di più lingue di tutto il mondo; la com-presenza infine dell’italiano parlato e scritto con livelli assai diversi di padronanza e con marcate varianti regionali. Tutto questo comporta che nell’espe-rienza di molti bambini e ragazzi l’italiano rappresenti una seconda lingua (MIUR, 2012: 36).

Ma ciò che va sottolineato, in questo efficace ritratto della diversità lingui-stica, è la valorizzazione dei repertori linguistici di partenza degli allievi e le competenze linguistiche già acquisite da ognuno nell’idioma nativo (cioè la lingua di origine) che diventano una risorsa per l’apprendimento dell’italiano

Ma ciò che va sottolineato, in questo efficace ritratto della diversità lingui-stica, è la valorizzazione dei repertori linguistici di partenza degli allievi e le competenze linguistiche già acquisite da ognuno nell’idioma nativo (cioè la lingua di origine) che diventano una risorsa per l’apprendimento dell’italiano

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