• Non ci sono risultati.

La gestione dei Spi: dalle Province ad un quasi mercato multilivello

3 La riforma dei Servizi per il lavoro

3.2 La gestione dei Spi: dalle Province ad un quasi mercato multilivello

I CANALI DI INTERMEDIAZIONE E I SERVIZI PER IL LAVORO

3.2 La gestione dei Spi: dalle Province ad un quasi mercato multilivello

Oltre al coordinamento di secondo livello sin qui descritto, all’Anpal spetta, infine, un ruolo di promozione, regolazione e controllo di un quasi mercato nazionale dei servizi per il lavoro, “alternativo” a quello gestito dalle Regioni.

Il Decreto stabilisce che, di regola: “Le regioni e le province autonome svolgono il servizio pubblico al lavoro (…) direttamente ovvero (…) mediante il coinvolgimento dei soggetti privati accreditati”. In altre parole, il servizio è erogato in house (tramite i Cpi), ovvero ricorrendo al mercato per un ampio spettro di queste attività20.

Funzionale alla costituzione di questo mercato è, innanzi tutto, la regolazione dello strumento di ingresso nello stesso e vale a dire l’accreditamento allo svolgimento del servizio pubblico. Rispetto al precedente regime, a testimonianza della volontà di accelerare verso questo modello di erogazione dei servizi, la novità è la creazione di un quasi mercato di livello nazionale. Il D.Lgs. n. 150, infatti, oltre a prevedere, come nel passato, che le Regioni definiscano propri regimi di accreditamento, riconosce alle Apl già autorizzate la facoltà di richiedere all’Anpal di essere anche accreditate “ai servizi per il lavoro su tutto il territorio nazionale”. A tal fine, spetta alla stessa Anpal istituire l’“Albo nazionale dei soggetti accreditati a svolgere funzioni e compiti in materia di politiche attive del lavoro”, in cui sono iscritte, oltre alle Apl autorizzate, anche “le agenzie che intendono operare nel territorio di regioni che non abbiano istituito un proprio regime di accreditamento”. In tal caso, accanto ai sistemi regionali, se ne costituisce uno nazionale alternativo (quello costituito dalle Apl autorizzate), ovvero sostitutivo (agenzie che operano nei territori privi di regimi di accreditamento), il cui gateway (controllore d’accesso) è l’Anpal. Va rimarcato che, a differenza delle banche dati ricordate nel paragrafo precedente, l’iscrizione a questo albo ha effetti costitutivi e non solo informativi.

Delineata la procedura (accreditamento) che consente agli operatori di far ingresso nel quasi mercato, il Decreto attribuisce all’Anpal il compito di disciplinare nel dettaglio ed, eventualmente, anche gestire, un particolare strumento, finalizzato ad rinvigorire ed estendere la logica di mercato. È disposta la distribuzione di un “assegno individuale di ricollocazione” agli utenti del servizio pubblico – non a tutti in verità21 – spendibile presso i Cpi o i servizi accreditati al fine di ottenere un “servizio di assistenza intensiva nella ricerca di lavoro”. L’attribuzione del voucher, consentendo l’esercizio della libertà di scelta in ordine al soggetto cui richiedere l’erogazione del servizio pubblico, estende la logica del mercato dal versante dell’offerta anche a quello della domanda del servizio stesso.

L’Anpal, oltre a determinare “modalità operative” e “ammontare dell’assegno”, è chiamato all’esercizio di altre attività, funzionali all’efficiente gestione dello strumento. In primo luogo, spetta all’Agenzia gestire il rating (valutazione comparativa) degli operatori, finalizzato non solo a garantire un esercizio

20

Sono escluse le attività tipiche della cd. presa in carico (stipula del patto di servizio e profilazione dell’utente), che, in virtù della loro particolare delicatezza, anche in termini di risorse pubbliche, sono affidate in esclusiva all’attore pubblico. Cfr. art. 18, 2° co..

21

I CANALI DI INTERMEDIAZIONE E I SERVIZI PER IL LAVORO

“consapevole” della libertà di scelta da parte dell’utente22, ma anche ad escludere da questo specifico quasi mercato gli operatori che non raggiungono i risultati ricollocativi attesi23. Inoltre, per impedire il cd. creaming (la scelta da parte dell’erogatore di servizi dei soggetti più facili da ricollocare), è previsto un sistema di premialità e cioè che l’attività sia remunerata “prevalentemente a risultato occupazionale ottenuto” e che l’ammontare del voucher sia graduato “in relazione al profilo personale di occupabilità” dell’utente servito. La specifica classe di profilazione corrisponderà ad un diverso ammontare del costo stimato del servizio, in funzione della difficoltà di ricollocazione dell’utente. Anche in questo caso il ruolo preponderante spetta all’Anpal: questa definisce la metodologia di profilazione e i costi standard, a conferma del ruolo dell’agenzia nazionale di gateway del quasi mercato.

Anche la procedura di attribuzione del voucher conferma la preminenza dell’Anpal, cui è affidato, per così dire, un ruolo suppletivo in caso di incapacità degli uffici regionali di attivarsi entro tempi certi. Di norma, difatti, si prevede che l’istanza per ottenere l’assegno sia presentata dall’utente presso il Cpi, che ha effettuato la cd. presa in carico; tuttavia, in alternativa, si dispone che il voucher sia attribuito dall’Anpal direttamente, ove i Cpi falliscano nel convocare gli utenti entro un termine fissato per legge24. Nelle Regioni meno efficienti nell’adempiere nel termine, ovvero in quelle ove questa platea soggettiva sia particolarmente estesa rispetto alla capacità degli uffici territoriali, la procedura di attribuzione dell’assegno, gestita centralmente, potrebbe sostituire l’intervento regionale.

L’accelerazione così impressa allo sviluppo di questo quasi mercato, in sostanza gestito telematicamente al centro, disvela, se si tiene conto del target di riferimento – si ribadisce i titolari di NASpI, disoccupati da almeno 4 mesi – l’altro obiettivo tipico degli stessi quasi mercati: accelerare, tramite il coinvolgimento di ulteriori soggetti (gli operatori accreditati), il reingresso nel lavoro dei titolari di sussidi di disoccupazione, che pesano sul sistema di sicurezza sociale. È prevalente in sostanza l’esigenza di ottenere risparmi di risorse pubbliche, affidando l’attivazione di questa utenza ad operatori specializzati, anche al fine di velocizzare l’applicazione della condizionalità, il regime di decadenza dai trattamenti di disoccupazione in caso di disoccupazione involontaria. La nuova disciplina della condizionalità

A questo ultimo scopo, il D.Lgs. n. 150 interviene nuovamente sulla condizionalità. Questo principio, in realtà, non ha mai avuto fortuna attuativa, anche perché, solo di recente, la questione si è posta, una volta adeguati, veramente, “alle esigenze di vita” gli importi del trattamento base di disoccupazione25. La stessa Riforma Fornero era intervenuta in materia, ma, a testimonianza che neanche quella disciplina era seria, il regime di decadenza continuava ad essere sterilmente severo: qualsiasi tipo di violazione degli obblighi di attivazione determinava la secca perdita del sussidio.

22

La valutazione comparativa dei soggetti erogatori è svolta dall’Anpal con riferimento agli «esiti di ricollocazione raggiunti nel breve e nel medio periodo per ogni profilo di occupabilità» e i risultati sono resi pubblici e distribuiti ai Cpi.

23

È attribuito all’Anpal un potere di segnalazione degli «elementi di criticità» riscontrati ed un correlativo onere di correzione in capo agli operatori segnalati. Decorso un anno dalla segnalazione, ove le criticità permangano, l'agenzia nazionale è legittimata a valutare la «revoca dalla facoltà di operare con lo strumento dell'assegno di ricollocazione».

24

Questo articolo dispone che, trascorsi 60 giorni dalla data di registrazione presso il Sistema informativo, il disoccupato che non sia stato convocato dai centri per l'impiego ha diritto a richiedere direttamente all’Anpal l’assegno di ricollocazione.

25

Si tenga conto che solo a seguito del cd. Protocollo welfare del 23 luglio 2007, l’indennità di disoccupazione ordinaria raggiunse livelli comparabili con altri paesi europei, quanto a durata (8 mesi per i soggetti con età anagrafica inferiore a 50 anni e 12 mesi per

I CANALI DI INTERMEDIAZIONE E I SERVIZI PER IL LAVORO

Una delle principali novità della riforma del 2015 la si ritrova proprio qui: la condizionalità, finalmente, viene declinata a seconda dell’obbligazione che il disoccupato non adempie e sono, di conseguenza, graduati gli effetti sanzionatori in termini di riduzione dell’indennità. Assai riassumendo, quattro attività, dettagliate nel patto di servizio, sono richieste nel caso in cui l’utente sia titolare di un qualsiasi ammortizzatore sociale: rispondere alle convocazioni ed agli appuntamenti con il responsabile del progetto di attivazione; partecipare alle iniziative di orientamento al lavoro concordate; frequentare regolarmente le iniziative di formazione, anche on the job; accettare le offerte di lavoro congrue. Il mancato rispetto di questi obblighi è punito progressivamente, determinando una graduale riduzione del trattamento, sino al suo totale azzeramento. I primi due impegni, e quindi la loro violazione (assenza agli appuntamenti e alle iniziative di orientamento), sono considerati meno gravi e ciò giustifica una progressione sanzionatoria attenuata (alla prima violazione, decurtazione di un quarto di mensilità del sussidio; alla seconda, una mensilità e, infine, decadenza dalla prestazione e dallo stato di disoccupazione in caso di ulteriori violazioni). In successivo ordine di importanza, è punita, con maggiore severità, la non regolare partecipazione alle iniziative di formazione e riqualificazione professionale (alla prima violazione, decurtazione di una mensilità, alle successive, decadenza dalla prestazione e dallo stato di disoccupazione). Ora solo la mancata accettazione di un’offerta di lavoro congrua, sintomatica della non disponibilità ad attivarsi, determina immediatamente la massima sanzione (decadenza dalla prestazione e dallo stato di disoccupazione) e, di conseguenza, l’impossibilità temporanea (2 mesi) di accedere ai programmi di attivazione26.

La seconda, e positiva, novità del D.Lgs. n. 150/2015 riguarda questa nozione: trova, difatti, nuovamente riconoscimento l’elemento della “coerenza con le esperienze e le competenze maturate” in precedenza dal lavoratore. È così salvaguardato il capitale umano accumulato e, auspicabilmente, si funzionalizzano le PAL al miglioramento di quest’ultimo, tramite un suo adeguamento, in coerenza con le finalità originarie delle stesse politiche attive. Il Ministero del lavoro, nel determinare la congrua offerta di lavoro con apposito decreto, dovrà tener conto non solo, come nel passato, di parametri retributivi e logistici (l’ultima retribuzione e la distanza con il domicilio), ma anche, adeguandolo alla durata della disoccupazione, dell’investimento formativo e professionale realizzato. In passato, invece, già a partire dal 2004, questo investimento non era stato più salvaguardato dall’ordinamento, perché era prevalso, in uno sterile tentativo di attuare la condizionalità, un, probabilmente incostituzionale, approccio sanzionatorio di work first, imponendo la disponibilità ad accettare un lavoro purchessia, parametrato cioè solo su requisiti quantitativi (retribuzione e distanza) e non qualitativi.

I CANALI DI INTERMEDIAZIONE E I SERVIZI PER IL LAVORO

C

ONCLUSIONI

Infine ˗ alla luce del lavoro di analisi e valutazione, sia delle evidenze empiriche che normative, considerando la struttura dei Spi presente nel paese e le criticità specifiche dei mercati del lavoro locali ˗ proponiamo alcune riflessioni e proposte operative per rispondere alle naturali istanze che emergono a conclusione di questo percorso.

Prima riflessione. La meccanica della ricerca di lavoro prevede prima una fase di searching e poi una di matching, ovvero un percorso di inter-transizione continuo che, ormai sempre più frequentemente, non si esaurisce nel primo impiego, ma rimane vivo nel tempo. Anzi, si potrebbe dire che le ultime novità disciplinari in tema di flessibilità in uscita (cd. contratto a tutele crescenti), per espressa ammissione, dovrebbe/potrebbe aumentare tali transizioni. Proprio questa relazione cittadino-Spi è un punto su cui riflettere.

I servizi non sono una rehab: un pronto soccorso lavorativo. Al contrario dovrebbero diventare per il cittadino uno strumento – un tool di navigazione tra istruzione, formazione, lavoro – e quindi vanno intesi come un partner di tutta la vita attiva, potremmo dire Long Life PES (presa in carico permanente da parte Spi). Infatti il fine ultimo, implicito, dev’essere tenere alto il livello di appeal sul mercato del lavoro, la c.d. occupability. Si propone l’idea per cui l’individuo debba avere un partner che lo aiuti a trovare la giusta via nella vita attiva. In altre parole l’intervento delle istituzioni pubbliche in questo campo dovrebbe ispirarsi, come si suggerisce in sede comunitaria, ai cd. mercati del lavoro transizionali (Gazier, Gautié, 2009). Secondo tale approccio questi mercati non vanno più considerati frutto di uno statico processo di aggiustamento tra domanda ed offerta, ma appaiono costellati dalle “transizioni” che si producono nella carriera lavorativa dei soggetti; alla più tradizionale “transizione” occupazione-disoccupazione, se ne affiancano altre verso detto mercato, al suo interno ed esterno e viceversa (dalla scuola al lavoro, dall’orario pieno al quello parziale, dal lavoro alle varie forme di congedo riconosciute dall’ordinamento, ecc.). Proprio, questa consapevolezza suggerisce la necessità di rivedere il ruolo degli Spi per proteggere e sostenere, dinamicamente, i cittadini durante queste transizioni dentro, all’interno e all’esterno del mercato del lavoro.

Pertanto il rapporto Long Life PES deve iniziare quando il cittadino è ancora a scuola, deve continuare nella fase di posizionamento nel mercato e poi in quella di consolidamento e mantenimento (formazione continua) della sua appetibilità lavorativa. In buona sostanza, va introdotta la figura del “referente lavorativo” che, come un medico condotto, magari non risolve il problema, non trova la cura, ma ti indirizza, ti prescrive gli esami, ragiona con te su quali possono essere le cause del problema e, così facendo, iniziate a trovare insieme la soluzione. Un coach che ti segue negli anni, nelle transizioni (scelte scolastiche, scuola-lavoro, intermediazione e ricerca, lavoro-lavoro,) nella evoluzione occupazionale (carriera, rientro dalla maternità, formazione) o nei problemi (diritti, maternità, retribuzioni, salubrità, ecc.). Il suo ruolo si concluderà con la modulazione dell’impegno lavorativo precedente il ritiro dal lavoro e contribuirà pure a sostenere la partecipazione di determinati target

I CANALI DI INTERMEDIAZIONE E I SERVIZI PER IL LAVORO

“speciali” della popolazione (si pensi alle donne, ai disabili, agli stranieri) e alla effettiva fruizione di tutele e diritti (salubrità, maternità, malattia, retribuzioni, orari).

Seconda considerazione. Ormai, il sistema delle politiche attive, ed in particolare il suo braccio operativo, la rete di Spi, sono davanti ad una scelta di campo: innovare il “processo” o il “prodotto” (o entrambi). In altre parole: cambiare quello che si fa o farlo diversamente. Premesso che la dotazione di risorse economiche ed umane attuale è inadeguata a svolgere sia una funzione che l’altra, ancora poco o nulla si è detto del “nuovo prodotto”, sull’attività di sostegno, indirizzo, orientamento, innovazione e finanziamento del lavoratore, di tutti coloro che a vario titolo pensano di meritare le attenzioni, le cure, dei Spi. Non si tradisca lo spirito della riforma: innovando solo il “processo” si sta facendo un passo indietro – un sms o una e-mail al posto delle lettere di chiamata – ma il “prodotto” resta sostanzialmente lo stesso; il servizio non cambia e non si realizza l’auspicio comunitario che vuole migliori servizi e nuove funzioni. Il ruolo dei Spi va riempito di contenuti, funzioni e capacità d’intervento.

Queste due considerazioni hanno immediati addentellati operativi, cui ha cercato di dare risposta il più volte richiamato decreto n. 150. Se l’operatore dei Spi, deve veramente divenire come un medico condotto che prescrive la cura, ma non necessariamente la eroga, allora è opportuno, come stabilisce la Legge (cfr. art. 18, 2° co. D.Lgs. n. 150/2015), che la profilazione degli utenti e il patto di servizio siano gestite in via esclusiva dallo stesso servizio pubblico. Peraltro, le nostre analisi dimostrano che la crisi del mercato del lavoro ha riverberato sul sistema dei servizi tutta la domanda e le aspettative di una offerta di lavoro assai provata. Sono stati infatti oltre 4,6 milioni le persone che nei dodici mesi precedenti la rilevazione Plus 2014 si sono rivolte ai Servizi per il lavoro (Cpi e Apl) e, nel dettaglio, le Apl sono state investite negli ultimi 12 mesi da un milione di persone, più del doppio (ben 2,5 milioni) si sono rivolti ai Cpi e poco più di un milione ha utilizzato entrambi i servizi.

Ma i Cpi riusciranno a profilare un’utenza così vasta e stipulare altrettanti patti di servizio? Piuttosto che aprire al mercato anche queste due attività, visto che tracciano i confini del servizio pubblico, sarà pertanto fondamentale che l’Anpal avvii, il più celermente possibile, il “Portale nazionale delle politiche del lavoro” e che, quindi, divenga subito operativa la DID telematica27: sono questi indispensabili e propedeutici strumenti informatici potranno consentire di alleviare l’impatto di un’utenza che potrebbe continuare ad essere sostenuta. Allo stesso modo è imprescindibile definire al più presto la metodologia di profilazione. Anche questo strumento potrebbe alleviare i carichi di lavoro dei Cpi: l’individuazione dei job ready, attraverso questa procedura, dovrebbe consentire di orientare le attività che comportano i maggiori aggravi in termini di carichi di lavoro solo in favore di chi ha meno attach con il mercato del lavoro. In altri paesi, a titolo esemplificativo, si è scelto di erogare ai soggetti profilati job ready, almeno inizialmente, solo servizi on line28.

27

L’art. 19, D.Lgs. n. 150/2015 prevede che lo stato di disoccupazione sia attribuito a chi si registra telematicamente presso il Portale delle politiche del lavoro, al fine di prestare la vecchia DID.

28

I CANALI DI INTERMEDIAZIONE E I SERVIZI PER IL LAVORO

Quanto appena detto si collega con i tre indicatori di performance dei Servizi al lavoro che, come detto, dovranno essere fissati dal Ministero del lavoro nel Piano delle Politiche attive: la “riduzione della durata media della disoccupazione”; i “tempi di servizio” e la “quota di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro”.

Partiamo dall’ultimo indicatore. La fissazione di quest’ultimo non potrà prescindere, innanzi tutto, dalle quote di intermediazione “attuali”: stando ai dati Plus la quota di persone che tra il 2013 e il 2014 ha trovato lavoro attraverso il sistema dei Cpi sfiora il 4%, percentuale di poco inferiore a quella degli altri canali formali (le agenzie di somministrazione intermediano il 5,2% degli occupati e le scuole, l’università e gli IFP il 4,1%). Peraltro, il matching, di per sé, è un indicatore “spurio” per valutare l’efficienza del servizi per il lavoro (Bergamante, Marocco, 2014): è necessario considerare come e quanto si riescano a collocare le sole “persone in cerca di occupazione” (e non tutti coloro che hanno prestato la DID telematica); si aggiunga che neanche il Jobs Act, a differenza di quanto accade in altri paesi, ha previsto un obbligo per i datori di lavoro di registrare le vacancy che, invece, rappresentano l’indicatore più esplicativo dell’attrattività dei servizi per l’impiego.

Peraltro, concentrando l’attenzione sulla “quota di intermediazione” in ottica analitica passa in secondo piano la questione più rilevante complessivamente: è urgente contrastare l’intermediazione informale e le sue scorie (inefficienze, familismo, distorsioni ed è una erosione delle posizioni migliori). Ciò si potrebbe realizzare condizionando gli incentivi e i contributi alle vacancies piuttosto che al lavoratore. Ovvero erogarli solo per le assunzioni palesi o per le selezioni pubbliche, magari in collaborazione con i Cpi (come garante). Ciò rappresenterebbe una misura più strutturale, equa ed incisiva di altre. Non vuol essere un ritorno al passato, ma solo una nuova prospettiva: il mercato del lavoro è un iceberg sommerso per 2/3. È necessario portare alla luce l’intermediazione non palese, informale, carsica, familiare, piuttosto che ragionare sulle “briciole”. Se la “quota di intermediazione” rappresenterà un parametro da considerare nella definizione e valutazione delle performance dei Spi allora è necessario dotare i servizi di strumenti per rendere questo obbiettivo non velleitario.

Infine, una semplice misura per aumentare l’empatia cittadino-istituzioni, potrebbe essere prevedere – quale che sia il driver –un sistema di feedback da parte degli utenti, di chi assume e di valutatori indipendenti che determini un ranking degli operatori, per garantire qualità alta e uniforme dei Cpi, della agenzie private, e degli operatori accreditati ovvero delle politiche attive. Ciò va integrato con una valutazione d’impatto per verificare se le risorse impiegate abbiano migliorato le performance delle persone coinvolte. È perciò indispensabile, per capire l’efficacia degli interventi, una seria analisi degli effetti e un’affidabile valutazione delle misure, per evitare che le risorse vadano disperse o usate per la gestione del sistema. Spunti in questo senso, come visto, sono presenti nella Riforma del 2015, affidando all’Anpal questi compiti imprescindibili. Posto che la costruzione e posa in opera di questi strumenti, richiede competenze tecnico-scientifiche elevate, non facilmente reperibili all'interno della PA, si tratta di verificare la capacità dell’agenzia di attrarre e/o formare il capitale umano dotato di queste indispensabili competenze.

seguiti da un servizio di coaching (al 3° mese e entro il 12°) e un’attivazione obbligatoria dopo 12 mesi. Per maggiori

I CANALI DI INTERMEDIAZIONE E I SERVIZI PER IL LAVORO

Quanto alla fissazione dell’indicatore relativo ai “tempi di erogazione” del servizio al lavoro, i dati Isfol Plus mostrano che, se la presenza di un sistema misto pubblico-privato ha positivamente ampliato l’utenza di quanti si rivolgono ai canali formali, rimane comunque che i due sistemi riescono a prendere in carico e processare con successo al massimo la metà della domanda complessiva loro rivolta. Comunque i dati non migliorano se si prende in considerazione solo l’utenza effettivamente servita, vale

Documenti correlati